Morosità, la clausola risolutiva esclude il prelievo sui canoni
È corretto il comportamento del contribuente che non dichiara (e non assoggetta a tassazione) il reddito derivante da canoni di locazione non riscossi, quando opera la clausola risolutiva espressa pattuita contrattualmente. Il principio, sempre più frequente nella giurisprudenza di merito, è stato espresso dalla Ctr Toscana 1160/25/2015 (presidente Giubilaro, relatore Coletta).
A seguito della morosità del conduttore, il proprietario di un’unità immobiliare aveva notificato, invano, diversi atti di messa in mora. Nel contratto di locazione era presente la clausola risolutiva espressa, di cui all’articolo 1456 del Codice civile, che comporta una risoluzione ipso iure del contratto, in questo caso collegata a qualunque inadempienza contrattuale. Come più volte affermato anche su queste pagine (si veda «L’Esperto risponde» del 29 giugno scorso), quando per qualunque causa si risolve un contratto d’affitto, la deroga al principio della percezione del reddito (articolo 26 del Tuir) si interrompe, poiché, come sostenuto dalla Corte di cassazione (sentenza 651/2012), da quel momento l’obbligazione del conduttore inadempiente ha natura risarcitoria e non più di canone locatizio.
Secondo la Corte costituzionale (sentenza 362/2000) il riferimento al reddito locativo (da dichiarare anche se non percepito) non è più effettivo quando il rapporto contrattuale di locazione sia cessato. Il principio, peraltro, è stato espresso molto chiaramente dall’agenzia delle Entrate (circolare 11/E/2014), ma evidentemente non è stato interiorizzato dagli uffici. Tant’é che è stato ribadito in una direttiva interna dello scorso mese di luglio (si veda Il Sole 24 Ore del 14 agosto).
L’Agenzia ricorda che la prova della risoluzione del contratto (particolarmente importante quando l’immobile non è a destinazione abitativa, non operando la “salvaguardia” della sentenza di sfratto per morosità di cui al comma 1 del citato articolo 26) può derivare da un provvedimento giudiziale ottenuto dal locatore, oppure dalla documentazione (con data certa) prodotta dal medesimo, da cui risulta l’inadempimento e la volontà di avvalersi della clausola pattuita contrattualmente. Senza dimenticare le altre ipotesi di risoluzione di diritto, quali la diffida ad adempiere rivelatasi vana (articolo 1454 del codice civile) o lo scadere di un termine pattuito come essenziale (articolo 1457).
È auspicabile che il richiamo dell’Agenzia (in cui sono citate le oltre 3.500 controversie pendenti nei vari gradi di giudizio) serva a orientare l’attività di accertamento sulle ipotesi in cui l’omissione dichiarativa dei canoni è fondata e non, come purtroppo spesso accade, legittimamente operata. Nello stesso senso dei giudici toscani si sono espresse anche le seguenti sentenze: Ctp Brescia 365/V/2014, Ctp Forlì 125/I/2014 e 611/II/2014, Ctp Frosinone 513/IV/2015, Ctr Lazio 286/I/2006, Ctp Piacenza 109/V/2001.
Il principio vale anche per le imprese locatrici, per quanto, in tal caso, è più difficile che si creino problemi, vigendo il generale principio di competenza e la disciplina specifica della perdita su crediti (articolo 101, comma 5, Tuir).