Immobili

Mutuo rifiutato, per risolvere il preliminare serve la forma scritta: no al "mutuo dissenso"

La Cassazione, sentenza n. 18390 depositata l'8 giugno, ha accolto il ricorso del promissario venditore contro la decisione di secondo grado che l'obbligava a restituire l'anticipo

di Francesco Machina Grifeo

La risoluzione di un contratto preliminare di compravendita di un immobile necessita sempre della forma scritta. Non ci si può dunque appellare ad un "mutuo dissenso" che sarebbe attestato semplicemente dal comportamento fattuale. Ne deriva che seppure il venditore ha dimostrato disinteresse alla conclusione del contratto: non chiedendone l'adempimento e poi vendendo l'immobile ad un terzo, il promissario acquirente non ha comunque diritto alla restituzione di quanto versato. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 18390 depositata oggi, accogliendo il ricorso dei venditori.

Al contrario, la Corte d'Appello di Cagliari, nel 2017, ribaltando l'esito del giudizio di primo grado, aveva accolto la domanda di restituzione dell'acconto di 20mila euro proposta dalla promissaria acquirente (in virtù di preliminare dell'aprile 2006) nei confronti dei promittenti venditori. Per il giudice di secondo grado, infatti, a seguito dell'inadempimento del preliminare per mancato ottenimento del mutuo, i venditori non avevano avanzato alcuna domanda di adempimento o di ulteriori danni, "sicché l'assenza di qualsiasi manifestazione di interesse all'esecuzione del contratto … lasciava intendere la mancanza di un reciproco interesse all'esecuzione del contratto e conseguentemente lasciava intendere che lo stesso si fosse risolto per mutuo dissenso, anche se, invero, trattandosi di immobile, era necessaria la forma scritta". Ed ha così ritenuto dovuta la restituzione dell'acconto alla promissaria acquirente. Reputando altresì non necessaria la documentazione prodotta dall'appellante, in ipotesi, "attestante, - a riprova del mancato interesse alla vendita - il successivo trasferimento del bene in favore di terzi".

Per la Seconda sezione civile, tuttavia, come costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, "la risoluzione consensuale di un contratto preliminare riguardante il trasferimento, la costituzione o l'estinzione di diritti reali immobiliari è soggetta al requisito della forma scritta ad substantiam " (cfr. tra le tante, nn. 30446/2018; 13290/2015; 8234/2009; 14524/2002).

"È dunque incorsa in palese errore di diritto – si legge nella decisione - la Corte territoriale laddove, pur nella consapevolezza della necessità della forma scritta, ha tuttavia, ritenuto che il preliminare si fosse risolto per mutuo dissenso sulla base del comportamento delle parti, in assenza del requisito formale".

Riguardo poi al secondo punto, per la Corte "non si vede come una mera ‘nota di trascrizione' che riguarda una vendita fatta a un soggetto terzo estraneo possa sopperire alla mancanza di un atto, da farsi necessariamente in forma scritta (v. la chiara formulazione dell'art. 1350 cc e la giurisprudenza citata nella trattazione del terzo motivo) e che deve contenere l'espressa volontà dei due contraenti di porre nel nulla, per mero dissenso e nell'esercizio dell'autonomia contrattuale (art. 1322 cc), un precedente contratto preliminare di vendita immobiliare soggetto a forma scritta ad substantiam".

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