Civile

Nell’attesa meglio chiedere il rinvio delle udienze

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di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

La decisione di sottoporre al vaglio della Consulta la nuova versione (retroattiva) dell’articolo 20 dovrebbe indurre i difensori dei contribuenti, e gli uffici che sono parti in procedimenti pendenti a chiedere un rinvio dell’udienza, in attesa della decisione.

È evidente che se la norma dovesse risultare indenne da censure, sarebbe auspicabile una rinuncia alla pretesa (illegittima) da parte dell’Agenzia; se la disposizione dovesse risultare in contrasto con la Carta, ad analoghe conclusioni dovrebbero giungere i contribuenti interessati prevenendo una sicura soccombenza.

Di recente, alcuni uffici, consapevoli della portata restrittiva della nuova versione dell’articolo 20, hanno provato a censurare le operazioni sotto il profilo dell’abuso del diritto. La questione è stata recentemente affrontata anche dall’Ufficio del massimario della Cassazione, nella rassegna delle sentenze tributarie più significative del primo semestre 2019.

È stato rilevato che l’articolo 10-bis della legge 212/2000 considera la fattispecie di collegamento negoziale non per la mera interpretazione dell’atto, ma ai fini dell’emersione di un fenomeno di abuso del diritto, ossia un obiettivo estraneo all’articolo 20.

Nel massimario viene ricordato l’orientamento in base al quale è precluso al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti con l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei a ottenere un'agevolazione o un risparmio di imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di benefici fiscali (Sezioni unite 30055/2008). È stata così confermata l’esistenza nell’ordinamento di una clausola generale antielusiva, la cui matrice veniva individuata (anche per l’imposta dei redditi) in fonti comunitarie, la cui violazione comportava la nullità dei negozi collegati finalizzati alla realizzazione dell’abuso fiscale (Cassazione 20398/2005, Cgue 21 febbraio 2006, Halifax, C- 255/02).

Alla luce di tali principi, secondo un orientamento pregresso della Cassazione anche l’articolo 20 del Tur fungeva, per l’imposta di registro, da vera e propria “norma antiabuso”. L’indirizzo più recente ha definitivamente abbandonato questo approccio, rilevando una netta differenza dell’articolo 20 rispetto all’abuso del diritto e all’elusione . Secondo quest'ultima interpretazione, l’articolo 20 attribuisce preminente rilievo alla «intrinseca natura» e agli «effetti giuridici» dell’atto, rispetto al suo «titolo» e alla sua «forma apparente», ma ciò non presuppone necessariamente che l’operazione oggetto di riqualificazione abbia carattere elusivo, men che meno evasivo o fraudolento (tra le altre sentenze 18454/2016, 24594/2015,).

Anche di recente la Suprema Corte ha ribadito (13610/2018) che, proprio per difetto di carattere e funzione antielusiva, all'attività di qualificazione dell’atto ex articolo 20, non sono applicabili le garanzie sostanziali e procedurali previste per la contestazione dell’abuso del diritto. Il massimario ha così concluso che la funzione strettamente interpretativa del negozio attribuibile all’articolo 20 del Tur, dimostra che non possa sussistere alcun concorso con la norma anti abuso poiché attengono al riscontro di fattispecie differenti: l’una (articolo 20) alla corretta individuazione dell’atto portato alla registrazione, l’altra (articolo 10 bis) nell’accertamento di una fattispecie di tipo abusivo in antitesi con il legittimo risparmio d'imposta. Precisazioni che offrono importanti spunti difensivi allorché, come si sta verificando, gli uffici, consapevoli della portata restrittiva della nuova versione dell’articolo 20, utilizzino la generale norma anti abuso per contestare comunque l’operazione portata alla registrazione.

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