Niente frode se la vendita non è simulata
Non integra il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, la cessione di beni da una società a un’altra riconducibili allo stesso amministratore se la compravendita è avvenuta realmente e ciò anche se il denaro incassato è stato utilizzato al soddisfacimento di creditori diversi dall’erario. A fornire questo importante chiarimento è la Corte di cassazione, terza sezione penale, con la sentenza n. 10161 depositata ieri.
La legale rappresentante di una srl anziché porre in liquidazione la società, vendeva a una sas a lei riconducibile tutti i beni sociali. Secondo la Procura, l’intera cessione costituiva una sottrazione fraudolenta al pagamento dell’Iva ed essendo superate le soglie di rilevanza penale indagava l’amministratrice del reato previsto dall’articolo 11 del Dlgs 74/2000. Il Tribunale riteneva che il fatto non sussisteva, mentre la Corte di appello, in accoglimento del ricorso del Procuratore, riformava la sentenza e condannava la legale rappresentante.
L’imputata ricorreva così in Cassazione lamentando un’errata interpretazione del citato articolo 11. La Suprema Corte ha innanzitutto rilevato che la norma è volta a impedire che il contribuente si liberi del proprio patrimonio al fine di rendere inefficace l’eventuale riscossione coattiva intentata dall’erario. Tuttavia, al fine del perfezionamento del delitto occorrono due condotte alternative costituite dalla vendita simulata dei beni ovvero dal compimento di atti fraudolenti.
La vendita simulata è il negozio caratterizzato da una divergenza tra la volontà dichiarata e la volontà reale. Il programma contrattuale, quindi, non corrisponde alla effettiva volontà dei contraenti. La nozione di atto fraudolento, invece, non è così univoca. I giudici di legittimità, richiamando alcune pronunce sul punto, hanno ricordato che è sussistente quando si tratta di:
un’alienazione che sebbene effettiva, sia idonea a rappresentare una realtà (la riduzione del patrimonio del debitore) non corrispondente al vero;
uno stratagemma artificioso finalizzato a sottrarre garanzie in favore dell’erario;
una condotta atta a vanificare l’esito dell’eventuale esecuzione tributaria coattiva.
Il concetto di frode richiamato dalla norma presuppone così non soltanto la lesione del diritto (di garanzia) dell’erario, ma che la condotta sia attuata con l’inganno volto a configurare una situazione di apparenza diversa dalla realtà. In altre parole, occorre che apparentemente sembri ridotto il patrimonio, ma in realtà non lo sia. Non è pertanto sufficiente una vendita in sé e per sé, poiché è necessario che sia simulata, attuata con fraudolenza.
Nella specie, l’imputata aveva venduto attrezzature da una società a un’altra sempre a essa riconducibili ed il denaro incassato era stato utilizzato per pagare altri debiti. La Cassazione ha precisato che il soddisfacimento di altri creditori non costituisce la fraudolenza richiesta dalla norma, poiché la cessione era avvenuta senza alcuna simulazione o altri atti ingannevoli.
Corte di cassazione – Sentenza 10161