Civile

No alla Ctu che acquisisce documenti non presentati per tempo dalle parti

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di Filippo Martini

Il giudice non può conferire al consulente tecnico d’ufficio (Ctu) un mandato talmente ampio da includere e sostituire gli oneri di allegazione e di prova che incombono sulle parti del processo. Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza 31886 del 6 dicembre 2019, la quale ha ritenuto nulla un’indagine tecnica svolta in un giudizio, nella quale il consulente aveva acquisito documentazione non prodotta dalle parti nei termini processuali e di legge e in assenza di qualsiasi contraddittorio fra loro.

Il ruolo del consulente

Nel processo civile, l’accertamento tecnico costituisce un importante contributo istruttorio di cui spesso il giudice si avvale per acquisire quelle informazioni specialistiche che non possono fare parte del bagaglio culturale delle parti e del magistrato. Ad esempio, nel caso esaminato dalla Cassazione, la consulenza era volta a determinare se vi fosse stato o meno un errore degli operatori sanitari che avevano in cura un paziente deceduto in sala operatoria.

In casi come questo, l’apporto del consulente nominato dal giudice è determinante per verificare se i sanitari hanno commesso negligenze professionali e con quali conseguenze: senza queste informazioni difficilmente il giudice potrebbe accogliere o respingere la richiesta di risarcimento.

Tuttavia, secondo la Cassazione, l’indagine del Ctu può essere svolta solo sui fatti e sui documenti che le parti hanno allegato e depositato nei termini di legge, mentre al consulente è preclusa ogni attività che porti ad acquisire elementi non provenienti dalle parti.

La decisione

La prassi processuale talvolta porta ad ampliare il perimetro dell’indagine del Ctu, fino a “sanare” delle carenze probatorie delle parti. Ma la Cassazione ricorda che questa inammissibile estensione del mandato all’ausiliario determina persino la nullità della stessa consulenza e, per essa, anche della decisione finale.

Con la sentenza 31886/2019, infatti, la Suprema corte ha accolto il ricorso della parte che lamentava l’introduzione nel processo di una cartella clinica che l’azienda sanitaria non aveva in precedenza prodotto e che aveva costituito la base istruttoria per respingere la domanda di responsabilità contro l’ospedale.

Nel dettaglio, la Cassazione chiarisce che:

il giudice non può indagare d’ufficio su fatti mai realmente allegati dalle parti;

il Ctu non può acquisire di sua iniziativa la prova dei fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione;

queste regole non sono derogabili per ordine del giudice o per acquiescenza delle parti;

la nullità della consulenza, svolta in violazione di questi principi obbligatori, è assoluta e sempre rilevabile, anche d’ufficio, fino al passaggio in giudicato della sentenza.

I precedenti

La decisione si colloca in un solco di precedenti giurisprudenziali non sempre uniformi.

La Cassazione si allinea alla giurisprudenza che ritiene inderogabile l’obbligo delle parti di allegare fatti e documenti a sostegno della propria istanza in giudizio e, di contro, la nullità di ogni decisione che si sia basata su elementi istruttori introdotti nel processo in violazione di questo principio.

Del resto, la Cassazione già in passato ha stabilito (sentenza 6093/2013) che la stessa motivazione della sentenza – ove recepisca acriticamente il contenuto di una Ctu tecnica – si espone alle stesse censure proponibili all’elaborato peritale, tanto da essere travolta assieme a questo.

La giurisprudenza

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