Non è risarcibile il danno di affezione per la perdita dell'animale
La perdita dell'animale di affezione, a seguito di un fatto illecito, può portare solo al risarcimento del danno patrimoniale, quantificato sulla base di una serie di parametri di tipo economico, quale il valore di mercato dell'animale o il suo eventuale stato di gravidanza; ma non comporta in alcun modo un risarcimento di tipo morale, in quanto il ristoro del danno non patrimoniale ex articolo 2059 del codice civile è dovuto solo per la lesione di diritti della persona costituzionalmente garantiti. In questi sono ricompresi solo i diritti dell'individuo, «quelli cioè rientranti nel nucleo primigenio della tutela della persona, inalienabili e incoercibili», tra i quali non è ricompresa l'affezione per un animale di compagnia. Questo è quanto afferma il Tribunale di Rieti nella sentenza n. 347/2019.
Il caso - La decisione ha ad oggetto le conseguenze risarcitorie della morte di un animale, nello specifico una cagna di razza, dal pedigree molto pregiato e gravida di sei cuccioli, avvenuta in seguito ad un concatenarsi di eventi. Era accaduto che il proprietario dell'animale si era rivolto presso una clinica veterinaria in quanto il cane aveva ingerito materiali non commestibili – in seguito rivelatisi brandelli di coperta e una noce - e presentava evidenti problemi di salute. Il veterinario effettuava esami del sangue ed ecografia, riscontrando che l'esofago e l'intestino del cane erano liberi da ostruzioni, sconsigliando di effettuare una radiografia, visto lo stato di gravidanza dell'animale. Nel pomeriggio dello steso giorno, preoccupato per lo stato di salute del suo cane, rimasto inalterato, il proprietario si recava nuovamente presso il centro veterinario dove un secondo medico eseguiva una radiografia e successivo intervento di laparotomia intestinale, estraendo la noce ingerita ma senza rimuovere la zona di necrosi a monte del taglio chirurgico. Nonostante l'intervento, le condizioni dell'animale non miglioravano, sicché il proprietario decideva di rivolgersi ad un centro specializzato fuori città, dove però il cane moriva nel giro di qualche ora.
Le richieste di risarcimento - La vicenda così dalle sale del centro veterinario si spostava in Tribunale, dove il proprietario del cane chiedeva un ingente risarcimento per i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti a causa del decesso dell'animale, stimati in addirittura 100 mila euro, tra valore economico del cane di razza, soldi spesi per corsi di addestramento, perdita della cucciolata e di altre possibili future, perdita di chance, nonché depressione in quanto «attraverso la cura dell'animale, realizzava la propria esistenza e la propria personalità». I medici citati in giudizio, assieme al titolare del centro veterinario, dal canto loro, si difendevano sostenendo di aver operato correttamente e che la morte del cane fosse imputabile, innanzitutto, allo stesso proprietario, reo di non aver vigilato a sufficienza sull'animale e di aver omesso le informazioni necessarie per salvare la vita dello stesso.
Il Tribunale con una lunga e ben argomentata sentenza accoglie la domanda risarcitoria sotto il profilo patrimoniale, seppur riducendo fortemente l'importo del pregiudizio, e respinge la richiesta di danno morale, non ritenendo che la perdita di animale d'affezione possa condurre ad un simile ristoro.
Il danno patrimoniale - Quanto all'aspetto patrimoniale, il giudice laziale, alla luce delle regole sulla responsabilità professionale del prestatore d'opera intellettuale - quale appunto è il veterinario - disciplinata dagli articoli 1176 comma 2 e 2236 del codice civile, ritiene che i due medici avrebbero dovuto provare che il loro insuccesso fosse dipeso da problemi tecnici di particolare difficoltà, circostanza non avvenuta; mentre il proprietario del cane ha dimostrato l'erroneità e inadeguatezza della prestazione professionale, il danno e il nesso di causalità. Nel caso di specie, però, sostiene il Tribunale, sotto il profilo eziologico, anche la condotta del proprietario è stata rilevante per la morte del cane e, di conseguenza, tale comportamento deve essere valutato sul piano della causalità materiale, ex articolo 1227 comma 1 cod. civ. Pertanto, conclude sul punto il giudice, la morte della cagna va imputata al 50% ciascuno, da una parte i veterinari, dall'altra il proprietario dell'animale, con danno stimato in favore di quest'ultimo – per mezzo dell'ausilio di consulenza tecnica – pari a circa 4 mila euro, considerando «l'alta genealogia, il rilevante pregio, la giovane età e la piena salute dell'animale», oltre allo stato di gravidanza della medesima.
Non è risarcibile il danno non patrimoniale - Quanto all'aspetto non patrimoniale, il Tribunale ritiene che la condotta dei convenuti non possa integrare gli estremi di alcun reato, escludendo in tal modo un risarcimento di tipo morale, come sostenuto tra l'altro dalla giurisprudenza maggioritaria, per la quale «la morte di un animale non costituisce lesione di alcun valore della persona costituzionalmente protetto». Ebbene, ricorda il giudice, non è riconducibile «ad alcuna categoria di danno non patrimoniale risarcibile la perdita, a seguito di un fatto illecito, di un animale di affezione, in quanto essa non è qualificabile come danno esistenziale consequenziale alla lesione di un interesse della persona umana alla conservazione di una sfera di integrità affettiva costituzionalmente tutelata». Tali interessi, infatti, comprendono solo i diritti fondamentali dell'individuo «e tra questi non rientra l'affezione, pur intensa, che si possa provare per un animale».
Tribunale di Rieti - Sezione civile - Sentenza 4 maggio 2019 n. 347