Penale

Non «paga» la società se l’infortunio non c’entra con il risparmio dei costi

Confermata la condanna del datore di lavoro ma esclusa la 231 per l’ente

di Patrizia Maciocchi

L’ente non è responsabile per l’incidente subìto dal lavoratore, se la violazione delle norme anti infortunistiche è il risultato di una sottovalutazione del rischio ma senza l’intenzione di risparmiare sui costi, massimizzando i profitti. La Cassazione ( sentenza 22256) conferma la condanna del datore di lavoro per lesioni, ma esclude la responsabilità dell’ente, prevista dal Dlgs 231/2001, quando il reato viene commesso nel suo interesse o a suo vantaggio. I giudici di legittimità circoscrivono il raggio d’azione della norma per evitare che questa venga applicata in automatico «dilatando a dismisura il suo ambito di operatività ad ogni caso di mancata adozione di qualsivoglia misura di prevenzione».

L’assenza di una misura di prevenzione - sottolinea la corte - comporta quasi sempre un risparmio di spesa che non è sempre rilevante o intenzionale. Se il giudice accerta dunque che il risparmio, frutto delle omesse cautele, è esiguo e inserito in un contesto di generale osservanza da parte dell’impresa delle norme sulla sicurezza del lavoro, occorre per lui trovare una prova stringente del requisito dell’interesse e del vantaggio. Nel primo caso va , infatti, dimostrato che l’impresa ha fatto oggettivamente prevalere l’esigenza del profitto sulla salute dei lavoratori, cercando un risparmio di spesa o un potenziamento della produzione. Partendo da questo principio i giudici confermano la condanna del l’amministratore delegato ma salvano l’impresa, annullando con rinvio. Alla base della sentenza l’infortunio subìto dal dipendente di una società di selezione dei rifiuti, investito da un muletto. La condanna del legale rappresentante era scattata per non aver organizzato una viabilità a prova di rischio, compreso un percorso per i mezzi, delimitato da una striscia rossa: cautela indicata dalla Asl.

Per la Corte d’Appello la “colpa” dell’ente stava nell’aver accelerato la produzione, grazie al percorso libero delle macchine e nel risparmio sull’opera di un consulente.

La Suprema corte sottolinea però che la società si era avvalsa di un consulente per predisporre un piano di valutazione del rischio, anche se aveva seguito criteri diversi da quelli dettati dalla Asl. Mancava poi anche la prova che il percorso non obbligato fosse più veloce.  Né era rilevante il risparmio del costo della vernice rossa, per la segnaletica orizzontale. Questo in una società attenta alla sicurezza, nella quale mancavano da parte della persona fisica le violazioni sistematiche della prevenzione, tali da ridurre i costi e far scattare l’elemento del vantaggio per l’ente.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©