Responsabilità

Non può intervenire in giudizio per chiedere il risarcimento il terzo estraneo al processo che viene offeso in uno degli atti

Lo ha precisato alla Sezione II della Cassazione con l' ordinanza 36345/2022

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di Mario Finocchiaro

Il terzo estraneo al processo a cui l'espressione ingiuriosa sia riferita in uno degli atti di parte non può intervenire in giudizio per chiedere il risarcimento dei danni. Egli, infatti, non è portatore di alcun diritto relativo all'oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo su cui statuirà la sentenza che decide la causa, atteso che l'azione a difesa del proprio onore ha carattere non soltanto di indipendenza, ma di estraneità assoluta rispetto ai diritti in contestazione. Conseguentemente, il terzo estraneo al giudizio asseritamente offeso da frasi contenute negli atti di causa può soltanto agire autonomamente, in altro processo, per chiedere il risarcimento dei danni, ma non può ottenere tutela ai sensi dell'art. 89 Cpc poiché è necessario armonizzare questo articolo con la previsione dell'art. 105 Cpc. Questo il principio espresso dalla Sezione II della Cassazione con l' ordinanza 36345/2022. 36345 .

I precendenti
Nello stesso senso, il terzo, estraneo al giudizio, il quale si ritenga leso da espressioni offensive contenute negli scritti di causa presentati da una delle parti, non è legittimato ad intervenire nel giudizio medesimo, per ottenere la cancellazione di esse e il risarcimento dei danni morali. In tale ipotesi, a parte la potestà di del giudice civile di disporre d'ufficio la cancellazione della espressioni offensive nei riguardi del terzo, questi può tutelare il proprio onore esercitando il diritto di querela, nonché l'azione civile per il risarcimento del danno, anche non patrimoniale cagionato dal reato, Cassazione, sentenza 10 marzo 1950, n. 627, in Massimario giurisprudenza italiana, 1950, c. 165.
Sostanzialmente nella stessa ottica, ricordata in motivazione, nella pronunzia in rassegna, e, in particolare, per l'affermazione che l'articolo 89, comma 2, Cpc che prevede la possibilità di assegnare alla persona offesa dalle espressioni sconvenienti od offensive contenute negli atti difensivi di un giudizio, una somma a titolo di risarcimento del danno anche non patrimoniale, non trova applicazione quando l'offeso non sia una delle parti ma il giudice che ha deciso la controversia, Cassazione, sentenza 20 ottobre 2011, n. 21696, in Corriere giuridico, 2012, p. 349, con nota di Conte R., In tema di responsabilità civile e deontologica dell'avvocato: novità giurisprudenziali e normative, nonché in Danno e responsabilità, 2012, p. 489, con nota di Bugatti L. Offesa di avvocato a magistrato: responsabilità ex art. 89 c.p.c.?

Espressioni offensive negli atti del processo
Per altri riferimenti, nel senso che in tema di risarcimento del danno per le espressioni offensive contenute negli atti del processo, l'articolo 89 Cpc devolve al giudice del processo, cui gli atti si riferiscono, il giudizio circa l'applicazione in concreto delle sanzioni previste; tuttavia - poiché la responsabilità processuale ha natura analoga a quella aquiliana, e, quindi, l'antigiuridicità dei comportamenti non si esaurisce nell'ambito del processo - quando il procedimento, per qualsiasi motivo, non si concluda con sentenza (come nel caso di estinzione del processo) ovvero quando i danni si manifestino in uno stadio processuale in cui non sia più possibile farli valere tempestivamente davanti al giudice di merito (come nel caso in cui le frasi offensive siano contenute nella comparsa conclusionale del giudizio di primo grado) ovvero quando la domanda sia avanzata nei confronti non della parte ma del suo difensore, l'azione di danni per responsabilità processuale può essere proposta davanti al giudice competente secondo le norme ordinarie, Cassazione, sentenze 7 agosto 2001, n. 10916, in Guida al diritto, 2001, fasc. 35, p. 28, con nota di Sacchettini E., Se la domanda è diretta nei confronti del legale cade l'obbligo di decidere nella causa principale; 18 luglio 2003, n. 11253 e 9 luglio 2009, n. 16121.
In quest'ultimo senso, competente ad accertare e liquidare il danno derivante dall'uso di espressioni offensive contenute negli atti del processo, ai sensi dell'articolo 89 Cpc, è di norma lo stesso giudice dinanzi al quale si svolge il giudizio nel quale sono state usate le suddette espressioni; a tale competenza, tuttavia, è necessario derogare quando il giudice non possa, o non possa più, provvedere con sentenza sulla domanda di risarcimento, come accade, in particolare, quando la domanda di risarcimento sia proposta nei confronti non della parte ma del suo difensore, Cassazione, sentenza 9 luglio 2009, n. 16121, in Giustizia civile, 2009, I, p. 2378.
In termini generali, nel senso che il difensore della parte è passivamente legittimato, a titolo personale, nell'azione per danni da espressioni offensive contenute negli atti di un processo, proposta davanti ad un giudice diverso da quello che ha definito quest'ultimo, ove sia prospettata una specifica responsabilità del difensore stesso o non sia più possibile agire ai sensi dell'articolo 89 Cpc per lo stadio processuale in cui la condotta offensiva ha avuto luogo, Cassazione, ordinanze 29 agosto 2913, n. 19907 ; 12 settembre 2013, n. 20891; 19 febbraio 2016, n. 3274.

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