Professione e Mercato

"Palmario" avvocati, per le Sezioni Unite c'è sempre l'obbligo di fatturazione

Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 16252/2023, respingendo il ricorso di un legale

di Francesco Machina Grifeo

Il "palmario", la componente aggiuntiva del compenso, riconosciuta dal cliente al difensore in caso di esito favorevole della lite a titolo di premio o di emolumento straordinario per l'importanza e difficoltà della prestazione professionale, è soggetto all'obbligo di fatturazione, e la relativa inosservanza espone il legale a una sanzione disciplinare per violazione del dovere di adempimento fiscale. Lo hanno stabilito le Sezioni unite civili, con la sentenza n. 16252/2023, respingendo il ricorso dell'avvocato.

Il Consiglio distrettuale di disciplina di Bergamo aveva irrogato la sanzione della censura al legale per essere venuto meno ai doveri di fedeltà, correttezza, probità e diligenza. Contro questa decisione il professionista aveva promosso ricorso contestando l'assoggettabilità del "palmario" all'obbligo fiscale di fatturazione, in quanto somma integrante una mera "regalia". Per il Cnf, tuttavia, diversamente da quanto dedotto dall'incolpato, il "palmario" costituisce una vera e propria componente aggiuntiva del compenso, ancorché di natura premiale, che viene corrisposta dal cliente in caso di esito favorevole della lite e, per tale ragione, è soggetto al generale obbligo di emissione del documento fiscale. Mentre, l'asserito intento liberale era comunque smentito "da plurimi elementi oggettivi emersi nel corso dell'istruttoria dibattimentale e, in particolare, dalla circostanza che l'incolpato aveva ottenuto, nei confronti della cliente, un decreto ingiuntivo per il pagamento del saldo del compenso aggiuntivo pattuito".

Proposto ricorso la Cassazione lo ha respinto. Per le S.U. la connotazione premiante del "palmario" non fa venir meno la sua natura di compenso: "come tale, esso soggiace agli obblighi fiscali previsti dalla legge ed al relativo obbligo di fatturazione". Il codice deontologico forense, del resto, richiama il dovere di adempimento fiscale, prevedendo, all'art. 16, che l'avvocato deve provvedere agli adempimenti fiscali previsti dalle norme in materia.

A sua volta, prosegue la decisione, l'art. 29, terzo comma, dello stesso codice fa obbligo all'avvocato di emettere il prescritto documento fiscale per ogni pagamento ricevuto. Viene in rilievo, l'art. 21 del Dpr n. 633 del 1972 in base al quale l'obbligo di fatturazione va assolto all'atto del pagamento del corrispettivo, quando, cioè, la prestazione professionale dell'avvocato si considera effettuata.

Pertanto, "l'avvocato ha l'obbligo, previsto dagli artt. 16 e 29, terzo comma, del codice deontologico, di emettere fattura tempestivamente e contestualmente alla riscossione di ogni pagamento ricevuto, anche quando l'attribuzione patrimoniale effettuata in favore del medesimo costituisca adempimento del "palmario" convenuto in sede di conferimento del mandato difensivo".

L'inosservanza di tale precetto, dunque, ha rilevanza disciplinare. L'obbligo di fatturazione costituisce, infatti, espressione dei doveri di solidarietà e correttezza fiscale, cui l'avvocato è tenuto, non soltanto in funzione della giusta redistribuzione degli oneri, ma anche a tutela della propria immagine e, più in generale, della credibilità della classe forense. Il dovere di lealtà e correttezza fiscale nell'esercizio della professione, conclude la Corte, è un canone generale dell'agire di ogni avvocato, che mira a tutelare l'affidamento che la collettività ripone nell'avvocato stesso quale professionista leale e corretto in ogni ambito della propria attività.

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