Il CommentoPenale

Particolare tenuità del fatto, qualche breve riflessione sull'ampliamento dell'ambito di operatività

La velocizzazione della "macchina" della giustizia penale ha portato a soluzioni quantomeno discutibili non solo nella ottica della tutela dei diritti e delle garanzie dell'imputato, ma anche in relazione all'ampliamento della sfera di operatività di istituti che, all'opposto, offrono una via di "fuga" talvolta forse troppo benevola dalla sanzione penale

immagine non disponibile

di Francesco Giovannini*

Come è noto, la riforma cd. "Cartabia" (D.Lgs. n. 150 del 10 ottobre 2022) ha inciso anche sulla sfera di operatività dell'istituto della "particolare tenuità del fatto", peculiare causa di esclusione della punibilità prevista dall'art. 131-bis c.p.

L'ambito di applicazione della "particolare tenuità del fatto" è stato significativamente esteso, perché:
• l'istituto è ora applicabile a tutti i reati - tranne quelli espressamente esclusi - per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel minimo ai due anni di reclusione (è quindi stata eliminata l'inapplicabilità dell'istituto a tutti i reati con pena massima superiore ai cinque anni, con la conseguenza che, in base alla normativa oggi vigente, la "tenuità del fatto" può essere dichiarata anche in relazione a reati puniti con una pena massima superiore ai cinque anni di reclusione);
• la "particolare tenuità dell'offesa" è ora (a differenza di prima) valutabile anche in relazione alla "condotta susseguente al reato" da parte del colpevole.

Ciò è indubbiamente coerente con la ratio della riforma, dichiaratamente orientata (stante gli impegni assunti dallo Stato italiano in relazione ai fondi del PNRR) a dare impulso e a favorire la più estesa applicazione possibile degli istituti finalizzati alla deflazione del carico penale.

Se sono chiari gli scopi perseguiti dal Legislatore, qualche riflessione sembra essere lecita circa la condivisibilità di questo costante ampliamento dell'ambito di applicazione di quegli istituti che sembrano comportare una sorta di "fuga" dalla sanzione penale e, forse, anche un parziale svilimento della funzione generale special-preventiva della sanzione penale stessa.

Ciò vale per la "tenuità del fatto", ma considerazioni simili potrebbero essere avanzate anche per la cd. "messa alla prova" ex art. 168-bis c.p. , la cui sfera di operatività risulta parimenti ampliata per effetto dell'entrata in vigore della riforma "Cartabia".

In sostanza, rimanendo nel "campo" della "particolare tenuità del fatto", oggi possono finire per non risultare penalmente perseguibili reati anche di una certa rilevanza sotto il profilo del loro nomen iuris o della pena astrattamente loro applicabile.

Intendiamoci. L'esigenza di estromettere dall'alveo della sanzione penale fatti/offese (penalmente rilevanti ma) "particolarmente tenui" è conforme al concetto di extrema ratio dell'illecito penale e al basilare "principio di offensività", secondo il quale questo tipo di sanzione, per la sua peculiare gravità e afflittività, deve essere riservata ai soli fatti che comportino una reale ed effettiva lesione del bene giuridico protetto. Se così è, il fulcro della questione rimane incentrato – come sempre – sulla corretta applicazione dell'istituto in sede giurisdizionale, nel senso che il giudice dovrebbe applicare la causa di non punibilità in parola soltanto nei casi in cui il fatto (rectius: l'offesa arrecata dal fatto penalmente rilevante) sia non solo semplicemente "tenue", ma, bensì, "particolarmente tenue", come esige la lettera e la ratio della legge; solo in questi casi lo Stato, dinanzi a fatti penalmente rilevanti, può rinunciare alla sua potestà punitiva.

Se la teoria è chiara, al solito meno pacifica è l'applicazione di questi principi in sede giurisdizionale, dove talvolta si registra una certa ingiustificata leggerezza, che, se è spesso ben accolta da noi avvocati (che il più delle volte assistiamo gli indagati/imputati), suscita qualche perplessità sul piano sistematico e apre le porte ad una possibile disparità di trattamento, giacchè non è alle volte agevole qualificare un'offesa come "particolarmente tenue" (e ciò può dar luogo a decisioni difformi difronte a situazioni sostanzialmente assimilabili).

Non a caso il diritto penale tradizionale (quello destinato ai maggiorenni), anche allo scopo di evitare significative disparità di trattamento, ha sempre ricollegato ai concetti di "tenuità" (dell'offesa recata, del danno procurato, del disvalore complessivo del fatto-reato, etc.) non già una causa di non punibilità ma un trattamento più mite in sede sanzionatoria, magari sotto forma di attenuante. Siccome, ovviamente, queste attenuanti rimangono presenti (e piuttosto frequenti) nell'ordinamento penale, diventa talvolta arduo comprendere quando la "tenuità" del fatto debba comportare semplicemente uno "sconto" di pena o quando possa/debba addirittura comportare la non punibilità di un soggetto che abbia commesso un reato.

Sotto altro versante, se è vero che noi difensori siamo spesso dalla parte dell'indagato/imputato, per cui accogliamo con favore l'ingresso nell'ordinamento di nuove forme di esenzione della responsabilità penale, a mio avviso non deve essere trascurato il punto di vista della persona offesa/parte civile nel procedimento penale, che ha una legittima aspettativa che lo Stato persegua in sede penale (anche) i fatti "tenui", che magari possono essere (e spesso sono) di non particolare rilevanza dal punto di vista del loro oggettivo disvalore penale ma che spesso sono tutt'altro che tenui nell'ottica di coloro che tali reati abbiano subito.

La riflessione di fondo concerne, se vogliamo, la stessa ratio sottesa alla riforma "Cartabia". L'esigenza di "accorciare" la durata del procedimento penale (con modifiche sostanziali e processuali) è certamente condivisibile, a condizione che - come abbiamo scritto anche in altre circostanze – ciò non vada ad intaccare gli inviolabili diritti di difesa degli imputati, che hanno diritto ad un processo giusto, che non venga sacrificato da indebite accelerazioni che finiscano per comprimere i loro diritti.

L'impressione è che questa intenzione di velocizzare a tutti i costi la "macchina" della giustizia penale abbia portato a soluzioni quantomeno discutibili non solo nella (certamente prioritaria) ottica della tutela dei diritti e delle garanzie dell'imputato, ma anche in relazione all'ampliamento della sfera di operatività di istituti (quale la "particolare tenuità del fatto" e, in parte, la "messa alla prova") che, all'opposto, offrono una via di "fuga" talvolta forse troppo benevola dalla sanzione penale.

_____
*A cura di Francesco Giovannini, Head of White Collar Crimes Department di Eversheds Sutherland