Patrocinio infedele solo se il cliente subisce un danno
In caso di astensione del difensore dall’attività processuale per la quale il legale aveva ricevuto il mandato, non è configurabile il reato di patrocinio infedele se non vi è la prova del nocumento per gli interessi del cliente, che sia derivato da tale condotta inadempiente. Questo è quanto si desume dalla sentenza 3051/2016 della Corte d’appello di Napoli.
I fatti - Protagonista della vicenda è un avvocato che aveva ricevuto l’incarico di difendere gli interessi dei debitori nell’ambito di un procedimento per espropriazione forzata immobiliare. In particolare, il legale avrebbe dovuto bloccare o sospendere la procedura esecutiva che vedeva aggredito un loro immobile da parte di alcuni creditori. Tuttavia, l’avvocato, nonostante avesse ricevuto la somma di 20 mila euro, necessaria a suo dire per evitare la vendita all’asta, solamente 2 anni più tardi proponeva opposizione all’esecuzione con richiesta di sospensione del processo esecutivo, che veniva però respinta dal Giudice dell’Esecuzione. In seguito, i debitori revocavano l’incarico e la vicenda si chiudeva con un accordo stragiudiziale intervenuto con il creditore cessionario.
Il giudizio di primo grado - L’avvocato veniva successivamente imputato del reato di cui all’articolo 380 del Cp, e condannato in primo grado, perché rendendosi infedele ai suoi doveri aveva arrecato un danno agli interessi dei sui clienti, consistente nell’impossibilità di chiedere la conversione del pignoramento, di conoscere tempestivamente le possibili strategie difensive o di conoscere l’avviso della fissazione della data dell’asta.
In appello il legale chiedeva però nuovamente di essere assolto in quanto, anche se con ritardo, l’opposizione era stata proposta e il cattivo esito della stessa non poteva essere addebitato all’avvocato perché respinto per infondatezza. E, inoltre, non era chiaro quali fossero i danni sofferti dai clienti, posto che il giudizio di colpevolezza del Tribunale era fondato sulle sole dichiarazioni delle persone offese, che avevano un interesse economico antagonista a quello dell’imputato.
La decisione della Corte d’appello - Tali argomenti risultano decisivi per la Corte d’appello che cambia il verdetto ed assolve l’avvocato. Per i giudici, non c’è dubbio che la condotta del legale sia stata gravemente inadempiente rispetto ai doveri professionali, avendo costui presentato il ricorso dopo due anni ed essendosi fatto comunque consegnare una ingente somma di danaro. Tuttavia, l’inadempimento ai propri obblighi professionali ha valore in sede civilistica, ma per assumere rilevanza in sede penale deve essere accompagnato da un concreto danno arrecato al proprio cliente. E nella fattispecie non è emerso che il rigetto dell’opposizione sia dovuto alla tempistica con la quale il ricorso era stato presentato e, soprattutto, «non si comprende quale danno concreto le parti avrebbero subito» dall’impossibilità di conoscere le strategie difensive o la data di fissazione dell’asta «non essendo d’altronde questi gli inadempimenti che il capo di imputazione».
Corte d'appello di Napoli - Sezione III penale - Sentenza 23 marzo 2016 n. 3051