Penale

Patrocinio pubblico con autocertificazione per i cittadini extra Ue

Il rimedio all’inerzia dei consolati sui redditi prodotti all’estero

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di Giovanni Negri

Non è ragionevole, e contrasta con l’effettività del diritto di difesa, che il cittadino di un Paese non aderente all’Unione europea non abbia diritto al patrocinio a spese dello Stato soltanto perché si trova nell’impossibilità di produrre la certificazione dell'autorità consolare richiesta per i redditi prodotti all’estero.

È quanto ha affermato la Corte costituzionale con la sentenza 157 depositata oggi e scritta da Emanuela Navarretta), dichiarando illegittimo l’articolo 79, comma 2, del Dpr 115/2002, nella parte in cui non consente al cittadino di Stati non appartenenti all’Unione europea di dimostrare di aver fatto tutto il possibile, in base a correttezza e diligenza, per presentare la richiesta documentazione, e quindi di produrre una dichiarazione sostitutiva di questa documentazione.

L’intervento della Corte nasce da un procedimento nel quale due cittadini di nazionalità indiana avevano proposto opposizione al provvedimento di diniego del permesso di soggiorno per lavoro stagionale.

I due ricorrenti si erano visti negare il beneficio del patrocinio a spese dello Stato in quanto l’ambasciata e il consolato indiano in Italia non avevano dato riscontro alla loro richiesta di certificare la mancanza di redditi all’estero.

La sentenza osserva che la norma oggetto di contestazione «palesa rilevanti distonie, posto che, avvalendosi del mero criterio della cittadinanza, richiede, stando alla sua lettera, la certificazione dell’autorità consolare competente per i redditi prodotti all’estero solo ai cittadini di Stati non aderenti all’Unione europea e non anche a quelli italiani o ai cittadini europei, che pure possano aver prodotto redditi in Paesi terzi rispetto all’Unione europea; al contempo, la medesima disposizione sembra pretendere dai cittadini degli Stati non aderenti all’Unione europea la certificazione consolare per qualsivoglia reddito prodotto all’estero, compresi quelli realizzati in Paesi dell’Unione».

Ma soprattutto, avverte la Consulta, a essere assente è un meccanismo che, come invece avviene per il processo penale, permette di reagire alla mancata collaborazione dell’autorità consolare, così bilanciando la necessità di richiedere un più rigoroso accertamento dei redditi prodotti in Paesi non aderenti all’Ue, per i quali è più complesso accertare la veridicità di quanto dichiarato, con l’esigenza di non addebitare al medesimo richiedente anche il rischio dell’impossibilità di procurarsi la specifica certificazione richiesta.

La Corte percorre poi la strada della pronuncia additiva, assicurando la tenuta costituzionale della norma, integrando la previsione sull’onere probatorio, con la possibilità per l’interessato di produrre, a pena di inammissibilità, una «dichiarazione sostitutiva di certificazione» relativa ai redditi prodotti all’estero, una volta dimostrata l’impossibilità di presentare la richiesta certificazione. per provare i redditi prodotti all’estero.

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