Penale

Patteggiamento: l’imputato orienta il giudice sulle pene accessorie

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di Patrizia Maciocchi

Dopo la sentenza della Consulta che ha bocciato le pene accessorie in misura fissa per la bancarotta fraudolenta, il patteggiamento è nullo. E le parti devono, ora poter dire la loro anche sulle pene accessorie, orientando il giudice che, non più vincolato ad una pena obbligatoria, ma graduabile, si trova a valutare nel “delta” aperto dalla Consulta, con un margine simile a quello che ha nel determinare la pena principale.

Per questo le parti vanno ricondotte nella situazione iniziale precedente il patteggiamento «potendo - scrivono i giudici - le stesse, nella scena “negoziale” del rito patteggiato che ha ad oggetto la determinazione pattizia della pena complessivamente intesa, decidere di far rientrare anche la misura della sanzione accessoria, ex articolo 216 della legge fallimentare, con funzione di orientamento e di indicazione al giudice nell’uso dei suoi poteri valutativi».

E la Cassazione avverte che quanto più valore si darà all’indicazione della parte per raggiungere una misura concordata anche della sanzione accessoria, tanto più si incentiverà la volontà di patteggiare la pena. L’imputato, potrebbe, infatti, eventualmente ritenere ingiusto o semplicemente non conveniente aderire a un accordo che indichi, a suo giudizio, una misura della sanzione accessoria sproporzionata rispetto al disvalore del fatto commesso.

Se così fosse può dunque decidere per altri riti, magari caratterizzati da una maggiore possibilità di rappresentare al giudice, sul piano dialettico, le proprie ragioni.

Per la Suprema corte la pronunce della Corte costiuzionale prima , e dopo quella delle Sezioni unite che ne ha recepito i principi ampliando il campo di operatività oltre il caso specifico, hanno aperto nuovi spazi di riflessione sulla natura della pena accessoria, prevista dall’ultimo comma dell’articolo 216 della legge fallimentare che, per come viene oggi ricostruita, «implica molteplici finalità - retributive, preventive di carattere generale e speciale, nonché rieducative - realizzate mediante il forzato allontanamento del reo dal medesimo contesto operativo, professionale, economico e sociale, nel quale sono maturati i fatti criminosi». I giudici precisano che le parti non hanno alcun interesse a interloquire solo quando la sanzione accessoria è obbligata nell’an e nel quantum. Diverso nel caso di specie in cui, oltre alla misura variabile, c’è da considerare anche l’indubbio carattere di forte afflittività delle sanzioni interdittive e inabilitative che si riflettono direttamente nella vita lavorativa e professionale e sull’esercizio di diritti fondamentali della persona, spesso indipendentemente dall’esecuzione della pena principale. Un “peso” che potrebbe incidere sulla stessa volontà negoziale delle parti chiamate ad un accordo, la cui forza attrattiva sarà direttamente proporzionale alla possibilità per la parti di orientare il giudice, nella determinazione della pena accessoria.

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