Amministrativo

Per la diffusione di messaggi pubblicitari lo Stato e gli Enti territoriali sono assoggettati al nuovo canone unico patrimoniale

L'imprecisa definizione e circoscrizione del presupposto impositivo per le componenti pubblicitarie confrontata con il mutato regime delle esenzioni disposte per legge evidenzia il mutamento del quadro normativo e solleva il problema dell'assoggettamento al prelievo della pubblicità effettuata dallo Stato e dagli Enti territoriali

di Tommaso Ventre*


Il Legislatore, come noto, ha creato un prelievo a due teste, da una parte affidando l'applicazione del canone unico patrimoniale all' occupazione delle aree e dall'altra alla diffusione di messaggi pubblicitari mediante impianti. Il comma 819 dell'art. 1 della L. 160/2019 stabilisce infatti che " la diffusione di messaggi pubblicitari, anche abusiva, mediante impianti installati su aree appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile degli enti, su beni privati laddove siano visibili da luogo pubblico o aperto al pubblico del territorio comunale, ovvero all'esterno di veicoli adibiti a uso pubblico o a uso privato.".

Null'altro quindi oltre ad una formulazione di ampia portata che, almeno sulla carta, sembrerebbe coinvolgere una vastissima platea di soggetti. La laconicità di tale previsione si presta a trasformarsi agevolmente in lacunosità.

Anche il successivo comma 823, nell'individuare il soggetto tenuto al versamento del canone, sembra non restringere poi più di tanto il raggio d'azione prevedendo che "Il canone è dovuto dal titolare dell'autorizzazione o della concessione ovvero, in mancanza, dal soggetto che effettua l'occupazione o la diffusione dei messaggi pubblicitari in maniera abusiva; per la diffusione di messaggi pubblicitari, è obbligato in solido il soggetto pubblicizzato".

Nessun cenno, dunque, viene riportato ad ulteriori specificazioni e precisazioni in ordine, quanto meno, alla sfera di individuazione della platea contributiva.

Ora, anche all' osservatore più distratto, non può sfuggire come tale novella legislativa rischi di ingenerare non pochi conflitti interpretativi. Tanto più ed in ragione del fatto che, in materia di prelievo pubblicitario, rappresenta una vera e propria opzione adottata in piena discontinuità rispetto alla previgente normativa che, al comma 2 dell'art. 5 del Decreto Legislativo 507/93, sembrava voler contenere l'ambito applicativo riportando il presupposto a considerare ai fini dell'imposizione "rilevanti i messaggi diffusi nell'esercizio di una attività economica allo scopo di promuovere la domanda di beni o servizi, ovvero finalizzati a migliorare l'immagine del soggetto pubblicizzato"

Al di là quindi della questione attinente alla diversità terminologica adottata si obietterà che, comunque, anche il testo abrogato delineava un quadro impositivo tutto sommato ad ampio raggio comprendendo non soltanto i messaggi diffusi nell'ambito di un'attività economica ma anche quelli, più genericamente rivolti a migliorare l'immagine del soggetto pubblicizzato.

Tuttavia, l'impatto del prelievo era poi mitigato dalle fattispecie esonerative indicate nell'art. 17 del già citato D.Lgs. 507/93 che, non a caso, a solo titolo di esempio, alla lettera g) del comma 1 escludeva in radice l'imponibilità per la pubblicità comunque effettuata in via esclusiva dallo Stato e dagli enti pubblici territoriali.

Curiosamente, di tale previsione non vi è traccia alcuna al comma 833, che, riprendendo integralmente la previsione dell'art. 49, comma 1 lettera a) del D.Lgs. 507/93 regola le esenzioni fissate per legge, della nuova disciplina del canone unico. La lettera a) del comma 833 dispone infatti la tassativa esenzione "solo" per le occupazioni effettuate dallo Stato, dalle regioni, province, città metropolitane, comuni e loro consorzi, da enti religiosi per l'esercizio di culti ammessi nello Stato, da enti pubblici di cui all'articolo 73, comma 1, lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, per finalità specifiche di assistenza, previdenza, sanità, educazione, cultura e ricerca Scientifica.

La diffusione di messaggi pubblicitari, poste in essere degli Enti Territoriali e per la quale, comunque, si renderebbe necessario il provvedimento autorizzatorio sembrerebbe dunque non sfuggire all'applicazione del canone. E tale assoggettamento al prelievo viene ad essere confermato dalla generale previsione che allorquando l'esposizione pubblicitaria dovesse insistere sullo stesso oggetto di una occupazione che per legge è esentata questa diventerebbe recessiva ai sensi del comma 820 rispetto alla diffusione di messaggi pubblicitari.

E su questo punto quindi ritorna l'interrogativo sulla portata della "nuova" definizione del presupposto, ancorata alla nozione di diffusione di messaggi pubblicitari, che necessiterebbe un puntuale chiarimento in ordine a due fondamentali aspetti.
Il primo, sotto il profilo oggettivo, se l'integrazione del presupposto avviene con la diffusione effettiva del messaggio ovvero anche a prescindere da questa con la sola autorizzazione. Sulla questione, nella previgente disciplina, la Cassazione aveva ritenuto che la sola disponibilità dell'impianto senza che questo contenesse il messaggio pubblicitario non integrasse il presupposto del prelievo sulla pubblicità (Cass. Sez trib. 12/01/2012 n. 252).

Il secondo, sotto il profilo teleologico, se la diffusione debba riguardare soltanto i messaggi diffusi nell'ambito di un'attività economica ovvero, più genericamente rivolti a migliorare l'immagine del soggetto pubblicizzato ovvero anche qualunque tipo di pubblicità. Una generalizzata previsione di assoggettamento al canone di qualsiasi messaggio pubblicizzato ossia reso di pubblico dominio comporterebbe non pochi problemi applicativi e di controllo ancorché il legislatore la abbia circoscritta ai soli "impianti" – e anche la nozione di impianto, non essendo specificata dal legislatore meriterebbe qualche chiarimento in ordine alla sua definizione per non far sì che gli Enti nell'ambito della loro potestà regolamentare vadano a disciplinare aspetti sottratti alla loro disponibilità qualificando appunto un elemento del presupposto.

La nuova disciplina dà infatti ampio spazio soltanto sul fronte delle esenzioni che poi incidono in maniera negativa sul bilancio dell'ente, senza possibilità di compensazioni statali, e a tal fine il comma 821, alla lettera f), demandare agli Enti Locali la facoltà di prevedere, tramite l'adozione di apposito regolamento ai sensi dell'art. 52 del D.Lgs. 446/1997, ulteriori riduzioni od esenzioni rispetto a quelle contenute nella norma cardine.

In buona sostanza, il Legislatore, nell'adottare la Legge 160/2019, sembra aver voluto delineare un quadro di massima a fronte del quale, poi, le singole potestà regolamentari degli Enti dovranno misurarsi in definizioni più specifiche e di maggior dettaglio. Tuttavia, l'esercizio dell'autonomia impositiva e della potestà regolamentare degli Enti Locali incontra i limiti dettati dall'art. 52: le province ed i comuni possono disciplinare con regolamento le proprie entrate, anche tributarie, salvo per quanto attiene alla individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e della aliquota massima dei singoli tributi, nel rispetto delle esigenze di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti. Per quanto non regolamentato si applicano le disposizioni di legge vigenti.

Alcuni interrogativi si pongono: se l'Ente non ha previsto l'esenzione nel Regolamento ?

Può l'Ente intervenire in sede regolamentare circoscrivendo il presupposto alle sole esposizioni pubblicitarie rese nell'ambito di un'attività economica?

O non si pone, tale ultimo esercizio, una definizione delle fattispecie imponibili e come tale in contrasto con il dettato citato art. 52 del D.Lgs. 446/97 ?

*a cura dell'Avv. Tommaso Ventre, Ph.DProfessore aggregato di Governance dei tributi locali e Fiscalitàdegli enti locali presso l'Università della Campania Luigi Vanvitelli. Dottore Commercialista Revisore Legale

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