Per il ristoro del danno patrimoniale va valutato il bene al momento della liquidazione
A norma degli articoli 1223 e 2056 del Cc il risarcimento del danno deve essere tale da coprire per intero il pregiudizio economico subito dal danneggiato a seguito dell'illecito altrui. Trattandosi di danno derivante dalla perdita di un determinato bene, non si può considerare a priori che il pregiudizio economico sia coperto per intero da una somma pari al valore del bene medesimo in un certo momento, integrato dalla svalutazione monetaria sopravvenuta sino alla liquidazione finale, per la inidoneità di detto criterio a determinare il valore del bene colpito dall'evento dannoso, ma è necessario, ai fini della completa reintegrazione della sfera patrimoniale lesa dall'atto illecito, tener presente in valore del bene al momento della liquidazione del danno. Lo ha affermato la Cassazione con la sentenza n. 14645 del 2015.
Una valutazione equitativa - Per i Supremi giudici il ristoro del danno patrimoniale futuro richiede una valutazione equitativa i cui criteri, rimessi alla prudente discrezionalità del giudice, debbono essere idonei a consentire una liquidazione equa, adeguata e proporzionata. Pertanto, detta liquidazione non deve essere simbolica o irrisoria ma deve tendere, in relazione alla particolarità del caso concreto e della reale entità del danno, ad avvicinarsi al massimo all'integrale risarcimento, provvedendo ad esaminare tutte le voci del danno emergente e del lucro cessante di cui il danno patrimoniale si compone. Il giudice deve, quindi, dare una congrua motivazione dell'esercizio dei propri poteri discrezionali, indicando i criteri assunti a base della sua valutazione, in modo da consentire il controllo della logicità e coerenza degli stessi, mentre non può essere consentito il ricorso ad una valutazione affidata alla mera intuizione del giudice e, quindi, al suo arbitrio.
Corte di cassazione – Sezione III civile – Sentenza 14 luglio 2015 n. 14645