Penale

Percezione indebita di finanziamenti garantiti Covid. La sentenza "Pressiani"

Il tema è quello dell'individuazione del regime punitivo applicabile in caso di ottenimento indebito delle misure di sostegno introdotte dal D.L. n. 23/2020 (c.d. decreto liquidità)

di Marco Grotto e Emanuele Riva*

1. La sentenza in commento ed il contesto di riferimento.

La sentenza della Corte di Cassazione Penale, Sez. VI, n. 11246 del 13 gennaio 2022 ("Pressiani") s'inserisce nel solco di un dibattito dottrinale e giurisprudenziale relativamente recente, eppure piuttosto ampio. Il tema è quello dell'individuazione del regime punitivo applicabile in caso di ottenimento indebito delle misure di sostegno introdotte dal D.L. n. 23/2020 (c.d. decreto liquidità). Detto intervento legislativo, infatti, ha introdotto – per quanto qui d'interesse – un sistema di garanzia pubblica per i finanziamenti erogati in favore delle piccole e medie imprese. La ratio dell'intervento va riportata alla necessità di supportare il tessuto industriale nazionale, afflitto dall'emergenza pandemica. Più esattamente, a tal fine il decreto ha previsto – tra le altre misure – un meccanismo che consente alle imprese medie e piccole di ottenere con facilità e celerità finanziamenti da parte degli istituti bancari.

Detto meccanismo ruota intorno alla garanzia prestata dal "Fondo di Garanzia per le piccole e medie imprese": in breve, le banche sono "incentivate" a concedere il finanziamento, poiché, in caso di inadempimento dell'impresa mutuataria, gli istituti di credito potranno rivolgersi al fondo di garanzia per veder soddisfatti i propri crediti, così annullando il rischio dell'inesigibilità del proprio credito.

Il testo legislativo non individua, però, uno specifico regime sanzionatorio per l'ipotesi in cui il finanziamento garantito sia ottenuto indebitamente, e cioè da un'impresa che non possieda i requisiti previsti dal decreto o che, comunque, ottenga un finanziamento d'importo superiore rispetto a quanto risulterebbe dalla corretta applicazione dei parametri normativi.

Tali aspetti sono stati da subito oggetto di particolare attenzione da parte di dottrina e giurisprudenza. Più nel dettaglio, le questioni che emergono sono principalmente le seguenti: i) sul piano della condotta tipica, v'è da chiedersi se l'ottenimento illegittimo della garanzia ex D.L. n. 23/2020 sia ascrivibile ad un'ipotesi di truffa (in specie, art. 640 bis c.p.) oppure ad una forma di percezione indebita (art. 316 ter c.p.); ii) sul piano del rapporto tra norme incriminatrici, va approfondita la rilevanza penale dell'eventuale falsità o reticenza commessa dal percipiente in sede di presentazione della documentazione necessaria ad ottenere il finanziamento; iii) infine, sul piano dell'oggetto materiale delle fattispecie incriminatrici rilevanti, v'è da chiedersi se la tutela penale si estenda anche al caso della mera prestazione di una garanzia pubblica, pur se il finanziamento sia erogato da un ente privato.

La sentenza "Pressiani" cerca di far luce su tutti gli aspetti appena menzionati. La pronuncia, infatti, interviene nell'ambito di un procedimento a carico del legale rappresentante di una impresa individuale, il quale avrebbe "avuto accesso al credito garantito dallo Stato attraverso il Fondo di Garanzia per le Piccole e Medie Imprese per una somma corrispondente ad euro 13.000,00, allegando, quale documentazione a sostegno della richiesta, una bozza di dichiarazione dei redditi relativa all'annualità del 2018 per un ammontare di euro 52.195, in realtà mai presentata": in breve, l'imputato avrebbe ottenuto indebitamente il finanziamento garantito.

Prima di passare all'analisi del ragionamento seguito dal Supremo Collegio, va osservato che il quadro normativo è successivamente mutato, almeno in parte: recentemente, infatti, il legislatore è intervenuto modificando la rubrica e la fattispecie di cui all'art. 316 ter c.p.

L'occasione è utile, allora, per domandarsi se la novella interferisca, in qualche modo, con l'orientamento della Suprema Corte ed, eventualmente, in che termini.

2. Il tema "classico" del rapporto tra art. 316 ter c.p. e art. 640 bis c.p.

Già dalla sua promulgazione, il D.L. n. 23/2020 si è mostrato come un nuovo terreno ove individuare il confine tra due diverse fattispecie punitive: la "truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche" e la "percezione indebita di erogazioni pubbliche" (in precedenza rubricata: "percezione indebita di erogazioni a danno dello Stato"). Lo stesso iter processuale che ha portato alla sentenza "Pressiani" mette ben in evidenza la criticità del rapporto tra le due fattispecie. Nel caso, infatti, il Pubblico Ministero aveva inizialmente contestato il reato di cui all'art. 640 bis c.p., in concorso con i reati previsti dagli artt. 477, 482, 483 c.p. e 73 D.P.R. n. 445/2000: il Tribunale del riesame ha, però, riqualificato il fatto ai sensi dell'art. 316 ter c.p. Secondo il Supremo Collegio, l'impostazione adottata dal Tribunale è quella corretta. Replicando il canone già stabilito dalle Sezioni Unite con la sentenza Carchivi (Cass., Sez. un., 19 aprile 2007, n. 16568), la Cassazione ha ribadito che sussiste l'ipotesi di percezione indebita "quando dalla condotta realizzata non consegua un'induzione in errore o un danno per l'ente erogatore".

Ora, va precisato che il sistema delineato dal D.L. n. 23/2020 si fonda sullo strumento delle cc.dd. autodichiarazioni (rectius: autocertificazione e dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà), disciplinate dal D.P.R. n. 445/2000 (il tema è approfondito in: M. PELISSERO, Covid-19 e diritto penale pandemico. Delitti contro la fede pubblica, epidemia e delitti contro la persona alla prova dell'emergenza sanitari, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, n. 2/2020).

A ben vedere, il decreto non prevede un immediato e contestuale controllo sull'attendibilità delle informazioni allegate dal richiedente, ma, anzi, sembra privilegiare, almeno in una prima fase, la snellezza e celerità del procedimento.

Di conseguenza, in siffatto contesto, la mera presentazione di documentazione parziale o inveritiera non elude un controllo e, quindi, non indurrebbe in errore alcuno: secondo Dottrina, "nel meccanismo di erogazione del finanziamento garantito manca dunque quell'accertamento preventivo che sarebbe necessario, nella prospettiva della giurisprudenza di legittimità, per ritenere integrato l'elemento dell'induzione in errore" (D. ATTANASIO, Il sostegno economico alle imprese nella "legislazione pandemica": un'occasione per riflettere sulla revisione dell'apparato punitivo delle frodi pubbliche, in Diritto Penale e Processo, n. 4/2022). Coerentemente con quest'impostazione, la Sentenza "Pressiani" specifica che non può aversi induzione in errore laddove il "riconoscimento e la stessa determinazione del contributo siano fondati, almeno in via provvisoria, sulla mera dichiarazione del soggetto interessato, riservando eventualmente a una fase successiva le opportune verifiche".

Il ragionamento seguìto dalla Suprema Corte si pone, peraltro, in linea con l'elaborazione giurisprudenziale precedente (Cass. Pen., Sez. II, n. 10231 del 10.2.2006; Cass. Pen., Sezioni Unite, n. 7537 del 16.12.2010; Cass. Pen., Sez. II, n. 40107 del 12.11.2010), sebbene una parte della dottrina abbia evidenziato perplessità rispetto a tale impostazione (I. GIACONA, Il delitto d'indebita percezione di pubbliche erogazioni (art. 316-ter c.p.): effetti perversi di una fattispecie malformulata, in Cassazione Penale, n. 10/2012).

Orbene, ritenuta insussistente la fattispecie di truffa ex art. 640 bis c.p., gli Ermellini della Sesta Sezione penale hanno escluso altresì la sussistenza dei reati di falso previsti dagli artt. 477, 482 e 484 c.p., e ciò anche per l'ipotesi di concorso con il delitto di percezione indebita. La questione era stata già affrontata dalla dottrina: precisamente, si era osservato che la falsità commessa dal percipiente costituisce, in realtà, "mero strumento dell'indebita percezione" (F. MUCCIARELLI, Finanziamenti garantiti ex D.L. n. 23/2020: profili penalistici, in Sistema Penale, 4 maggio 2020).

In questi termini, i fatti di falso commessi per percepire i finanziamenti ex D.L. n. 23/2020 risulterebbero assorbiti dal reato di cui all'art. 316 ter c.p., trattandosi, quindi, di un'ipotesi di concorso apparente di norme, che non lascia margini per configurare un concorso di reati.

La Cassazione "Pressiani" non si discosta da tale orientamento e si richiama, sul punto, ad un'altra recente pronuncia della stessa Sezione penale (Cass. Pen., Sez. VI, n. 2125, del 24.11.2021).

3. La nozione di "erogazioni pubbliche" e l'applicabilità dell'art. 316 ter c.p.

Veniamo, quindi, al "cuore" della decisione. La Sentenza n. 11246/2022 dedica ampio spazio a due profili critici, già noti alla dottrina e alla giurisprudenza precedenti, relativi entrambi all'applicazione dell'art. 316 ter c.p. nell'ambito della percezione indebita di finanziamenti garantiti ex D.L. n. 23/2020. Il primo consiste nella difficoltà di comprendere se i predetti interventi di sostegno possano qualificarsi come "contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee". Una seconda criticità – connessa alla prima – risiede, invece, nel fatto che il finanziamento è costituito da denaro privato, erogato da un istituto privato, mentre lo Stato (o, meglio, il Fondo di Garanzia per le Piccole e Medie Imprese) interviene solo prestando una garanzia: v'è da chiedersi, dunque, se si possa parlare, nella specie, di erogazioni di natura pubblica, percepite a danno dello Stato.

Orbene, quanto alla prima questione, la recente sentenza della Suprema Corte ha ribadito che "la natura dell'erogazione, che viene indicata attraverso una comune terminologia (…), a cagione del carattere aperto del significato della citata locuzione deve essere declinata in modo tale da farvi rientrare ogni tipo di aiuto di Stato".

Anche in questo caso, il richiamo è alle Sezioni Unite Carchivi, laddove si esclude che il riferimento alle espressioni contributi, finanziamenti, mutui agevolati ed erogazioni vada inteso in termini tecnici. L'orientamento della giurisprudenza di legittimità, quindi, pone in risalto la formula "altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate", clausola che consentirebbe di configurare anche il finanziamento garantito ex D.L. n. 23/2020 quale possibile oggetto materiale del delitto di cui all'art. 316 ter c.p. Nel raggiungere tale approdo, la Corte penale richiama anche l'interpretazione fornita dalla prima sezione civile della Corte di Cassazione. Ed infatti, il Supremo Collegio civile, con sentenza n. 2664 del 30 gennaio 2019, ha stabilito che "che il d.lgs. 31 marzo 1998, n. 123 non pone una definizione del termine finanziamento" e, dunque, in tale espressione deve ricomprendersi un'ampia varietà di interventi, ivi compresa la concessione di garanzia. A ben vedere, però, la motivazione della sentenza "Pressiani" non risolve tutti i dubbi sul punto. Ed infatti, La Suprema Corte conduce il proprio ragionamento su un piano terminologico e definitorio, giungendo ad affermare che le espressioni impiegate nell'art. 316 ter c.p., considerate sia singolarmente sia complessivamente, debbono interpretarsi in senso ampio e non esclusivo. Il ragionamento, di per sé, è senz'altro condivisibile, sia valutando l'ampiezza della clausola "onnicomprensiva" presente nel testo della norma incriminatrice, sia considerando che, altrimenti, si negherebbe tutela penale a tutti gli interventi pubblici che siano denominati in modo diverso (si pensi, ad esempio, all'impiego del termine bonus), con esiti applicativi evidentemente irragionevoli.

Permane però un dubbio, ovvero che non si tratti tanto di una "questione di etichetta", quanto piuttosto "di sostanza": il problema non è tanto capire quali tipologie di erogazione pubblica siano presidiate dall'art. 316 ter c.p., ma, piuttosto, se la garanzia ex D.L. n. 23/2020 possa considerarsi una "erogazione." Ed infatti, già in precedenza, parte della dottrina aveva definito problematica la "questione relativa alla possibilità di ricondurre il rilascio della garanzia da parte del Fondo o di SACE al novero delle "erogazioni" che costituiscono oggetto materiale del reato" (A. H. BELL, A. VALSECCHI, Finanziamenti garantiti dallo Stato: la disciplina dell'emergenza ridisegna (riducendola) l'area del penalmente rilevante per le imprese e per le banche, in Sistema Penale, 9 giugno 2020).

Il Supremo Collegio fornisce qualche maggiore chiarimento evidenziando che l'erogazione del finanziamento garantito costituisce prestazione di natura pubblica, e ciò benché il soggetto finanziatore sia un istituto bancario privato.

La conclusione è raggiunta precisando, in primo luogo, che il Fondo ha natura di soggetto pubblico, osservando che esso è retto da un Consiglio di Gestione i cui membri sono di nomina ministeriale; inoltre, tutti gli interventi del Fondo "sono assistiti dalla garanzia di ultima istanza dello Stato italiano".Parimenti, la sentenza evidenzia che l'atto negoziale posto in essere tra Banca e privato trova la sua causa proprio nella garanzia che lo Stato assicura al finanziamento, tale che "senza la garanzia il prestito non sarebbe stato concesso" (o, almeno, non sarebbe stato concesso con la stessa velocità o con le stesse modalità di accertamento del merito creditorio del beneficiario): trattasi, dunque, di un intervento pubblico, sol che realizzato "con la mediazione e partecipazione dell'istituto bancario".Da ultimo, la Corte di cassazione osserva che "il rapporto negoziale tra soggetto erogatore privato, garante pubblico e soggetto finanziato" si caratterizza per "la valorizzazione del fattore rischio in capo allo Stato tale da assegnare al finanziamento ricevuto una complessiva valenza pubblicistica in ragione della causa in concreto ravvisabile dell'operazione".

Tali conclusioni sono in linea con l'elaborazione giurisprudenziale precedente: in particolare, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 2125 del 2022 aveva già rilevato che la garanzia Covid "si caratterizza come una forma di aiuto pubblico realizzato non attraverso l'erogazione diretta del finanziamento da parte dello Stato, ma favorendo l'accesso al credito". Anche su questo versante, però, l'orientamento della Suprema Corte non pare fugare tutti i dubbi emersi in dottrina. Infatti, se anche si riconosce la matrice sostanzialmente pubblicistica dell'intervento economico, resta comunque controverso il profilo relativo alla "derivazione pubblica dell'erogazione", atteso che "ad essere onerato della materiale elargizione è l'istituto di credito e non lo Stato, che si limita a prestare una garanzia sull'intero o una parte dell'importo" (così: D. ATTANASIO, Il sostegno economico alle imprese nella "legislazione pandemica": un'occasione per riflettere sulla revisione dell'apparato punitivo delle frodi pubbliche, in Diritto Penale e Processo, n. 4/2022).

4. Le novità introdotte dal D.L. 4/2022: la trasformazione silente da reato di danno a reato di pericolo.

Nonostante le perplessità evidenziate dalla dottrina, deve darsi atto che il più recente orientamento sella Suprema Corte, espresso nella sentenza in commento, si pone in questi termini: "far rientrare l'erogazione realizzata attraverso un rapporto triangolare tra garante, concedente il finanziamento e finanziato, nell'ambito delle «erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concesse dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee» non realizza un'estensione analogica del portato della norma incriminatrice".

L'argomento, tuttavia, non può dirsi esaurito. Va considerata, infatti, la portata della novella codicistica introdotta con il D.L. n. 4/2022, successivamente convertito in legge, con modificazioni, dalla L. n. 25/2022 (sul tema, già: L. AMBROSI, A. IORIO, Frodi sulle erogazioni pubbliche, così si estende il perimetro dei reati, in Norme e Tributi Plus – Il Sole 24 Ore, 11 luglio 2022). Com'è noto, con tale intervento il legislatore ha "ritoccato" anche il testo dell'art. 316 ter del codice penale. Una prima modifica riguarda la rubrica legis, che oggi reca "indebita percezione di erogazioni pubbliche" anziché, com'era in precedenza, "indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato". Con la seconda modifica, invece, sono state introdotte nel catalogo delle erogazioni pubbliche oggetto di tutela penale anche le "sovvenzioni": espressione non menzionata, invece, nella previgente formulazione dell'art. 316 ter c.p.

Ad un primo sguardo, entrambe le modifiche intervenute sembrano supportare l'interpretazione sviluppata dal Supremo Collegio: un "assist" legislativo che, almeno nei propositi, avrebbe dovuto fugare ogni residua incertezza circa l'applicabilità dell'art. 316 ter c.p. ai cc.dd. "fondi Covid".

Tuttavia, ad un'analisi più attenta, il D.L. n. 4/2022 riapre alcuni dubbi interpretativi intorno all'art. 316 ter c.p., specie con riferimento al tema dei finanziamenti garantiti. Come accennato, la sentenza in commento chiarisce, con riferimento alla formulazione previgente della norma, che è consentita "un'interpretazione ampia del significato da attribuire al contenuto dell'erogazione", tale da potervi ricomprendere, appunto, anche la speciale forma di sostegno "pubblico" introdotta nel 2020. Poi, però, è intervenuto il D.L. n. 4/2022, che ha inserito il termine "sovvenzioni" nel novero delle erogazioni penalmente tutelate dall'art. 316 ter c.p. La necessità (o, perlomeno, l'opportunità) di questa precisazione, impone di chiedersi se, con riferimento alla norma previgente, sia "davvero" legittimo ricomprendervi qualunque forma di intervento pubblico (e, così, anche quelle previste dal D.L. n. 23/2020) o se non si versi, piuttosto, in una forma di analogia in malam partem.

Ciò soprattutto considerando che, anche prima dell'intervento legislativo, la dottrina (citata in precedenza) già dubitava che l'oggetto materiale dell'art. 316 ter c.p. potesse ricomprendere la mera prestazione di una garanzia da parte dello Stato. Ma non è tutto. Infatti, con riferimento all'altro intervento modificativo (relativo alla rubrica legis), si deve osservare come con esso si sia soppresso il riferimento al "danno allo Stato": una simile scelta mette in risalto, sul piano ermeneutico, come, a tutt'oggi, vi sia un'altra questione irrisolta relativa all'art. 316 ter c.p., quella della classificazione di tale delitto come reato di danno oppure come reato di pericolo. La questione è, invero, essenziale al fine di comprendere se – e in che termini – la percezione indebita di un finanziamento garantito dal Fondo integri la fattispecie penale. Invero, la mera assegnazione del finanziamento all'impresa non comporta, di per sé, un "danno" per le "casse pubbliche", né un mancato introito, né una scorretta allocazione delle risorse: tali ipotesi, infatti, si verificano solo eventualmente, nel caso in cui l'impresa non adempia alle proprie obbligazioni restitutorie in favore dell'istituto bancario e quest'ultimo, di conseguenza, decida di attivare la garanzia.

Ma finché il fondo non è "costretto" a trasferire denaro in favore della banca che ha erogato il credito, non c'è danno, ma soltanto un pericolo di danno. Un ragionamento poco dissimile è stato fatto proprio dal Sostituto Procuratore Generale (nell'ambito del giudizio conclusosi con la sentenza della VI Sez. penale, n. 22119 del 15 aprile 2021), secondo cui il reato può dirsi integrato solo con l'attivazione della garanzia pubblica, quando "vengono interessate direttamente le risorse dello Stato" (sul punto: D. ATTANASIO, Il sostegno economico alle imprese nella "legislazione pandemica": un'occasione per riflettere sulla revisione dell'apparato punitivo delle frodi pubbliche, in Diritto Penale e Processo, n. 4/2022).

Al contrario, invece, ritenere integrata la fattispecie anche a prescindere da un'effettiva erogazione da parte delle casse pubbliche significa interpretare l'art. 316 ter c.p. come fattispecie di pericolo. Qualificazione che, peraltro, non sarebbe nuova, trovando un precedente nella sentenza della Corte di Cassazione, n. 35220 del 21 agosto 2013.

Tuttavia, tale soluzione ermeneutica, benché oggi agevolata sul piano interpretativo dalla novella operata alla rubrica legis, non sembra quella accolta dalla giurisprudenza maggioritaria.

*A cura dell' avv. Marco Grotto – Partner 24 Ore e Dott. Emanuele Riva


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