Casi pratici

Perimetro di applicazione dell'art. 20 del Tur: la Cassazione riattiva la querelle

Riqualificazione degli atti ai fini dell'imposta di registro

di Giancarlo Marzo, e Liliana Peruzzu

LA QUESTIONE
Quali sono i contorni applicativi dell'art. 20 del testo unico delle disposizioni in materia di imposta di registro? È ancora possibile una riqualificazione degli atti portati alla registrazione sulla base di elementi extratestuali?

Parrebbe non essersi conclusa l'annosa querelle giurisprudenziale sviluppatasi in merito alla portata applicativa dell'art. 20 del testo unico delle disposizioni in materia di imposta di registro (c.d. TUR), rubricato "Interpretazione degli atti".
Come noto, tale disposizione, già nella sua precedente formulazione, ha dato adito a diversi orientamenti in seno alla stessa Corte di Cassazione.
In particolare, gli Ermellini, in innumerevoli occasioni, si sono espressi a supporto della prassi accertativa seguita dagli uffici dell'Agenzia delle entrate che tendeva ad applicare la norma in parola (espressamente o implicitamente) in chiave antielusiva, ai fini della riqualificazione di sequenze negoziale complesse, sul presupposto della presunta identità degli effetti realizzati rispetto a operazioni fiscalmente più onerose.
Caso tipico, riscontrato nella prassi, è quello del conferimento d'azienda in una società di nuova costituzione, seguito dalla cessione delle partecipazioni nella conferitaria. La combinazione di tali atti è stata, più volte, riqualificata in guisa di cessione (indiretta) d'azienda (dalla società conferente alla società acquirente della partecipazione), con conseguente applicazione dell'imposta di registro in misura proporzionale, in luogo dell'imposta in misura fissa prescritta per i singoli atti negoziali (i.e., per il conferimento d'azienda e la cessione di partecipazioni).
Visti i numerosi dissidi interpretativi venutisi a creare in relazione al testo previgente dell'art. 20 cit., è, quindi, intervenuto il legislatore fiscale con l'art. 1, comma 87, lett. a), nn. 1) e 2), della legge n. 205 del 2017 (di "interpretazione autentica" ex art. 1, comma 1084, della legge n. 145 del 2018), che ha imposto una interpretazione isolata dell'atto da sottoporre a registrazione, fondata unicamente sugli elementi da esso desumibili, ribadendo la natura d'imposta d'atto dell'imposta di registro.
La legittimità di siffatto intervento legislativo è stata, successivamente, posta in discussione innanzi alla Corte costituzionale che, in ben due occasioni (cfr. sentenze n. 58 del 2020 e n. 39 del 2021), ne ha confermato la piena conformità, ponendo così (apparentemente) il punto alla diatriba ermeneutica sospinta dalla giurisprudenza di legittimità.
Tuttavia, nei tempi più recenti, la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 10283 del 31 marzo 2022, è tornata a mettere in discussione il testo dell'art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986, rimettendo alla Corte di Giustizia la valutazione circa la sua conformità al diritto dell'Unione.

L'excursus normativo.
Come accennato pocanzi, l'art. 20 TUR, già nella sua precedente formulazione, pur non contenendo un riferimento esplicito all'irrilevanza di elementi esterni, fondava, comunque, l'imposizione (ai fini dell'imposta di registro) sugli effetti giuridici dell'atto e sulle conseguenze che questi erano idonei a produrre.
Nonostante ciò, la prevalente giurisprudenza di legittimità (salvo talune sporadiche pronunce di segno opposto; cfr. Cass. n. 2054 del 2017) si era assestata su un diverso principio, affermando la prevalenza – nell'individuazione della struttura del rapporto giuridico tributario – della sostanza sulla forma. Secondo tale impostazione, e in funzione dell'applicazione dell'imposta, doveva, quindi, indagarsi sulla "causa reale" e concreta degli atti, dando rilievo al collegamento negoziale tra i contratti, valutandone l'effetto finale, ovvero la regolamentazione degli interessi effettivamente perseguita dai contraenti, anche mediante una pluralità di pattuizioni non contestuali e tra loro collegate (cfr. ex multis Cass. n. 13610 del 2018; Cass. n. 10216 del 2016, Cass. n. 1955 del 2015, Cass. n. 14150 del 2013, Cass. n. 6835 del 2013).
Visti tali arresti e al fine di porre rimedio ad un'interpretazione giurisprudenziale disallineata rispetto alla politica del diritto voluta dalla norma fiscale, il legislatore è intervenuto con legge n. 205 del 2017 in modifica del testo dell'art. 20 del TUR, stabilendo, claris verbis, l'irrilevanza degli elementi extra testuali e dell'eventuale collegamento negoziale ai fini della determinazione dell'imposta in commento.
In particolare, la disposizione attualmente vigente prevede, testualmente, che: "L'imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell'atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall'atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi". La precisazione normativa fa, quindi, salvo quanto disposto dal successivo art. 53-bis del TUR, contenente un rinvio all'art. 10-bis della legge n. 212 del 2000, in materia di "abuso del diritto".
Inoltre, il legislatore, al fine di fugare ogni dubbio circa lo spettro temporale di applicazione della modifica, con la successiva legge n. 145 del 2018, né è ha chiarito la natura di norma di interpretazione autentica e, dunque, l'applicazione retroattiva (i.e., anche in riferimento ai rapporti giuridici preesistenti).

La posizione della Corte costituzionale
La Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità, rispetto agli artt. 3 e 53 della Costituzione, delle disposizioni recate dal novellato art. 20 del TUR, ne ha dichiarato la piena legittimità in ben due occasioni.
In primis, la Corte, con sentenza 21 luglio 2020, n. 158, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale (sollevata dalla Corte di Cassazione con ordinanza 23 settembre 2019, n. 23549) dell'art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986, come modificato dall'art. 1, comma 87 della legge n. 205 del 2017 e dall'art. 1, comma 1084 della legge n. 145 del 2018, nella parte in cui prevede, ai fini dell'imposta di registro, che l'interpretazione degli atti presentati alla registrazione debba avvenire solo in base al loro contenuto, senza fare riferimento ad atti collegati o ad elementi extra testuali.
Al riguardo si è osservato che il legislatore nel riaffermare, con la denunciata norma, la natura di "imposta d'atto" dell'imposta di registro (in sostanziale conformità con la sua origine storica), ha semplicemente precisato l'oggetto dell'imposizione, in coerenza con la struttura di un prelievo sugli effetti giuridici dell'atto presentato alla registrazione.
La Consulta ha, inoltre, sottilizzato che l'interpretazione della norma, in chiave antielusiva, avrebbe provocato incoerenze nell'ordinamento giuridico, stante l'intervenuta introduzione del menzionato art. 10- bis della legge n. 212 del 2000. Tale norma, del resto, già consente all'Amministrazione finanziaria di operare, per l'appunto, in funzione antielusiva. La Corte ha, a tal proposito, considerato che un'interpretazione degli atti incentrata sulla nozione di "causa reale" avrebbe, illegittimamente, consentito all'Amministrazione finanziaria, "da un lato, di operare in funzione antielusiva senza applicare la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale stabilita a favore del contribuente e, dall'altro, di svincolarsi da ogni riscontro di «indebiti» vantaggi fiscali e di operazioni «prive di sostanza economica», precludendo di fatto al medesimo contribuente ogni legittima pianificazione fiscale (invece pacificamente ammessa nell'ordinamento tributario nazionale e dell'Unione europea)".
La Corte costituzionale ha, dunque, concluso, claris verbis, per l'insussistenza di qualsivoglia contrasto con il principio di capacità contributiva o con i principi di ragionevolezza ed eguaglianza tributaria.
Tale conclusione è stata confermata anche dalla successiva sentenza 16 marzo 2021, n. 39, nell'ambito della quale il Giudice delle leggi (su impulso della Commissione tributaria provinciale di Bologna; cfr. ord. del 13 novembre 2019) si è espresso, ancora una volta, per la legittimità dell'intervento legislativo che ha interessato il più volte citato art. 20.
In tale seconda pronuncia si è, vieppiù, osservato che la norma deve essere letta come destinata non già "all'ambito semantico di una singola disposizione", ma piuttosto "a quello dell'intero «impianto sistematico della disciplina sostanziale e procedimentale dell'imposta di registro», dove la sua origine storica di imposta d'atto «non risulta superata dal legislatore positivo» (sentenza n. 158 del 2020)", in quanto risponde all'esigenza di ricondurre in un ambito più ordinato e coerente, rispetto al quadro normativo in forte evoluzione, l'interpretazione anche giurisprudenziale della norma tributaria, e ciò, segnatamente, in considerazione del progressivo consolidarsi di un'organica disciplina dell'abuso del diritto.
La Corte ha, poi, considerato che non possa essere valutata irragionevole neppure l'attribuzione di efficacia retroattiva dell'intervento, stante il suo carattere sistematico.
Una nuova questione di legittimità rispetto al diritto unionale
Nonostante i chiarimenti offerti dalla Corte costituzionale e nonostante, apparentemente, la questione apparisse definitivamente archiviata, la Corte di Cassazione ha messo nuovamente in discussione la portata applicativa delle disposizioni in esame, ponendone in dubbio la compatibilità rispetto al diritto dell'Unione Europea.
La questione è stata, così, portata all'attenzione della Corte di Giustizia dell'Unione Europea a mezzo dell'ordinanza del 31 marzo 2022, n. 10283, nell'ambito della quale si è chiesto se l'art. 20 del TUR (come modificato dalla legge n. 205 del 2017 e dalla legge n. 145 del 2018) si ponga in discrasia con gli artt. 5, numero 8, della direttiva n. 77/388/CEE e 19 della direttiva n. 2006/112/CE.
A tal riguardo la Corte ha osservato che la norma in commento – nel prevedere (come ha ritenuto la Corte costituzionale) che l'oggetto dell'imposizione sia limitato, in coerenza con la struttura del prelievo, agli effetti giuridici dell'atto presentato per la registrazione, senza che assumano rilievo elementi extratestuali e atti collegati – parrebbe escludere la possibilità, di contro ammessa dalla Corte dell'Unione, "che le intenzioni dell'acquirente possono o, in alcuni casi, devono essere prese in considerazione in sede di valutazione globale delle circostanze di un'operazione, purché esse siano comprovate da elementi oggettivi" (cfr. CGUE Schriever, come citata nel caso Virgil Mailat e a., par. 39). Orbene, sempre secondo la Corte, la nozione di "elementi oggettivi" (cui fa cenno la giurisprudenza comunitaria) amplierebbe il novero delle situazioni rispetto alle quali è possibile qualificare un'operazione (in quanto diretta a consentire la continuazione dell'attività d'impresa) alla stregua di una cessione d'azienda.
Diversamente, il rimando dell'art. 20 cit. alla rilevanza dei soli "elementi testuali" (escludendosi quello agli elementi extra testum) comporterebbe una nozione "assai più ridotta" di "elementi oggettivi" che limiterebbe, di fatto, le possibilità di contestazione da parte dell'Amministrazione finanziaria.
Ad opinione della Cassazione, infatti, nonostante il principio di alternatività IVA/imposta di registro sancito dall'art. 40 del d.P.R. n. 131 del 1986, a livello sistematico sarebbe, comunque, richiesta la necessaria uniformità di interpretazione dei medesimi istituti giuridici nell'intero ordinamento tributario. Sicché, la "limitazione" in parola, seppur riferita all'imposta di registro. comporterebbe una divergenza in ordine al concetto di azienda rilevante ai fini IVA.
La formulazione dell'art. 20 del TUR, dunque, in ultima analisi, potrebbe precludere (anche in presenza di "elementi oggettivi"), la valutazione delle circostanze dell'operazione che potrebbero far ritenere assente il diritto alla detrazione dell'IVA. Ciò, con la conseguenza di impedire all'Amministrazione finanziaria di recuperare l'IVA illegittimamente detratta.

Conclusioni
Come riportato supra, in base all'attuale assetto normativo e alla luce dei chiarimenti prospettati dalla Corte costituzionale, ad oggi, l'attività di riqualificazione, per via interpretativa, dell'atto da registrare, è ritenuta legittima nella sola ipotesi in cui tale valutazione avvenga "ab intrinseco", ossia senza utilizzare elementi estranei all'atto. Resta, di contro, preclusa la possibilità di individuare, sulla base del richiamo alle disposizioni di cui all'art. 20 cit., contenuti diversi da quelli ricavabili dalle clausole negoziali e dagli elementi comunque desumibili dal singolo atto presentato alla registrazione.
Al contempo, resta ferma la potestà dell'Amministrazione finanziaria quando la riqualificazione sia diretta a far valere il collegamento negoziale e, più in generale, qualunque forma di abuso del diritto ed elusione fiscale, ai sensi dell'art. 10-bis della legge n. 212 del 2000, trattandosi di ipotesi estranea alla ermeneutica dell'atto da registrare (cfr. Cass. 6 maggio 2022, n. 14476). L'azione accertatrice, in tali casi, può essere attuata mediante apposito e motivato atto impositivo, preceduto - a pena di nullità - da una richiesta di chiarimenti, che il contribuente può fornire entro un certo termine, il tutto da svolgersi all'interno di uno specifico procedimento di garanzia (cfr. Cass. 8 aprile 2022, n. 11435).
Visto, dunque, il permanere della possibilità, per l'Agenzia delle entrate di procedere alla riqualificazione di sequenze di atti (seppur sulla base di un diverso ancoraggio normativo), taluni autori hanno sollevato alcune perplessità in ordine ai contenuti dell'ordinanza n. 10283 del 2022. Desta dubbi, in particolare, l'asserita inferenza dell'art. 20 cit. rispetto al perimetro di applicazione dell'imposta sul valore aggiunto, stante, peraltro, il richiamato principio di alternatività tra le due imposte.
Unica certezza, allo stato, nelle more di una decisione della Corte di Giustizia, è che l'annosa querelle relativa all'individuazione del corretto ambito di applicazione dell'art. 20 del TUR non può ritenersi esaurita.

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