Amministrativo

Permessi di soggiorno, l'Amministrazione ha obbligo di "buona fede"

Il Consiglio di Stato ha chiarito che la presenza di irregolarità amministrative sanabili non è di per sé sufficiente a legittimare il provvedimento di rigetto

di Pietro Alessio Palumbo

Il principio di buona fede va inteso quale concetto giuridico generale che si riempie di contenuto a seconda della fattispecie che viene in rilievo. Superando le problematiche che derivano dalla ricerca di una nozione unitaria di buona fede, rispetto alle quali è sufficiente richiamare il nucleo precettivo costituito dai doveri di correttezza e lealtà, il principio in parola va oggi innalzato a clausola generale dell'ordinamento giuridico che è in grado di permeare ogni ambito del diritto: diritto amministrativo compreso.

I doveri di correttezza e di collaborazione
Su queste basi il Consiglio di Stato con la sentenza 6881/2022 ha chiarito che la presenza di irregolarità amministrative sanabili non è di per sé sufficiente a legittimare il provvedimento di rigetto dell'istanza di rinnovo del titolo di soggiorno. I doveri di correttezza e di collaborazione, invero, si colorano di maggiore incisività se si considera la delicatezza dell'istanza di rinnovo del titolo di soggiorno, in relazione alla quale vengono coinvolti interessi di rilievo costituzionale e internazionale attinenti agli stessi diritti fondamentali della persona umana.

L'errore di notifica
Nella vicenda l'interessato aveva formulato tramite il servizio predisposto da Poste Italiane l'istanza di rinnovo del permesso di soggiorno ed era stato convocato presso gli Uffici della Questura per i controlli di rito, una prima volta in una data e, attesa la mancata comparizione, una seconda volta in altra data. In ragione della mancata comparizione ad entrambe le convocazioni, il Questore, preso atto dell'impossibilità di portare a termine il procedimento preordinato, valutata la perdurante assenza del richiedente quale "disinteresse" alla conclusione del procedimento, con decreto aveva disposto l'archiviazione dell'istanza, con obbligo di lasciare il Paese entro 10 giorni. Nel ricorso il richiedente contestava alla Questura di avergli sostanzialmente impedito di sottoporsi ai controlli poiché in occasione del primo appuntamento gli addetti non avevano rinvenuto il kit dell'istanza di rinnovo e quindi lo avevano invitato a tornare in un secondo momento; ma egli non aveva ricevuto la seconda convocazione poiché recapitata a un indirizzo errato.

Il soccorso istruttorio
Con la sentenza in rassegna il Consiglio di Stato ha posto in evidenza che il principio di buona fede quale canone dell'azione amministrativa autoritativa ispira l'istituto del soccorso istruttorio, la cui attivazione si impone a fronte di irregolarità amministrative sanabili. Ai sensi della storica legge sul procedimento amministrativo il responsabile del procedimento è tenuto a chiedere le integrazioni documentali utili alla più completa istruttoria procedimentale, non potendosi limitare ad addurre l'incompletezza dei documenti posti a supporto dell'istanza per concludere nel senso dell'adozione di un provvedimento negativo, senza aver prima posto il soggetto istante in condizione di completare la richiesta in questione. L'attivazione del soccorso istruttorio, che assume i connotati di un atto doveroso e non meramente facoltativo, si giustifica in ragione dell'esigenza che l'Amministrazione, in attuazione del dovere di buona fede, tenga in debita considerazione l'interesse del privato al rilascio del provvedimento.

Le irregolarità sanabili
Sebbene la buona fede trovi il proprio terreno di elezione nel diritto civile, in particolare nella materia delle obbligazioni, il principio in esame permea anche il diritto amministrativo non soltanto quando l'Amministrazione opera jure privatorum, ma anche quando pone in essere la sua attività tipicamente autoritativa. A ben vedere il dovere della Pubblica Amministrazione di attivare il soccorso istruttorio, già originariamente contemplato nella legge sul procedimento amministrativo del 1990 è stato anche confermato dalla disciplina speciale del 1998, in forza del quale il rinnovo del permesso di soggiorno è rifiutato quando vengono a mancare i requisiti richiesti per l'ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato, "sempre che non si tratti di irregolarità amministrative sanabili". Inoltre la disciplina è chiara nel ritenere che un simile obiettivo di buona fede e di collaborazione risulterebbe vanificato ove si ritenesse che l'autorità competente, pur avendo attivato il soccorso istruttorio, non abbia poi il dovere di reiterare la notifica della richiesta di integrazione documentale a seguito di un tentativo risultato senza esito. Tanto più l'obbligo di reiterare la notifica si impone se - come nella vicenda - vengono in rilievo posizioni giuridiche di rilievo costituzionale attinenti a diritti fondamentali. È poi opportuno richiamare l'intervento del Legislatore che, eliminando ogni dubbio circa l'estensione del canone della buona fede ai rapporti tra privato e Pubblica Amministrazione, nel 2020, ha introdotto una ulteriore regola nella legge generale sul procedimento amministrativo in forza della quale viene fissato espressamente che "i rapporti tra il cittadino e la Pubblica Amministrazione sono improntati ai principi della collaborazione e della buona fede".

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