Amministrativo

Personale agenzie fiscali: solo per concorso l’inquadramento dirigenziale

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di Salvatore Mezzacapo

Con la sentenza in esame, la Corte costituzionale, cassando una norma di settore relativa al personale delle Agenzie fiscali, ha con nettezza ribadito che la regola del concorso pubblico per l'accesso agli impieghi pubblici concerne anche il conferimento degli incarichi dirigenziali, ivi compresa l'ipotesi in cui il relativo conferimento interessi dipendenti già in servizio presso l'amministrazione.

La vicenda controversa e la posizione del Tar - La Corte ha, infatti, dichiarato la illegittimità costituzionale dell'articolo 8, comma 24, del decreto legge n. 16 del 2012 il quale prevedeva che, nelle more dell'espletamento delle necessarie procedure concorsuali, l'Agenzia delle dogane, l'Agenzia delle entrate e l'Agenzia del territorio, salvi gli incarichi già affidati, potessero attribuire incarichi dirigenziali a propri funzionari con la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato. Lascia piuttosto sorpresi, tuttavia, proprio il clamore che ha suscitato, anche sulla stampa non specializzata, la pronuncia della Corte. E ciò sia perché con la sentenza in esame il Giudice delle leggi ha semplicemente ribadito, peraltro con chiarezza ed esaustività di argomenti, la propria consolidata giurisprudenza in materia e, in secondo luogo, perché proprio con riferimento al contenzioso infine approdato in Corte già il giudice amministrativo, investito della controversia, aveva fatto applicazione di quei principi che appunto si ricavano dalla giurisprudenza della Corte costituzionale in tema di conferimento di incarichi dirigenziali nella pubblica amministrazione.

Nel 2011, con un primo ricorso al Tar del Lazio proposto dalla Dirpubblica, è impugnata la delibera del comitato di gestione dell'agenzia delle entrate n. 55 del 2009, con cui è sostituito l'articolo 24 del regolamento di amministrazione dell'Agenzia medesima, così consentendo il conferimento, fino al 31 dicembre 2010, di incarichi dirigenziali in favore di funzionari non in possesso della qualifica dirigenziale. Il tribunale amministrativo ha, innanzitutto, ritenuto la giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto con la delibera in questione l'Agenzia delle entrate, nell'esercizio di un potere organizzativo e regolamentare, aveva in sostanza disposto in ordine alle modalità di copertura dei posti di dirigente vacanti, appunto consentendo fino al 31 dicembre 2010 il conferimento di incarichi dirigenziali in favore di funzionari non dirigenti. Ha quindi accolto il ricorso, ricordando come la delibera avversata perpetuava la prassi del conferimento di incarichi dirigenziali, asseritamente in provvisoria reggenza, a copertura di posizioni dirigenziali vacanti, laddove detti incarichi, conferiti senza l'espressa indicazione di un termine di durata, e sostanzialmente prorogati di anno in anno, risultano espletati da funzionari non dirigenti, senza che l'Agenzia delle entrate abbia contemporaneamente provveduto a bandire le procedure concorsuali per l'accesso alla qualifica dirigenziale, e implicano indiscutibilmente l'espletamento di mansioni superiori dirigenziali da personale privo della relativa qualifica.

E comunque, hanno osservato i giudici romani, configurandosi il conferimento di un incarico dirigenziale in favore di un funzionario non dirigente alla stregua dell'assegnazione di mansioni superiori al di fuori delle ipotesi tassativamente previste dalla legge, il relativo atto di conferimento deve considerarsi radicalmente nullo ai sensi dell'articolo 52, comma 5, del Dlgs 165/2001. Del resto, la reggenza dell'ufficio è consentita, senza dare luogo agli effetti collegati allo svolgimento di mansioni superiori, a condizione che sia stato avviato il procedimento per la copertura del posto vacante e nei limiti di tempo ordinariamente previsti per tale copertura.

Di qui, l'annullamento della delibera con sentenza della secondo sezione del Tar del Lazio n. 6884 del 25 maggio 2011. La medesima Dirpubblica ha quindi impugnato il bando dell'ottobre 2010 per il reclutamento di 175 dirigenti di seconda fascia. Con detto concorso l'Agenzia intendeva, infatti, applicare l'articolo 1, comma 530, della legge 27 dicembre 2006 n. 196, che prevede che il reclutamento di personale dell'amministrazione del ministero dell'Economia e delle finanze, compreso quello delle agenzie fiscali, può avvenire “con modalità speciali”. Si trattava, in particolare, di una procedura concorsuale che riservava il 50% dei posti da coprire al personale interno, avendo peraltro l'Agenzia espressamente rappresentato che così operando aveva inteso trovare una soluzione per “sanare” la posizione di una serie di suoi Funzionari che da svariati anni svolgono “incarichi dirigenziali” pur non rivestendo la corrispondente qualifica dirigenziale.
Il Tar del Lazio, sezione secondo, ha quindi accolto, con sentenza n. 7636 del 2011, anche detto ricorso, in sostanza ribadendo le ragioni poste a sostegno del già disposto annullamento della citata delibera del 2009.

L'ordinanza del Consiglio di Stato 5619/2013 - Le ricordate sentenze del Tar Lazio sono state quindi appellate dall'Agenzia delle entrate, tanto quella concernente la questione del conferimento di incarichi dirigenziali a funzionari privi della qualifica dirigenziale quanto quella concernente la selezione-concorso per il reclutamento di 175 dirigenti di seconda fascia. Nelle more del giudizio di appello è però entrato in vigore (nel suo testo definitivo) l'articolo 8, comma 24, del decreto legge 2 marzo 2012 n. 16, convertito dalla legge 26 aprile 2012 n. 44 il quale prevede che: «in relazione all'esigenza urgente e inderogabile di assicurare la funzionalità operativa delle proprie strutture (...) l'Agenzia delle dogane, l'Agenzia delle entrate e l'Agenzia del territorio sono autorizzate a espletare procedure concorsuali da completare entro il 31 dicembre 2013 per la copertura delle posizioni dirigenziali vacanti (...) Nelle more dell'espletamento di dette procedure (...) salvi gli incarichi già affidati, potranno attribuire incarichi dirigenziali a propri funzionari con la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, la cui durata è fissata in relazione al tempo necessario per la copertura del posto vacante tramite concorso. Gli incarichi sono attribuiti con apposita procedura selettiva applicando l'articolo 19, comma 1-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Ai funzionari cui è conferito l'incarico compete lo stesso trattamento economico dei dirigenti. A seguito dell'assunzione dei vincitori delle procedure concorsuali di cui al presente comma, l'Agenzia delle dogane, l'Agenzia delle entrate e l'Agenzia del territorio non potranno attribuire nuovi incarichi dirigenziali a propri funzionari con la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 19, comma 6 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165».
Attesa la detta “sopravvenienza” normativa, con ordinanza 5619/2013, la quarta sezione del Consiglio di Stato ha dunque rimesso alla Corte costituzionale, stante la sua rilevanza ai fini della decisione e la sua non manifesta infondatezza, la questione relativa alla legittimità costituzionale della norma ora richiamata. Quanto alla sua rilevanza, è chiaro che la disposizione in esame, per un verso, autorizza l'attribuzione di incarichi dirigenziali a funzionari delle stesse Agenzie nelle more dello svolgimento dei concorsi; per altro verso, fa salvi gli incarichi “già affidati”, vale a dire gli incarichi dirigenziali già affidati a funzionari privi di qualifica dirigenziale.

In sostanza, la norma opera una sorta di legittimazione ex post dell'attribuzione di incarichi dirigenziali a funzionari privi della relativa qualifica e dunque “impatta” pesantemente sul contenzioso all'esame del giudice. Ferma dunque la rilevanza della questione di legittimità costituzionale della norma, il Consiglio di Stato ha ritenuto altresì la stessa non manifestamente infondata, per più ragioni. In primo luogo, per violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione, poiché, nel consentire l'attribuzione di incarichi a funzionari privi della relativa qualifica, la norma aggira la regola costituzionale di accesso ai pubblici uffici mediante concorso. Del resto, è la stessa giurisprudenza della Corte ad affermare che nel concorso pubblico va riconosciuta «la forma generale e ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego, in quanto meccanismo strumentale al canone di efficienza dell'amministrazione», ciò peraltro comportando un vulnus al principio del buon andamento amministrativo, proprio perché il concorso, rappresentando «la forma generale e ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego», costituisce un «meccanismo strumentale al canone di efficienza dell'amministrazione», e dunque attuativo del principio di buon andamento.

Ma la norma in questione è stata ritenuta dai giudici di Palazzo Spada violativa ancora degli articoli 3 e 97, primo comma, della Costituzione, in quanto viola i principi di legalità, imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa, poiché essa, permettendo l'attribuzione di incarichi dirigenziali a funzionari privi della relativa qualifica, consente di conseguenza la preposizione a organi amministrativi, titolari di potestà provvedimentale, di soggetti privi dei necessari requisiti. E, da ultimo, è stata ritenuta violativa degli articoli 3 e 51 della Costituzione, in quanto consente l'accesso a pubblici uffici (intendendosi, per essi, quelli di rango dirigenziale), sia in violazione delle “condizioni di eguaglianza”, che risultano violate dalla pretermissione della procedura concorsuale, e che devono invece sussistere tra i cittadini aspiranti a uffici pubblici, sia in violazione dei “requisiti stabiliti dalla legge” (posto che l'articolo 19 del Dlgs 31 marzo 2001 n. 165, prevede ben diverso procedimento per il conferimento degli incarichi dirigenziali). Di qui, sospeso il processo in corso, la rimessione degli atti alla Corte costituzionale.

La pronuncia della Consulta n. 37 del 2015 - Occorre preliminarmente ricordare che la norma sospetta di illegittimità costituzionale è stata modificata dall'articolo 1, comma 14, del decreto legge 30 dicembre 2013 n. 150 “mille proroghe”, che ha prorogato al 31 dicembre 2014 il termine «per il completamento delle procedure concorsuali» e ha stabilito che nelle more possono essere prorogati solo gli incarichi già attribuiti ai sensi del secondo periodo del medesimo comma 24 dell'articolo 8 del Dl n. 16 del 2012. Analoga disposizione è stata quindi recata dal successivo decreto legge mille proroghe, 31 dicembre 2014 n. 192, in pratica prorogandosi al 31 dicembre 2015 il termine per il completamento delle procedure concorsuali.

Detta precisazione appare opportuna perché la Corte, rilevato che le due successive proroghe di termini (di cui ai due decreti leggi milleproroghe) fanno corpo con la norma impugnata, producendo unitamente a essa effetti lesivi, e anzi aggravandoli, in applicazione dell'articolo 27 della legge 11 marzo 1953 n. 87, ha esteso la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'articolo 8, comma 24, del decreto legge 16/2012 (la norma originariamente contestata) alle due ulteriori disposizioni dei decreti legge 150/2913 e 192/2014. Ai sensi del citato articolo 27, infatti, «La Corte costituzionale, quando accoglie una istanza o un ricorso relativo a questioni di legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge, dichiara, nei limiti dell'impugnazione, quali sono le disposizioni legislative illegittime. Essa dichiara altresì, quali sono le altre disposizioni legislative, la cui illegittimità deriva come conseguenza dalla decisione adottata.».

I due punti critici della norma - Ciò premesso, la Corte ha focalizzato i due punti critici della norma: l'aver fatto salvi, per il passato, gli incarichi dirigenziali già affidati dall'Agenzia a propri funzionari, e l'aver consentito, nelle more dell'espletamento delle procedure concorsuali, di attribuire incarichi dirigenziali a propri funzionari, mediante la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, la cui durata è fissata in relazione al tempo necessario per la copertura del posto vacante tramite concorso. Orbene, il primo e invero fondamentale arresto della sentenza della Corte è rappresentato dal (riaffermato) principio per cui «il conferimento di incarichi dirigenziali nell'ambito di un'amministrazione pubblica debba avvenire previo esperimento di un pubblico concorso». Regola che non muta nel caso si tratti di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio, e ciò perché, per come afferma costante giurisprudenza dello stesso Giudice delle leggi, con specifico riferimento ai dipendenti già in servizio presso una pubblica amministrazione, anche il passaggio a una fascia funzionale superiore comporta l'accesso a un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate. Non è altro che, altrimenti detto, un reclutamento, dunque soggetto anch'esso alla regola del pubblico concorso.

La tesi della difesa erariale è stata che la norma sospetta di illegittimità costituzionale, in realtà, non viola il principio ora ricordato. Ad avviso dell'Avvocatura generale dello Stato, infatti, l'articolo 8, comma 24, è norma a carattere assolutamente temporaneo ed eccezionale, introdotta al solo fine di garantire, nelle more dell'espletamento del concorso, il buon andamento degli uffici dell'Agenzia delle entrate. In particolare, la disposizione non consentirebbe uno scivolamento automatico nella qualifica dirigenziale dei funzionari dell'Agenzia inquadrati nella terza area funzionale, ma si limiterebbe ad attribuire a costoro mansioni dirigenziali, per il solo tempo necessario allo svolgimento del concorso.

La Corte, pur rilevando come la norma in questione non conferisca effettivamente in via definitiva incarichi dirigenziali a soggetti privi della relativa qualifica, rileva come, tuttavia, essa sostanzi - nei fatti - un aggiramento della regola del concorso pubblico. Come aveva già rilevato il giudice amministrativo, la Corte osserva che al detto meccanismo (copertura provvisoria delle vacanze nelle posizioni dirigenziali, previo interpello e valutazione dell'idoneità degli aspiranti, mediante la stipula di contratti individuali di lavoro a termine con propri funzionari, fino a un termine finale predeterminato) in realtà l'Agenzia fa ricorso da anni, con continue proroghe del termine finale (venendo peraltro detto termine prorogato, per altre due volte, anche successivamente alla proposizione della questione con le disposizioni sopra richiamate), donde la conclusione per cui le ripetute delibere di proroga del termine finale hanno di fatto trasformato uno strumento pensato per situazioni peculiari e contingenti in metodo ordinario per la copertura di posizioni dirigenziali vacanti.
La segnalata modalità di copertura delle posizioni dirigenziali è, dunque, illegittima poiché non riconducibile, e qui risiede lo step successivo del ragionamento della Corte, né al modello dell'affidamento di mansioni superiori a impiegati appartenenti a un livello inferiore, né all'istituto della cosiddetta reggenza. Quanto al primo modello, è sufficiente ricordare che la norma di settore, e cioè l'articolo 52 del decreto legislativo n. 165 del 2001, stabilisce che «Per obiettive esigenze di servizio il prestatore di lavoro può essere adibito a mansioni proprie della qualifica immediatamente superiore: a) nel caso di vacanza di posto in organico, per non più di sei mesi, prorogabili fino a dodici qualora siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti (...) b) nel caso di sostituzione di altro dipendente assente con diritto alla conservazione del posto, con esclusione dell'assenza per ferie, per la durata dell'assenza.».

Mansioni superiori e reggenza -Peraltro, ai sensi della richiamata norma, «si considera svolgimento di mansioni superiori, ai fini del presente articolo, soltanto l'attribuzione in modo prevalente, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri di dette mansioni». In detti casi, «per il periodo di effettiva prestazione, il lavoratore ha diritto al trattamento previsto per la qualifica superiore. Qualora l'utilizzazione del dipendente sia disposta per sopperire a vacanze dei posti in organico, immediatamente, e comunque nel termine massimo di novanta giorni dalla data in cui il dipendente è assegnato alle predette mansioni, devono essere avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti». Al di fuori delle segnalate ipotesi, «è nulla l'assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore, ma al lavoratore è corrisposta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore. Il dirigente che ha disposto l'assegnazione risponde personalmente del maggior onere conseguente, se ha agito con dolo o colpa grave». E, comunque, aggiunge la Corte, si tratta di un modello applicabile solo nell'ambito del sistema di classificazione del personale dei livelli, non già delle qualifiche, e in particolare non è applicabile (ed è illegittimo se applicato) laddove sia necessario, come nella specie, il passaggio dalla qualifica di funzionario a quella di dirigente. Occorre però su detto ultimo punto ricordare che la Corte ha già affermato la illegittimità del conferimento a un funzionario di mansioni dirigenziali, in ragione della diversità delle “carriere” e della considerazione delle specifiche caratteristiche delle posizioni organizzative di livello dirigenziale e delle relative attribuzioni regolate dal contratto di incarico, fermo restando però che in applicazione del principio della retribuzione proporzionata (alla quantità e qualità del lavoro prestato) di cui all'articolo 36 della Costituzione, da sempre ritenuto applicabile anche al pubblico impiego, il lavoratore (funzionario) illegittimamente preposto a mansioni superiori (dirigenziali) ha pur sempre diritto alla differenza di trattamento con la qualifica più elevata, purché le relative mansioni gli siano state attribuite in modo prevalente sotto il profilo quantitativo, qualitativo e temporale (cfr. Corte costituzionale n. 17 del 2014).

Piuttosto il modello che, in maniera legittima, può consentire l'assegnazione di posizioni dirigenziali a un funzionario è quello della cosiddetta reggenza, di cui all'articolo 20 del Dpr 8 maggio 1987 n. 266. Detta norma prevede, infatti, che «Il personale appartenente alla nona qualifica funzionale (...) espleta le seguenti funzioni: a) sostituzione del dirigente in caso di assenza o impedimento; b) reggenza dell'ufficio in attesa della destinazione del dirigente titolare».

Hanno affermato al riguardo le sezioni Unite della Corte di Cassazione che «le disposizioni relative al comparto Ministeri che consentono la reggenza del pubblico ufficio sprovvisto temporaneamente del dirigente titolare devono essere interpretate, ai fini del rispetto del canone di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. e dei principi generali di tutela del lavoro nel senso che l'ipotesi della reggenza costituisce una specificazione dei compiti di sostituzione del titolare assente o impedito, contrassegnata dalla straordinarietà e temporaneità, con la conseguenza che a tale posizione può farsi luogo, senza che si producano gli effetti collegati allo svolgimento di mansioni superiori, solo allorquando sia stato aperto il procedimento di copertura del posto vacante e nei limiti di tempo ordinariamente previsti per tale copertura» (cfr., da ultimo, Cassazione, sezioni Unite, n. 3814 del 16 febbraio 2011).

Osserva la Corte che la condizione del previo avvio del procedimento per la copertura del posto vacante accomuna “mansioni superiori” e “reggenza”, laddove la seconda si caratterizza per essere finalizzata a colmare vacanze nell'ufficio determinate da cause imprevedibili. In linea con la citata giurisprudenza della Corte di cassazione, la Corte sottolinea dunque come straordinarietà e temporaneità sono perciò caratteristiche essenziali dell'istituto della reggenza. E, invero, proprio la già rilevata reiterazione della proroga del termine inizialmente posto per la definizione del concorso per dirigenti ha condotto prima il giudice amministrativo di primo grado, quindi la stessa Corte a ritenere carenti nella specie i due presupposti della straordinarietà e della temporaneità.
In altri termini, come già detto, le modalità di copertura delle posizioni dirigenziali adottate in concreto dall'Agenzia delle entrate non sono riconducibili né allo schema dell'affidamento di mansioni superiori né a quello della reggenza.

Interviene quindi la norma impugnata contribuendo di fatto, ad avviso della Corte, «all'indefinito protrarsi nel tempo di un'assegnazione asseritamente temporanea di mansioni superiori, senza provvedere alla copertura dei posti dirigenziali vacanti da parte dei vincitori di una procedura concorsuale aperta e pubblica», donde la dichiarazione di illegittimità costituzionale della stessa per violazione degli articoli 3, 51 e 97 della Costituzione. Infatti, vivisezionando la disposizione impugnata, la Corte rileva la superfluità di quanta parte di essa sostanzia l'autorizzazione alle Agenzie fiscali a espletare procedure concorsuali, atteso che l'indizione di concorsi per la copertura di posizioni dirigenziali vacanti è resa possibile da norme già vigenti, individuando l'obbiettivo reale della disposizione in quanta parte di essa fa salvi i contratti stipulati in passato tra le Agenzie e i propri funzionari e consente, nelle more dell'espletamento delle procedure concorsuali, l'attribuzione di ulteriori incarichi dirigenziali a funzionari, a mezzo della stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, con durata fissata nel tempo necessario per l'espletamento del concorso. E le successive proroghe, di cui ai citati decreti legge 150/2013 e 192/2014, che pur non hanno consentito di conferire nuovi incarichi a funzionari interni, aggravano, ad avviso della Corte, «gli aspetti lesivi della disposizione impugnata».

Conclusioni - In altri termini, in disparte la formale ripetuta temporaneità della disciplina, la proroga dei termini per il completamento delle procedure concorsuali è la dimostrazione logico-giuridica più chiara della non temporaneità degli affidamenti. All'incertezza che segna i tempi di definizione delle procedure concorsuali, dato questo notorio e di comune esperienza, occorre aggiungere che la norma impugnata laddove precisa che le agenzie interessate non potranno attribuire nuovi incarichi dirigenziali a propri funzionari a seguito dell'assunzione dei vincitori delle procedure concorsuali introduce ulteriore elemento di incertezza relativo al tempo occorrente, completate le procedure concorsuali, per l'assunzione dei vincitori. In detto passaggio della disposizione, la Corte “legge” la possibilità per le agenzie, anche a operazioni concorsuali concluse, di ulteriormente prorogare gli incarichi dirigenziali già conferiti a propri funzionari, in caso di ritardata assunzione di uno o più vincitori. A quanto esposto e richiamato consegue quindi la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma impugnata.

Rimane solo da aggiungere, essendosi posto il problema della sorte degli atti adottati dai funzionari preposti all'espletamento di funzioni dirigenziali in base alla norma di legge dichiarata incostituzionale, che in applicazione del principio del “funzionario di fatto”, allorquando la nomina di un soggetto a organo della pubblica amministrazione si appalesi illegittima, e venga pertanto annullata, gli atti medio tempore adottati da detto soggetto restano efficaci, risultando di norma irrilevante verso i terzi il rapporto in essere fra la pubblica amministrazione e la persona fisica dell'organo che agisce (così, Tar Lazio Roma, sezione III, 14 febbraio 2011 n. 1379).

Corte costituzionale – Sentenza 17 marzo 2015 n. 37

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