Professione e Mercato

Procedura esecutiva "a vuoto"? L'avvocato d'ufficio ha diritto al rimborso dallo Stato

L'avvocato d'ufficio che non ottenga nulla dalla procedura esecutiva volta alla riscossione dei propri onorari, ha diritto al rimborso da parte dell'Erario

di Marina Crisafi

L'avvocato d'ufficio che non ottenga nulla dalla procedura esecutiva ha diritto ad essere pagato dallo Stato. Così ha sancito la sesta sezione civile della Cassazione con l'ordinanza n. 34888/2021 dando ragione a un difensore che, avendo esperito inutilmente la procedura per recuperare i propri onorari, data l'irreperibilità della parte, chiedeva il rimborso degli stessi dall'Erario.

La vicenda
Il tribunale di Chieti tuttavia respingeva la richiesta di liquidazione dei compensi, osservando che non era stato adottato un provvedimento formale dichiarativo dell'irreperibilità della parte e non erano state esperite le procedure di recupero del credito.
L'avvocato perciò si rivolgeva al Palazzaccio, lamentando di aver tentato più volte di contattare l'imputato, notificandogli l'invito ad esperire la procedura di negoziazione assistita, ma che questi era risultato irreperibile. In tale situazione, secondo il legale, dunque, non era necessaria alcuna ulteriore attività, volta al recupero giudiziale del credito, venendo in rilievo la situazione di irreperibilità di fatto.

La decisione
Per gli Ermellini, il motivo è fondato. A loro dire, infatti, ha errato il giudice di merito a rigettare la richiesta di liquidazione dell'avvocato, ritenendo decisiva la carenza di un provvedimento espresso dichiarativo dell'irreperibilità dell'assistito ed evidenziando che il difensore era tenuto a coltivare le iniziative giudiziali di recupero del compenso professionale.
Tale assunto non è condivisibile, poiché, secondo il costante orientamento di legittimità, "il difensore d'ufficio che abbia inutilmente esperito la procedura esecutiva volta alla riscossione dell'onorario, ha diritto al rimborso dei compensi da parte dell'erario, con relativa liquidazione da parte del giudice ai sensi del combinato disposto degli artt. 82 e 116 del Dpr n. 115/2002 (cfr. tra le altre, Cass. n. 24104/2011; Cass. n. 30484/2017; Cass. n. 11720/2019).
Rimane fermo, precisano da piazza Cavour che tali iniziative di recupero del credito si rendono necessarie ove l'assistito sia tuttavia reperibile, potendo essere concretamente e proficuamente avviate e coltivate.
Nel caso in cui invece, l'autorità giudiziaria abbia formalmente dichiarato l'irreperibilità dell'indagato, dell'imputato o del condannato, il difensore d'ufficio, che intenda richiedere la liquidazione dei compensi per l'attività professionale svolta, ex articolo 117 del Dpr n. 115/2002, "non ha l'onere di provare la persistenza della condizione di irreperibilità, né di essersi attivato in via giudiziale per ottenere il pagamento delle spettanze" (cfr. Cass. n. 20967/2017).
Ciò vale anche quando manchi tale dichiarazione formale, poiché, rincara la S.C., "il giudice è tenuto a riconoscere quanto spettante al difensore, ove l'assistito non sia ‘di fatto' reperibile, essendo ogni ulteriore attività vanificata a monte dall'impossibilità di rintracciare l'interessato". Pure in questo caso, dunque, le spese restano a carico dell'erario che ha la facoltà, ove sia possibile, di ripetere le somme anticipate da chi si è reso in un secondo momento reperibile.
Si tratta di una soluzione, del resto, specifica la Corte, conforme alla ratio che ispira l'articolo 117 del Testo unico sulle spese di giustizia, "norma che peraltro non specifica se la nozione di irreperibilità vada inteso in senso formale o anche in senso sostanziale" (Cass.17021/2010).
Da qui l'accoglimento del ricorso e la cassazione dell'ordinanza. Spetterà al giudice del rinvio verificare se gli elementi addotti dal ricorrente consentissero di ravvisare una condizione effettiva di irreperibilità, tale da sollevare il difensore dall'onere di intraprendere le iniziative di recupero del credito professionale.

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