Processo nei Tar: più spazio alla sentenza breve
Nella legge di stabilità ritroviamo anche una non irrilevante novità sul processo amministrativo, oggetto sempre più di frequente di particolare attenzione da parte di un legislatore, spesso frammentario.
Le misure sul processo amministrativo - Il comma 781 della legge 208/2015 prevede due modifiche, una di effetto maggiormente legato al tema finanziario (in quanto teso a limitare gli effetti delle condanne in sede di ottemperanza), l'altra di impatto più strettamente processuale.
I limiti in tema di “astreintes” - Nella prima direzione si colloca la modifica, inserita al noto articolo 114, comma 4, della lettera e) del codice del processo amministrativo in tema di astreintes.
In generale, come noto, il contrasto giurisprudenziale circa l'estensione di tale peculiare, innovativo e delicato meccanismo processuale sanzionatorio alle condanne è stato risolto dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (sentenza n. 15 del 2014), la quale ha ritenuto che, nell'ambito del giudizio di ottemperanza, la comminatoria delle penalità di mora sia ammissibile per tutte le decisioni di condanna di cui al precedente articolo 113, ivi comprese quelle aventi per oggetto prestazioni di natura pecuniaria, dando conseguentemente pieno e definitivo ingresso all'istituto dell'astrainte - quale penalità di mora nei confronti dell'intimata amministrazione per ogni violazione o inosservanza successiva - nell'esecuzione del giudicato per adempimento delle obbligazioni pecuniarie.
Tale corretta interpretazione omnicomprensiva non poteva che rischiare di dare la stura a ulteriori esborsi finanziari per le finanze pubbliche. A fini di delimitazione interviene quindi il legislatore della stabilità.
In dettaglio, si dettano due precisazioni (a effetto limitativo) in tema di decorrenza e di quantum della relativa condanna: «nei giudizi di ottemperanza aventi ad oggetto il pagamento di somme di denaro, la penalità di mora di cui al primo periodo decorre dal giorno della comunicazione o notificazione dell'ordine di pagamento disposto nella sentenza di ottemperanza; detta penalità non può considerarsi manifestamente iniqua quando è stabilita in misura pari agli interessi legali». Quindi, se la decorrenza è immediata rispetto alla comunicazione e conseguente cognizione della condanna, la misura è ordinariamente indicata nel tasso legale, lasciando al giudice la discrezionalità (e relativo onere motivazionale) di dettare somme diverse in relazione alla specificità del caso concreto.
La modifica si lega a quella contenuta nel precedente comma 777 della stessa stabilità che, in termini organizzativi, detta una specificazione circa la nomina dell'eventuale commissario ad acta in materia di condanne per la cosiddetta legge Pinto. Infatti, per l'ottemperanza ai decreti che condannano al pagamento di un indennizzo per irragionevole durata del processo ai sensi della legge 89/2001, l'articolo 5-sexies, comma 8, della legge 89/2001, aggiunto dall'articolo 1, comma 777, lettera l), della legge 208/2015, ha disposto, per il caso di nomina di commissario ad acta, che esso sia «un dirigente dell'amministrazione soccombente, con esclusione dei titolari di incarichi di Governo, dei capi dipartimento e di coloro che ricoprono incarichi dirigenziali generali. I compensi riconosciuti al commissario ad acta rientrano nell'onnicomprensività della retribuzione dei dirigenti».
L'estensione della sentenza in forma semplificata - Nella seconda direzione, si colloca una norma aggiuntiva in relazione a un istituto tradizionale e peculiare del processo amministrativo, l'istanza di prelievo.
In particolare, a tale istituto di cui all'articolo 71 del codice, con cui la parte può segnalare l'urgenza del ricorso (seppur nella prassi le parti se ne avvalgono con quasi costante generalità), si inserisce un articolo aggiuntivo (71-bis) con cui si prevede un ulteriore effetto di tale istanza: cioè la possibilità che il giudice, apprezzate le circostanze, possa decidere con sentenza in forma semplificata in camera di consiglio.
Peraltro, in un'ottica di ulteriore accelerazione di un processo che - quantomeno rispetto agli altri settori - appare già ben più rapido, lungi dall'intervenire con misure di sostegno finanziario e organizzativo (più consone alla natura delle legge di stabilità), si interviene con una sostanziale generalizzazione di un istituto (la sentenza semplificata), nato a in un diverso contesto (il processo cautelare).
Come noto, la cosiddetta istanza di prelievo ha ormai una rilevanza specifica anche in termini limitativi del cosiddetto danno da ritardo, costituendo il “rimedio preventivo” messo a disposizione delle parti (e che dunque, come evidenziato da attenta dottrina, “deve” essere esperito perché si abbia in seguito diritto alla riparazione del danno da ritardo).
In generale, l'istanza in oggetto serve alla parte a segnalare l'urgenza (articolo 71, comma 2), al fine di ottenere una trattazione anticipata rispetto al normale ordine di trattazione delle cause. Quindi non c'è una maggiore efficienza del servizio giustizia, ma solo l'accelerazione per una causa a scapito delle altre.
Con la nuova norma si tenta di estendere tali benefici al sistema generale, rendendolo più rapido. Ciò in due modi: con la trattazione in camera di consiglio, in luogo della pubblica udienza; con la redazione di una sentenza cosiddetta «in forma semplificata».
Si ricalca, quindi, il meccanismo tipico della cosiddetta sentenza breve in sede di giudizio cautelare con cui il giudice, non si limita a decidere la domanda cautelare ma definisce il giudizio.
Sotto il primo versante (rito camerale), nel nuovo meccanismo esteso al giudizio di merito la “nuova” camera di consiglio prevista dall'articolo 71-bis, a differenza del giudizio cautelare, deve essere fissata appositamente, al pari dell'udienza pubblica che comunque si dovrebbe fissare per effetto della norma generale ex articolo 71, comma 2, con la sola differenza del rito camerale e non pubblico. In proposito, le incombenze organizzative (ad esempio decreto di fissazione, comunicazioni, depositi di documenti e memorie) restano, con un indubbio vantaggio temprale insito nella maggior brevità dei termini: ad esempio il preavviso alle parti di trenta giorni invece che sessanta. Sotto il secondo versante (sentenza semplificata) il rischio per l'efficienza del sistema appare maggiore. Infatti, una sentenza redatta con tali modalità si è giustificata in relazione a cause seriali, di facile soluzione in quanto oggetto di orientamenti già espressi, ovvero in cui l'accoglimento di un'eccezione preliminare escludeva l'esame di gran parte delle questioni.
Estendere tale meccanismo a tutti i possibili ricorsi rischia o di snaturare la sentenza breve (che dovendo affrontare tutte le questioni tale non potrà essere) ovvero di ampliare il contenzioso ad esempio per l'intensificarsi degli appelli contro sentenze che, nella brevità, non esaminano (come imposto dall'ordinamento e dai principi) tutte le domande.
Invero, la permanenza della discrezionalità del giudice nel ricorrere a tale formulazione potrà comunque garantire il ricorso a tale strumento alle ipotesi in cui lo stesso si applica in sede cautelare.