Responsabilità

Procreazione Medicalmente Assistita, inquadramento legislativo e giurisprudenziale

Estratto da Responsabilità e Risarcimento - Il Mensile n. 40, Dossier Novembre 2024: “Responsabilità civile e procreazione medicalmente assistita (PMA)”

immagine non disponibile

di Daniela Di Palma*

Nell’ultimo periodo l’opinione pubblica ha acquisito maggiore consapevolezza della Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) e delle tematiche ad essa connesse. In linea generale, come più volte ricordato dal Ministero della Salute, la PMA, comunemente detta “fecondazione artificiale”, è l’insieme delle tecniche utilizzate per aiutare il concepimento in tutte le coppie, nei casi in cui il concepimento spontaneo è impossibile o estremamente remoto e nei casi in cui altri interventi farmacologici e/o chirurgici siano inadeguati.

La PMA si avvale di diversi tipi di tecniche che comportano la manipolazione di ovociti, spermatozoi o embrioni nell’ambito di un trattamento finalizzato a realizzare una gravidanza. Queste metodiche sono rappresentate da diverse opzioni terapeutiche suddivise in tecniche di I, II e III livello in base alla complessità e al grado di invasività tecnica che le caratterizza:

  • metodiche di I livello sono semplicie poco invasive e caratterizzate dal fatto che la fecondazione si realizza all’interno dell’apparato genitale femminile
  • tecniche di II e III livello sono invece più complesse e invasive e prevedono che la fecondazione avvenga in vitro.

Oltre a diverse condizioni patologiche che possono condizionare negativamente la capacità riproduttiva sia dell’uomo sia della donna, l’età della donna rappresenta il fattore che più riduce la possibilità di avere un bambino con i trattamenti di PMA.

Tale sintetica premessa è necessaria per comprendere la centralità e l’ineludibilità della riflessione etica rispetto alle incessanti novità che ci prospetta via via la tecnologia in capo biomedico e soprattutto con riguardo alla salute e al momento dell’inizio della vita, hanno causato la necessità di rimeditare il rapporto tra la bioetica e il biodiritto.

La bioetica deve intendersi come disciplina autonoma che assolve il compito di condurre ad una riflessione etica sulle implicazioni teorico -pratiche dello sviluppo scientifico e tecnologico rispetto alle scienze della salute e della vita dell’uomo. 

Per rispondere all’interrogativo se tutto ciò che è tecnicamente possibile è anche tecnicamente accettabile, socialmente ammissibile e giuridicamente lecito, è insorta l’esigenza di dare ingresso ad un nuovo ambito di cognizione del sapere umano che ha assunto la denominazione di biodiritto. Esso ha ad oggetto la sistematizzazione degli aspetti giuridico-normativi che “diritti di IV generazione” connessi alla tutela della vita fisica ed in particolare agli effetti giuridici indotti dalle scienze biomediche; delle questioni inerenti ai fenomeni della vita organica del corpo, della generazione, dello sviluppo, della maturità, della vecchiaia, della salute, della malattia e della morte nonché della ricerca e della prassi biomedica tendono a disciplinare il complesso delle relazioni intersoggettive connesse alle problematiche biomediche, con conseguente attribuzione di giuridicitàall’opzione bioetica e biopolitica prescelta. Il biodiritto, è tenuto a salvaguardare i tre principi basilari di precauzione, dell’autodeterminazione e del consenso informato e, quindi, in sintesi, in una prospettiva del tutto innovativa, il sempre problematico rapporto fondamentale tra i principi di libertà e responsabilità.

Inquadramento legislativo e giurisprudenziale

In questo contesto e per soddisfare le nuove esigenze imposte dal progresso della biomedicina sul processo procreativo il legislatore nazionale è intervenuto con l’approvazione della legge 19 febbraio 2004, n. 40 che, nel recare “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita” ha dettato una disciplina con la quale si è inteso intervenire oltre che sull’integrità psicofisica della donna, anche sulle scelte stesse di una coppia circa la decisione di creare una famiglia e una discendenza, e, quindi, sulla regolamentazione degli atti medici che si collocano in quella fase temporale e nell’ambito di azione capace di interferire con l’idoneità procreativa.

In altri termini, con la legge n. 40 del 2004 il legislatore ha voluto tutelare e regolare la c.d. “salute procreativa (quale peculiare specificazione del più generale diritto alla salute), ossia quel particolare aspetto della salute che coniuga al suo interno l’integrità psicofisica della persona e la sua autonomia esistenziale, con l’assunzione, quindi, della consapevolezza che gli organi riproduttivi e sessuali sono biologicamente deputati non soltanto ad assicurare la sopravvivenza, ma anche a realizzare l’esistenza stessa della persona, così emergendo la indispensabilità della previsione di un’adeguata tutela sul piano giuridico di tutta l’attività medico-scientifica che potrebbe alterarne le funzioni, tale, perciò, da salvaguardare i connessi interessi esistenziali a cui è necessario attribuire autonomo valore.

La legge n. 40/2004 è stata definita una legge unilaterale, chiusa, vagamente paternalistica, giacché si è detto assumere e pretendere di imporre all’intera collettività un sistema di valori di chiara matrice etico-religiosa, per di più abusando sia della sanzione penale sia della sanzione amministrativa. Lo ha rilevato, fin da subito, la quasi totalità della dottrina giuridica, che in molti casi ha ravvisato nell’abrogazione in toto l’unico rimedio possibile. Ma soprattutto lo ha rilevato la Corte costituzionale, sulla base di argomenti che, sebbene si riferiscano (inevitabilmente) alle sole disposizioni censurate dai giudici rimettenti, per il loro tenore ben si prestano a revocare in dubbio la validità, se non dell’intero testo legislativo, della gran parte di esso.

La legge n. 40/2004 è stata finora oggetto di diverse pronunce di illegittimità da parte della Consulta. Con la sentenza 8 maggio 2009, n. 151 (redattore Finocchiaro), sono stati dichiarati incostituzionalil’art. 14, comma 2, nella parte in cui prevede, ai fini dell’applicazione della procedura della procreazione medicalmente assistita, la formazione di un numero limitato di embrioni, fino ad un massimo di tre, da impiantare contestualmente; e l’art. 14, comma 3, nella parte in cui non prevede che il trasferimento degli embrioni - da realizzare non appena possibile, come stabilito da tale norma - debba essere effettuato senza pregiudizio della salute della donna.

CONTINUA A LEGGERE

La PMA e le tematiche connesse. Inquadramento legislativo e giurisprudenziale

*Responsabilità e Risarcimento - Il Mensile, 1 novembre 2024 - n. 40 p. 5. di Avv. Daniela Di Palma - Associate BLB Studio Legale

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©