Professionisti e crisi da Covid: il calo del fatturato spinge verso il forfettario
L’abbattimento dei compensi sotto la soglia dei 65mila euro può portare in assenza degli altre condizioni ostative a entrare nel regime agevolato
Un probabile effetto della crisi economica del 2020 sarà l’ampliamento della platea dei soggetti che possono accedere, nel 2021, al regime forfettario previsto dall’articolo 1 commi da 54 a 89 della legge 190/2014 in quanto a causa del pesante calo dell’attività registrato da numerosi operatori economici numerosi lavoratori autonomi (e imprenditori) hanno realizzato ricavi o compensi non superiori a 65mila euro.
Tale importo, che costituisce il principale requisito di accesso al regime è, per espressa previsione normativa, da ragguagliare ad anno dovendo essere ridotto per le attività avviate nel 2020 (circolare 9/E/2019).
Ci si può domandare se anche le chiusure del 2020, per effetto dei provvedimenti introdotti dai vari Dpcm, richiedano un ragguaglio del limite: si è tuttavia dell’opinione che per le attività già avviate al 1° gennaio 2020 non si debba tener conto delle cessazioni temporanee dell’attività dovendo semplicemente verificare di non aver incassato oltre 65mila euro. Infatti, per la verifica del superamento del limite dei ricavi, si deve far riferimento al principio di cassa con la sola eccezione dei contribuenti in contabilità ordinaria per i quali rilevano i ricavi in base al principio di competenza.
Ricordiamo che il regime si rivolge alle persone fisiche esercenti attività d’impresa o di lavoro autonomo che nell’anno precedente non abbiano sostenuto oltre 20mila euro di costi per dipendenti, collaboratori e associati in partecipazione.
Il regime è inoltre incompatibile con redditi di lavoro dipendente superiori a 30mila euro e con partecipazioni in società di persone e associazioni, ovvero con il controllo di Srl e associazioni che svolgono attività economiche riconducibili all’attività forfetaria.
Tra le caratteristiche del regime che lo rendono attraente ai più (ma non a tutti) vi sono:
• determinazione forfetaria del reddito, anche ai fini della contribuzione sociale, applicando una % di costi forfetariamente riconosciuta;
• l’applicazione di un’imposta pari al 15% (che scende, in favore delle nuove iniziative, al 5%, per i primi 5 anni) sostitutiva di Irpef e addizionali;
• non assoggettamento a Iva delle operazioni attive (e indetraibilità sugli acquisti);
• non assoggettamento a ritenuta di acconto;
• esonero dalla fatturazione elettronica e da altri adempimenti contabili;
• esclusione dall’Irap e dall’applicazione degli Isa.
Sulla base di queste caratteristiche il regime è particolarmente apprezzato dai contribuenti che operano con privati e da chi sostiene un volume limitato di costi.
Pur essendo il forfettario il regime naturale, i contribuenti che scendono sotto la soglia di 65mila euro hanno la facoltà di continuare ad applicare il precedente regime: decisione da prendere comunque in tempi rapidi già dalla prima fattura emessa nel 2021 anche al fine di applicare o meno Iva e ritenuta.
Nell’ampia casistica dei soggetti che si ritrovano, nel 2020, ad essere scesi sotto la soglia dei 65mila vi sono alcuni contribuenti che hanno patito una perdita duratura di ricavi ritrovando nel regime forfettario la loro naturale collocazione.
Altri invece, come numerosi professionisti, penalizzati nel 2020 da una riduzione degli incassi non correlata a una diminuzione dell’attività potranno recuperare nel 2021 gli ordinari volumi e, magari, incassare le competenze pregresse beneficiando appieno dell’aliquota agevolata.
Per tali professionisti, dimenticati da gran parte delle agevolazioni Covid-19, una forma di “ristoro” indiretto - per così dire - potrebbe essere proprio quello della tassazione agevolata dei compensi 2021: eventuali sforamenti del limite di 65mila euro (anche per importi rilevanti) non pregiudicheranno l’applicazione dell’aliquota agevolata al 15% ma comporteranno soltanto la fuoriuscita dal regime a partire dal 2022.