Civile

Rettifica dei costi pluriennali per periodi ormai decaduti

Oggi l’udienza alle Sezioni unite della Cassazione. La Procura generale dà ragione all'Agenzia: non è un mero dato contabile

di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

Deve ritenersi legittima la rettifica di costi pluriennali derivanti da acquisti sostenuti in periodi di imposta per i quali è decaduto il potere di rettifica dell’amministrazione.

Sono queste in sintesi le conclusioni cui giunge la Procura generale della Cassazione in riferimento all’udienza del 26 gennaio presso le Sezioni unite civili a seguito del rinvio disposto con ordinanza 10701 depositata il 5 giugno 2020.

La vicenda traeva origine dalla contestazione dell’Agenzia della quota di un nono di una svalutazione registrata a bilancio anni prima. La contribuente eccepiva l’intervenuta decadenza del potere di accertamento. Entrambi i giudici di merito confermavano l’illegittimità della pretesa.

I giudici di legittimità, nella rimessione ritenevano non convincenti recenti sentenze (Cassazione 9993/2018 e 2899/2019) che escludevano il potere di rettifica della quota pluriennale, contestando nel merito il costo sostenuto oltre i termini ordinari di decadenza decorrenti dall'anno di iscrizione a bilancio.

La Procura generale, in previsione dell’udienza del 26 gennaio 2021 presso le Sezioni unite, nelle proprie conclusioni ha avallato la tesi erariale

Viene innanzitutto evidenziata l'autonomia di ciascun periodo di imposta, con la conseguenza che l’ufficio deve poter rettificare eventuali costi non deducibili in tale periodo ancorché sostenuti in anni precedenti.

Secondo la Procura nelle dichiarazioni successive non vi è un semplice riporto del dato contabile dell’anno precedente e quindi il controllo non deve limitarsi alla mera correttezza del calcolo del rateo ma l’ufficio può sindacare il presupposto sostanziale legittimante la deduzione.

Questa osservazione lascia perplessi: nei bilanci e nelle dichiarazioni successive al sostenimento del costo si riporta esattamente il semplice riporto contabile (quota parte) dell’onere sostenuto negli anni precedenti. Mal si comprende pertanto perché a fronte di un mero riporto di dato contabile l'Ufficio dovrebbe poter sindacare (e rettificare) nel merito tale dato nonostante non l'abbia fatto in passato entro i termini consentiti.

La Procura poi ritiene che il principio espresso dalla Corte costituzionale, secondo cui non sia possibile lasciare il contribuente assoggettato all'azione esecutiva del fisco per un tempo indeterminato, debba riferirsi solo alla notifica della cartella di pagamento e non alla decadenza in generale.

Quasi a giustificare tale singolare interpretazione viene evidenziato che in ogni caso sorgerebbe, in capo al contribuente, un obbligo al massimo decennale di conservazione delle scritture contabili.

Non sembra sul punto considerarsi che vi sono ammortamenti previsti in 33 anni o 18 anni (si pensi agli immobili o all'avviamento).

Così l’Ufficio potrebbe contestare l’indeducibilità della quota per difetto di inerenza e quindi chiedere conto dell'acquisto a suo tempo eseguito, fino al 38° o al 23° anno successivo (considerando gli ulteriori 5 anni per l'esercizio del controllo rispetto all'ultima deduzione)!

Infine a conferma della correttezza delle conclusioni pro fisco, viene citata una sentenza della Cassazione penale secondo la quale, in presenza di operazione inesistente relativa al bene successivamente ammortizzato, il reato si commetterebbe in tutti gli anni di riporto dei relativi ammortamenti e non solo in quello dell'acquisto.

Anche questo riferimento lascia perplessi, infatti non viene messa in discussione la violazione ma la decadenza del potere di rettifica di detta violazione, oggetto proprio della rimessione alle Sezioni unite.

A questo punto, vi è da sperare che la decisione dell’alto consesso non sia condizionata esclusivamente dalle ragioni erariali e consideri i principi espressi dalla Corte costituzionale (il contribuente non può essere esposto, «senza limiti temporali, all’azione esecutiva del fisco, in quanto ciò non è consentito dall’articolo 24 della Costituzione» - tra tutte 107/2003, 352/2004, 247/2011). Sarebbe singolare addossare ulteriori oneri al contribuente nei casi in cui il Fisco non sia in grado di scoprire una violazione nell’arco di circa sei anni.

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