Civile

Reverse Charge ed operazioni inesistenti: verso un definitivo chiarimento sul trattamento sanzionatorio

Con la recente ordinanza interlocutoria del 3 dicembre 2020, n. 27674, la Suprema Corte è intervenuta sulla discussa tematica del trattamento sanzionatorio applicabile in caso di operazioni soggettivamente inesistenti effettuate in regime di reverse charge

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di Martina Bettarini e Valentina Di Marco*


Con la recente ordinanza interlocutoria del 3 dicembre 2020, n. 27674, la Suprema Corte è intervenuta sulla discussa tematica del trattamento sanzionatorio applicabile in caso di operazioni soggettivamente inesistenti effettuate in regime di reverse charge.

In particolare, preso atto del contrasto interpretativo sorto in merito all'applicabilità dell'art. 6, comma 9-bis.3 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, il giudice di legittimità ha richiesto all'Ufficio del Ruolo e del Massimario la redazione di una relazione tematica di approfondimento sulla «disciplina, anche in relazione alla portata e all'ambito applicativo dell'art.6, comma 9 bis, del d.lgs. n. 471 del 1997, in considerazione del consistente numero di controversie pendenti, che consiglia la fissazione di una o più udienze tematiche ad esse dedicate».

Come noto, infatti, il d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, introducendo i commi da 9-bis.1 a 9-bis.3 dell'art. 6 del d.lgs. n. 471 del 1997, ha voluto innovare il trattamento sanzionatorio previsto per le violazioni da irregolare applicazione del reverse charge, con l'obiettivo di renderlo maggiormente coerente e proporzionale rispetto al concreto disvalore dell'irregolarità commessa dal contribuente. Invero, da un lato, le fattispecie sanzionatorie introdotte con i citati commi 9-bis.1 e 9-bis.2 disciplinano ipotesi in cui vi è stato un errore nella scelta della modalità di assolvimento dell'imposta (tra regime ordinario ed inversione contabile, e viceversa), prevedendo, fatto salvo il diritto alla detrazione, una sanzione in misura fissa, ad eccezione dell'ipotesi in cui l'errore sia determinato da una finalità di evasione o frode di cui è provata la consapevolezza del contribuente, applicandosi in tal caso la più grave sanzione proporzionale dal 90% al 180% dell'imposta dovuta.

Dall'altro, il comma 9-bis.3 disciplina l'ipotesi in cui «il cessionario o committente applica l'inversione contabile per operazioni esenti, non imponibili o comunque non soggette a imposta, in sede di accertamento devono essere espunti sia il debito computato da tale soggetto nelle liquidazioni dell'imposta che la detrazione operata nelle liquidazioni anzidette, fermo restando il diritto del medesimo soggetto a recuperare l'imposta eventualmente non detratta [..]», prevedendo poi che «la disposizione si applica anche nei casi di operazioni inesistenti, ma trova in tal caso applicazione la sanzione amministrativa compresa tra il cinque e il dieci per cento dell'imponibile, con un minimo di 1.000 euro».

Il contrasto giurisprudenziale sorto in seno alla Suprema Corte, di cui dà atto l'ordinanza in commento, riguarda proprio la portata del comma 9-bis.3. L'interpretazione letterale della norma sembrerebbe suggerire che il primo ed il secondo periodo del comma 9-bis.3 siano riferiti ad ipotesi diverse: applicazione del reverse charge nel caso di operazioni esenti, non imponibili o non soggette ad IVA, nella prima parte; applicazione del reverse charge per operazioni inesistenti, nella seconda parte.

Senonché, con la sentenza 9 agosto 2016, n. 16679, la Suprema Corte ha messo in dubbio tale interpretazione letterale, affermando che «i più favorevoli trattamenti fiscali e sanzionatori introdotti dal comma 9 bis, n. 3, non trovano applicazione nel caso di operazioni imponibili soggettivamente inesistenti ancorché regolate in regime domestico d'inversione contabile», ma solo nei casi in cui le operazioni inesistenti siano «astrattamente "esenti, non imponibili o comunque non soggette a imposta e che siano regolate dal cessionario coll'inversione contabile interna".

Per l'insidiosità che verosimilmente si ritiene che tale fattispecie rivesta, trova solo in tale ultimo caso applicazione la sanzione amministrativa tra il cinque e il dieci per cento dell'imponibile (con un minimo di mille Euro)». La Corte, dunque, facendo leva su una peculiare interpretazione del collegamento tra i due periodi del comma 9-bis.3, distingue tra le operazioni che siano solo inesistenti e quelle inesistenti ma anche astrattamente esenti, non imponibili o non soggette ad imposta, riservando solo a queste ultime il regime di favore introdotto dal legislatore con il d.lgs. n. 158 del 2015.

La posizione assunta dalla Corte, indubbiamente più restrittiva di quella desumibile dal dato letterale della norma, ha destato parecchie perplessità. Anzitutto, perché tale orientamento sembrerebbe una forzatura della lettera della norma voler affermare che le sole operazioni inesistenti ricomprese nell'ambito del comma 9-bis.3 siano quelle astrattamente «esenti, non imponibili o comunque non soggette ad imposta», così escludendo le operazioni inesistenti ma imponibili per cui continuerebbe ad essere applicato il regime di indetraibilità dell'imposta.

In secondo luogo, poi, ritenendo valida tale lettura della norma, sebbene non sia da escludere che operazioni soggettivamente inesistenti siano astrattamente idonee ad essere ricomprese nel campo di applicazione del tributo, si finirebbe per richiedere agli operatori di operare il complesso accertamento, tutt'altro che semplice nella pratica, dell'astratta imponibilità di una cessione di beni o prestazione di servizi inesistente. Infine, ponendosi in continuità l'orientamento fornito nella citata sentenza n. 16679 del 2016, si correrebbe il rischio di snaturare la stessa funzione e ratio del comma 9-bis.3 che, come detto, è stato introdotto proprio con il fine di prevedere una risposta sanzionatoria maggiormente basata sui principi di proporzionalità, effettività ed equivalenza in presenza di comportamenti, anche illeciti, dai quali non siano derivate perdite di gettito.

La stessa Amministrazione finanziaria, con la circolare 11 maggio 2017, n. 16 ha sostenuto che «la disciplina prevista dal comma 9-bis.3 si applica anche alle operazioni inesistenti assolte con il meccanismo dell'inversione contabile», confermando che la finalità della novella legislativa è quella di «rendere maggiormente coerenti tali sanzioni rispetto al concreto disvalore dell'illecito commesso dal contribuente, così da garantire che le condotte connotate da scarsa gravità - da valutare non solamente in termini di danno arrecato all'Erario, ma anche di rilevabilità da parte dell'Amministrazione dell'errore commesso - siano punite in misura più lieve rispetto alle condotte più insidiose e pericolose». Tali indicazioni sono state recepite dalla successiva giurisprudenza di legittimità, che con le sentenze 12 dicembre 2019, nn. 32552, 32553 e 32554 ha affermato che «Venendo alle operazioni soggettivamente inesistenti che qui interessano, la disciplina del D.Lgs. cit., comma 9-bis.3, le include espressamente nel più favorevole trattamento sanzionatorio», coerentemente con «i principii sanciti dalla giurisprudenza comunitaria in materia di reverse charge, secondo cui le violazioni degli obblighi formali non possono escludere di per sé il diritto alla detrazione del contribuente, pena la violazione del principio di neutralità dell'imposta» (in senso conforme anche la successiva sentenza 30 luglio 2020, n. 16367).

Questo secondo filone, sostenuto dalla giurisprudenza più recente, appare senz'altro più condivisibile rispetto al primo e più restrittivo orientamento della Corte, poiché maggiormente in linea tanto con il dato letterale dell'art. 6, comma 9-bis.3 quanto con i principi che hanno ispirato la riforma della disciplina sanzionatoria del reverse charge.

Sebbene la Suprema Corte sembri aver cambiato rotta, in assenza di un orientamento che ad oggi possa ritenersi consolidato, è apprezzabile la decisione dell'ordinanza interlocutoria in commento di rinviare all'Ufficio del Ruolo e del Massimario per la redazione di una relazione approfondimento sulla tematica controversa che possa porsi alla base di una definitiva presa di posizione della giurisprudenza.

Nel contesto delineato sembra, senz'altro, auspicabile che i giudici di legittimità si pongano in linea con i principi ispiratori della norma, privilegiando l'intento del legislatore di prevedere un sistema sanzionatorio che, da un lato, sia maggiormente equo ed ancorato al concreto disvalore connesso all'illecito e, dall'altro, si discosti da quei rigidi formalismi che spesso lo hanno contraddistinto in passato.

*a cura di Martina Bettarini e Valentina Di Marco

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