Revoca della confisca: il no alla restituzione somme non è giustificato dalle spese per conservare un altro bene
Il tribunale, dopo la revoca della confisca non può negare il diritto alla restituzione delle somme sequestrate alla società, chiarendo che il denaro è stato utilizzato per sostenere spese utili alla conservazione di un altro bene confiscato. La Corte di cassazione, con la sentenza 32692, accoglie il ricorso contro la decisione del Tribunale di respingere la richiesta di condanna del ministero dell'Interno e dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione dei beni sequestrati e confiscati, alla restituzione di 75 mila euro, sequestrati in base alla normativa antimafia. La confisca aveva riguardato in particolare le quote di una Srl e il saldo attivo del conto corrente del ricorrente. La domanda per riavere indietro il denaro era scattata dopo il provvedimento con il quale la Corte d'Appello, aveva revocato la confisca e ordinato la restituzione di quanto sottoposto alla misura preventiva. Prima della revoca però L'Agenzia nazionale aveva autorizzato l'amministratore dei beni confiscati e il liquidatore della Srl a presentare istanza di ammissione alla procedura di concordato preventivo, aprendo a questo scopo un libretto di deposito, vincolato all'ordine del giudice delegato, nel quale erano finiti i 75 mila euro a titolo di deposito cauzionale: un importo prelevato dal conto corrente. Dopo l'esito negativo del concordato preventivo e la dichiarazione di fallimento della società il ricorrente, visto il rigetto da parte del giudice delegato dell'istanza per rivendicare i 75 mila euro, il ricorrente aveva giocato la carta della restituzione per equivalente della somma come previsto dall'articolo 46 del Dgls 159/2011. Perso anche su questo punto il ricorso arriva, con successo, in Cassazione. La Suprema corte chiarisce, infatti, che la norma detta precise eccezioni - in nome di un bilanciamento con l'interesse pubblico - alla regola della restituzione integrale di quanto illegittimamente confiscato. Le eccezioni, per le quali è comunque previsto un indennizzo, riguardano i beni culturali, gli immobili e le aree dichiarati di interesse pubblico, che può essere pregiudicato dalla restituzione. Nello specifico il diritto alla restituzione è garantito – dall'ordinamento interno e dalla norme dell'Unione e sovranazionali in nome della tutela della proprietà. Recentemente la stessa Cedu, con la sentenza del 2017, Bozza contro Italia, ha ribadito che nessuna decisione giudiziaria definitiva e vincolante può restare priva di effetto a scapito di una delle parti. In questa prospettiva non è dunque pensabile che, dopo aver ottenuto l'accertamento della sua pretesa, al ricorrente possa essere negato il soddisfacimento di un interesse protetto. Una conclusione che non può essere messa in discussione dal fatto che le somme confiscate siano state impiegate per l'amministrazione di un altro bene confiscato. E il soggetto tenuto alla restituzione è l'Agenzia nazionale.
Corte di cassazione – Sezione V – Sentenza 16 luglio 2018 n.32685