Riassetto Forze di polizia: arriva la nuova disciplina sulle informative di reato
La dimensione degli sprechi che comporta l'assetto della sicurezza pubblica in Italia non è facile da perimetrare. La duplicazione delle strutture di polizia sul territorio, la proliferazione della dirigenza è nota da decenni, ma praticamente nulla è stato fatto per porvi rimedio. Commissariati di polizia, compagnie dei carabinieri, stazioni, posti fissi, tenenze, distaccamenti e via seguitando realizzano una costellazione confusa e disarmonica che, tante volte, prescinde dal reale fabbisogno di sicurezza e controllo e risponde, piuttosto, a logiche inframurarie dei singoli Corpi e/o a spinte localistiche della politica, gelosa delle strutture presenti sul territorio.
L'accorpamento Forestale con l'Arma dei carabinieri - Il Dlgs 19 agosto 2016 n. 177, titolato «Disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del Corpo forestale dello Stato, ai sensi dell'articolo 8, comma 1, lettera a), della legge 7 agosto 2015, n.124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche» rappresenta un primo, insoddisfacente, intervento per porre rimedio a una condizione di inefficienza strutturale che solo la dedizione e l'abnegazione di molti riesce ancora a dissimulare.
La “dolce” logica della razionalizzazione dei presidi di polizia - L'articolo 3 del decreto («Razionalizzazione dei presidi di polizia»), nella sua logica flou e nella selva di deroghe ed eccezioni che lo connota, si erge a emblema della ritrosia e della prudenza con cui l'autorità politica entra nel “giardino proibito” dell'organizzazione delle forze di polizia.
L'incipit della norma è di per sé significativo «Ferma restando la coordinata presenza della Polizia di Stato e dell'Arma dei Carabinieri e la garanzia di adeguati livelli di sicurezza e di presidio del territorio, nonché l'articolo 177 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 …».
Sono enunciate tre eccezioni ancor prima che si articoli la regola per la distribuzione dei presidi territoriali. Devono essere comunque preservate:
a) la «coordinata presenza» che allude a una tanto persistente, quanto insindacabile ulteriore convivenza degli uffici di polizia in un medesimo ambito territoriale;
b) la «garanzia di adeguati livelli» che rimette, ancora, alla mera contrattazione tra agenzie della sicurezza la valutazione della co-presenza territoriale;
c) il rinvio all'articolo 177 del Dlgs 66/2010 che salvaguarda e lascia impregiudicata, poi, la prerogativa del comandante generale dei carabinieri di istituire o sopprimere «comandi territoriali di livello non superiore a comando provinciale con propria determinazione, previo assenso del ministro della Difesa, che si pronuncia di concerto con il ministro dell'Interno».
Posti questi, inestricabili paletti, l'articolo 3 rimette al ministro dell'Interno la facoltà di adottare «entro 90 giorni dalla pubblicazione del presente decreto» (il provvedimento è andato in “Gazzetta Ufficiale” il 12 settembre 2016), misure volte a razionalizzare la dislocazione delle Forze di polizia sul territorio, «privilegiando l'impiego della Polizia di Stato nei comuni capoluogo e dell'Arma dei carabinieri nel restante territorio, salvo specifiche deroghe per particolari esigenze di ordine e sicurezza pubblica» (quarta deroga), «tenendo anche conto dei provvedimenti di riorganizzazione degli uffici delle Forze di polizia di livello provinciale in relazione a quanto previsto dall'articolo 7 del presente decreto, dell'articolo 1, comma 147, della legge 7 aprile 2014, n. 56, nonché della revisione delle articolazioni periferiche dell'Amministrazione della pubblica sicurezza, anche in attuazione dell'articolo 8, comma 1, lettera e), della legge» (quinta riserva).
L'articolo 18 del Dlgs 177/2016 e le informative ai vertici di polizia - In questo scenario estremamente vago e confuso si inserisce l'articolo 18 del Dlgs 177/2016, dedicato alle «Disposizioni transitorie e finali» e che, non senza sorpresa, al comma quinto prevede che - entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto e a decorrere dal 1° gennaio 2017 - «al fine di rafforzare gli interventi di razionalizzazione volti ad evitare duplicazioni e sovrapposizioni, anche mediante un efficace e omogeneo coordinamento informativo, il capo della polizia-direttore generale della pubblica sicurezza e i vertici delle altre Forze di polizia adottano apposite istruzioni attraverso cui i responsabili di ciascun presidio di polizia interessato, trasmettono alla propria scala gerarchica le notizie relative all'inoltro delle informative di reato all'autorità giudiziaria, indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale».
In sostanza la polizia giudiziaria dovrà trasmettere «alla propria scala gerarchica» comunicazioni relative all'attività d'indagine espletata per conto e su delega dell'autorità giudiziaria, ossia in buona sostanza del pubblico ministero.
Il comma in esame, invero, esordisce conferendo un'apposita delega amministrativa alle Forze di polizia e al ministro dell'Interno imponendo - sempre entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto e con applicazione dal 1° gennaio 2017 - di adottare gli atti amministrativi (provvedimenti e protocolli) previsti da precise disposizioni contenute in alcuni articoli precedenti del medesimo decreto.
Lo scrutinio di queste norme consente di cogliere in quale scenario l'obbligo di comunicazione delle informative di reato si collochi nelle intenzioni del legislatore. Esordisce l'articolo 18, comma 5, di cui si discute: «In prima applicazione, i provvedimenti e i protocolli di cui agli articoli 2, comma 1, 3, comma 2, 4, commi 2 e 3, e 5, commi 2 e 3, sono adottati entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e trovano applicazione dal 1° gennaio 2017».
Orbene l'articolo 2 titolato ai «Comparti di specialità delle Forze di polizia» al comma 1 prescrive che «La Polizia di Stato, l'Arma dei carabinieri e il Corpo della guardia di finanza esercitano, in via preminente o esclusiva, secondo le modalità stabilite con decreto del Ministro dell'interno ai sensi dell'articolo 1 della legge 1° aprile 1981, n. 121, compiti nei seguenti rispettivi comparti di specialità, ferme restando le funzioni rispettivamente attribuite dalla normativa vigente a ciascuna Forza di polizia, nonché le disposizioni di cui alla medesima legge:
a) Polizia di Stato:
1) sicurezza stradale;
2) sicurezza ferroviaria;
3) sicurezza delle frontiere;
4) sicurezza postale e delle comunicazioni;
b) Arma dei carabinieri:
1) sicurezza in materia di sanità, igiene e sofisticazioni alimentari;
2) sicurezza in materia forestale, ambientale e agroalimentare;
3) sicurezza in materia di lavoro e legislazione sociale;
4) sicurezza del patrimonio archeologico, storico, artistico e culturale nazionale;
c) Corpo della Guardia di finanza:
1) sicurezza del mare, in relazione ai compiti di polizia, attribuiti dal presente decreto, e alle altre funzioni già svolte, ai sensi della legislazione vigente e fatte salve le attribuzioni assegnate dalla legislazione vigente al Corpo delle Capitanerie di porto ‐e alla Guardia costiera;
2) sicurezza in materia di circolazione dell'euro e degli altri mezzi di pagamento».
Una ripartizione, come detto, elastica e che, a ben guardare, presenta scarsi profili di novità, essendo noto il consolidarsi nei decenni della competenza privilegiata dei vari Corpi di polizia sulle materie sopra cennate e non essendo la disposizione comunque capace di tracciare precise linee di demarcazione ed evitare contaminazioni operative («in via preminente o esclusiva»).
L'articolo 3, comma 2, a sua volta stabilisce che «con proprie determinazioni, il Comandante generale della guardia di finanza ridefinisce la dislocazione territoriale dei comandi e reparti del Corpo della guardia di finanza … tenendo conto delle esigenze connesse all'esercizio delle relative finalità istituzionali di polizia economico-finanziaria a competenza generale, nonché … in relazione al concorso al mantenimento dell'ordine e della sicurezza pubblica. Al fine di assicurare maggiore economicità, speditezza e semplificazione dell'azione amministrativa, la linea gerarchica territoriale, speciale e addestrativa del Corpo della guardia di finanza, nonché le denominazioni dei comandi e reparti del medesimo Corpo, sono ridefinite, in deroga agli articoli 2, comma 3, 6 e 7 del citato decreto del Presidente della Repubblica 29 gennaio 1999, n. 34, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, adottato su proposta del Comandante generale della guardia di finanza».
Anche questa volta l'autorità politica riveste un ruolo secondario e passivo nell'organizzazione territoriale dei servizi di polizia. Si è in presenza, come par chiaro, di una deroga importante ai canoni che disciplinano il funzionamento degli apparati amministrativi pubblici e che rimette all'autonomia delle singole forze di polizia il compito di calibrare la collocazione delle strutture operative nel paese. Par chiaro che una così delicata funzione pretenderebbe che i vertici delle agenzie siano in grado di attingere a indicatori obiettivi e verificabili del fabbisogno di sicurezza collettiva e delle esigenze investigative dell'autorità giudiziaria. La soppressione, il mancato potenziamento o il depotenziamento di un ufficio di polizia giudiziaria può avere ricadute significative sull'azione degli uffici del pubblico ministero e sul principio di obbligatorietà dell'azione penale, per cui dovrebbe seriamente discutersi della mancata interlocuzione da parte del ministero della Giustizia su questi provvedimenti o dell'assenza di motivare le scelte organizzative anche alla luce dei parametri elaborati nel settore penale dal medesimo ministero o dal Consiglio superiore della magistratura.
In teoria non potrebbe neanche escludersi un conflitto di attribuzioni innanzi alla Corte costituzionale da parte di un ufficio di procura o di una procura generale che reputi lesivi del principio di obbligatorietà o della riserva di cui all'articolo 109 della Costituzione interventi organizzativi particolarmente incisivi o omissioni gravi nella distribuzione delle risorse di polizia giudiziaria (cfr. articoli 12 e seguenti delle disposizioni di attuazione del Cpp).
L'articolo 4, commi 2 e 3, riguarda la distribuzione dei mezzi derivanti dall'annosa soppressione dei servizi navali delle forze di polizia diverse dalla Guardia di finanza, mentre l'articolo 5, commi 2 e 3, prevede che «Le Forze di polizia, ferma restando la normativa vigente in materia di acquisizione di beni e servizi, in particolare tramite Consip S.p.a., adottano, nell'ambito dell'ufficio per il coordinamento e la pianificazione … specifici protocolli nei seguenti settori tecnico-logistici: a) strutture per l'addestramento al tiro; b) mense di servizio; c) pulizie e manutenzione; d) procedure per l'acquisizione e l'addestramento di animali per reparti ippomontati e cinofili e acquisto dei relativi generi alimentari; e) approvvigionamento di materiali, servizi e dotazioni per uso aereo; f) programmi di formazione specialistica del personale; g) adozione di programmi congiunti di razionalizzazione degli immobili, ai fini della riduzione dei fitti passivi sostenuti per la locazione di immobili privati da adibire a caserme; h) approvvigionamento congiunto o condiviso dei servizi di erogazione di energia elettrica e di riscaldamento, con la prospettiva di unificazione dei programmi di risparmio energetico rispettivamente già avviati; i) approvvigionamento di equipaggiamenti speciali; l) approvvigionamento di veicoli» (comma 2). Inoltre, «con appositi protocolli d'intesa tra i Ministeri interessati sono previsti programmi di centralizzazione di acquisti e gestione associata di beni e servizi tra le Forze di polizia e le Forze armate nei settori di cui al comma 2» (comma 3).
E si è, quindi, giunti ai «protocolli» e ai «provvedimenti» presi in esame dall'articolo 18, comma 5, del decreto e per i quali si è fissato un termine per la loro adozione.
Il coordinamento investigativo - Pare evidente che, in questo ambito, non poteva avere alcun senso occuparsi delle indagini penali e delle investigazioni di polizia giudiziaria. L'articolo 3, come abbiamo visto, ridetermina le competenze dei diversi corpi di polizia esistenti nel Paese, e ciò in perfetta aderenza al titolo del decreto volto alla razionalizzazione delle funzioni di polizia, in cui si inquadra il riassorbimento del Corpo Forestale dello Stato nell'Arma dei Carabinieri.
Il ruolo centrale del ministro dell'Interno è espressamente ricordato dalle disposizioni ora in commento che rimandano, a vario titolo, all'articolo 1 della legge 1° aprile 1981 n. 121, ovverosia la legge sul «Nuovo ordinamento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza» che, nella parte di interesse, prevede che «il Ministro dell'interno è responsabile della tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica ed è autorità nazionale di pubblica sicurezza. Ha l'alta direzione dei servizi di ordine e sicurezza pubblica e coordina in materia i compiti e le attività delle forze di polizia». Una «alta direzione» che, comunque, poco incide sulle fondamentali scelte organizzative e sugli assetti operative delle strutture di polizia, essendo competente all'adozione di decreti spesso meramente recettizi delle proposte dei vertici delle amministrazioni sottoposte o vedendo atti di rilievo assegnati ad altri dicasteri (Difesa ed Economia).
In ogni caso le competenze del ministero dell'Interno sono espressamente circoscritte alla sola “sicurezza”, senza che venga in alcun modo in rilievo la funzione di polizia giudiziaria che competete alle medesime forze di polizia. Eppure l'articolo 18 prevede che la «razionalizzazione» delle risorse possa essere conseguita «anche mediante un efficace e omogeneo coordinamento informativo». È davvero singolare che il legislatore, in un ambito squisitamente amministrativo e finanziario in cui si tratta di ripartizione delle competenze tra le forze di polizia ai fini del mantenimento della sicurezza pubblica, di gestione di mense di servizio, di addestramento del personale, di acquisti e addestramento di cavalli e cani o di carburante abbia inserito - avvalendosi almeno in teoria della medesima logica - una disposizione in tema di segreto investigativo, immaginando di risparmiare fondi «anche mediante un efficace e omogeneo coordinamento informativo».
Lo scopo della norma, più «finale» che «transitoria» invero, è così enunciato: «al fine di rafforzare gli interventi di razionalizzazione volti ad evitare duplicazioni e sovrapposizioni». Si tratta, quindi, di razionalizzare l'attività investigativa di polizia giudiziaria al fine di evitare duplicità di interventi e sovrapposizioni. Il tema è decisivo e, come ciascuno intende, attinge alle prerogative dell'ufficio del pubblico ministero in tutte le sue articolazioni investigative (presso i tribunali) e di coordinamento (procura generale e procura nazionale). Un nugolo di disposizioni primarie e secondarie regola, per l'appunto, le attività degli uffici del pubblico ministero con il medesimo intento: ossia quello di razionalizzare l'attività d'indagine e di evitare «duplicazioni e sovrapposizioni».
Ad esempio l'articolo 4 del Dlgs 106/2006, titolato «Impiego della polizia giudiziaria, delle risorse finanziarie e tecnologiche», prescrive che «per assicurare l'efficienza dell'attività dell'ufficio, il procuratore della Repubblica può determinare i criteri generali ai quali i magistrati addetti all'ufficio devono attenersi nell'impiego della polizia giudiziaria» e la medesima finalità perseguono gli articoli 371 («Rapporti tra diversi uffici del pubblico ministero»), 371-bis («Attività di coordinamento del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo») del Cpp e 118-bis («Coordinamento delle indagini») delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale.
Ciò, naturalmente, non vale a escludere che, in concreto, l'attività di coordinamento non sia efficace e che si debbano prevedere strumenti e soluzioni aggiornate per consentire agli organi titolari della potestà di coordinamento infra ed extra moenia di svolgere le proprie attribuzioni (cfr. da ultimo l'articolo 117, comma 2-bis, del Cpp in materia di accesso ai registri telematici). Ma rispetto a questa problematica la soluzione prospettata dall'articolo 18, comma 5, del Dlgs 177/2016 appare totalmente eccentrica.
In ambito circondariale ben può la polizia giudiziaria segnalare direttamente al procuratore della Repubblica eventuali «duplicazioni» o «sovrapposizioni» sfuggite al controllo del pubblico ministero. Parimenti, nel caso delle indagini più delicate di competenza dei servizi interprovinciali e centrali (Ros, Scico, Sco), esistono da un paio di decenni strutture di raccordo che possono immediatamente comunicare al procuratore nazionale e/o ai procuratori distrettuali il verificarsi di distonie. A ben guardare resterebbero fuori dal range del coordinamento spontaneo e/o già regolato dalla legge i casi in cui le indagini si sovrappongano o si duplichino perché riguardanti uffici di procura collocati in distretti diversi e per reati non rientranti nelle attribuzioni antimafia e antiterrorismo del procuratore nazionale. Una rarità invero.
Ma anche a voler fare i conti con questa eventualità occorre verificare se, in effetti, l'articolo 18 in commento regoli un vacuum normativo non altrimenti colmabile.
Il caso della «duplicazione» naturalmente deve fare i conti con le regole del codice di rito sulla competenza territoriale. Se due uffici di procura si occupano del medesimo reato (la «duplicazione» appunto) è ovvi che uno dei due non ha competenza a procedere e, in questo caso, la disciplina codicistica è particolarmente minuziosa (gli articoli da 54 a 54-quater del Cpp). Se, invece, si realizza una «sovrapposizione» la stessa dovrebbe rendersi evidente in ragione del convergere di diverse forze di polizia su semplici segmenti di indagini di competenza di diversi pubblici ministeri. Può succedere. Se questa convergenza realizzi, poi, uno spreco di risorse tale da esigere la sistematica, permanente e indiscriminata violazione del segreto investigativo, questa è un'altra questione. Perché l'articolo 18, comma 5, proprio questo prevede laddove consente al capo della polizia-direttore generale della pubblica sicurezza e ai vertici delle altre Forze di polizia di adottare «apposite istruzioni attraverso cui i responsabili di ciascun presidio di polizia interessato, trasmettono alla propria scala gerarchica le notizie relative all'inoltro delle informative di reato all'autorità giudiziaria, indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale».
La nozione di «scala gerarchica» è, come detto, equivoca, imprecisa e avulsa dal minimo coefficiente di precisione che sarebbe lecito pretendere quando si tratta di questioni processuali. Le «istruzioni», a loro volta, per realizzare il pur minimo scopo di economie sopra precisato, devono necessariamente riguardare tutte le informative di reato, rimettendo alla «scala gerarchica» il compito del coordinamento.
Non è chiaro quali iniziative, poi, i superiori gerarchici debbano o passano adottare per porre rimedio al dannoso deficit di «razionalizzazione» che abbiano riscontrato. Né il capo della polizia, né il comandante generale dei carabinieri, né il comandante generale della guardia di finanza, ma nemmeno i questori o i dirigenti generali rivestono la qualifica di ufficiali di polizia giudiziaria ai sensi dell'articolo 57 del Cpp, per cui non possono in alcun modo rapportarsi formalmente con il pubblico ministero. Posto che ogni struttura di polizia (leggasi servizi di polizia giudiziaria, atteso il successivo riferimento alle “informative di reato”) è tenuta a trasmettere alla sovraordinata scala gerarchica i dati relativi alle informative di reato inoltrate alla autorità giudiziaria, c'è da chiedersi quale sia il soggetto tenuto al coordinamento informativo, ovverosia chi debba assicurare la circolazione di notizie tra gli organi di polizia giudiziaria interessati alle informative di reato di cui si tratta.
La deroga che l'articolo 18 prevede ha, infatti, non solo natura «ascendente» ossia verso la «scala gerarchica», ma anche «discendente», visto che ciascun ufficio di polizia interessato (in ipotesi prima ignaro della duplicazione e sovrapposizione) deve essere portato a conoscenza dalla collaterale attività investigativa.
Esemplificativamente: se i Carabinieri di Monza sovrappongono le proprie indagini a quelle della Guardia di finanza di Agrigento la procedura prefigurata prevede che i due uffici territoriali informino i propri comandi (direttamente o per via telematica si vedrà) e che questi immediatamente confrontino le proprie «notizie» con quelle a disposizione delle altre forze di polizia sino alla scoperta della subdola «duplicazione» o della silente «sovrapposizione» che genera intollerabili sperperi. Quindi dovrebbe dall'altro partire la comunicazione a ritroso verso i presidi territoriali del dato così acquisito, affinchè si coordino o chiedano di essere coordinati. Sia consentito rilevare icasticamente: una favola.
Nessuno può ragionevolmente, e in buona fede, prefigurare che le forze di polizia possano, senza l'assenso del pubblico ministero titolare dell'indagine, porre in essere una così farraginosa quanto pericolosa linea di comunicazione a doppio binario, ascendente e discendente.
La norma rischia di risolversi, quindi, nella mera ingerenza della «scala gerarchica» nelle notizie portate dalle informative di reato destinate all'autorità giudiziaria ed è facile immaginare verso quali categorie di reati possa, volontariamente o meno, concentrarsi l'attenzione degli anelli superiore della catena.
I dubbi di costituzionalità - L'incongruenza del meccanismo prefigurato, la manifesta sperequazione dei mezzi (la deroga sistematica del segreto investigativo) rispetto al fine perseguito (la «razionalizzazione»), la dispersione delle notizie in una sequela organizzativa incerta quanto a modalità, destinatari e responsabili, la mancanza di ricadute sul processo penale, l'esternalizzazione rispetto all'autorità giudiziaria del «coordinamento informativo» sono tutti elementi sintomatici dell'irragionevolezza costituzionale della norma. Se a questo si aggiunge la lesione delle prerogative dell'autorità giudiziaria la cornice assiologica appare del tutto evidente.
Questo profilo, invero, meriterebbe ben altra riflessione. Tuttavia, sinteticamente, giovi considerare:
1) che gli articoli 118 («Richiesta di copie di atti e di informazioni da parte del ministro dell'interno») e 118-bis («Richiesta di copie di atti e di informazioni da parte del Presidente del Consiglio dei ministri») del Cpp già regolano minutamente la richiesta e la trasmissione di atti segreti verso le autorità preposte alla sicurezza pubblica e all'intelligence nell'assoluta salvaguardia del segreto investigativo;
2) che secondo l'articolo 56 del Cpp «le funzioni di polizia giudiziaria sono svolte alla dipendenza e sotto la direzione dell'autorità giudiziaria: a) dai servizi di polizia giudiziaria previsti dalla legge; b) dalle sezioni di polizia giudiziaria istituite presso ogni procura della Repubblica e composte con personale dei servizi di polizia giudiziaria; c) dagli ufficiali e dagli agenti di polizia giudiziaria appartenenti agli altri organi cui la legge fa obbligo di compiere indagini a seguito di una notizia di reato» e tra le funzioni di polizia rientrano per certo anche quelle volte al coordinamento informativo per evitare «duplicazioni e sovrapposizioni» nella misura in cui costituiscono parte integrante dell'attività d'indagine.
È vero che il segreto investigativo ex articolo 329 del Cpp, troppe volte e troppe volte impunemente, viene inteso da qualche pubblico ministero infedele come l'oggetto di un proprio diritto dispositivo e come tale passibile di mercimonio e scambio ora verso la stampa ora verso qualche potentato economico o politico. Tuttavia è evidente che la tutela di quel segreto rappresenta la linea più avanzata per la tutela dell'autonomia e dell'indipendenza del pubblico ministero, il quale intanto può assolvere al dovere dell'esercizio imparziale dell'azione penale in quanto i destinatari delle indagini, e tutti i soggetti estranei al processo, ignorino l'attività investigativa. È da dubitare, ancora, che il Garante per la privacy possa acconsentire a una così massiccia concentrazione e dispersione di informazioni in presenza di finalità talmente evanescenti ed eccentriche (la «razionalizzazione»), tenuto conto della lesione che esse recano al diritto alla riservatezza dei cittadini. Ed è da attendersi, infine, che le articolazioni del pubblico ministero reagiscano a fronte di una soluzione che manifesta così evidenti criticità sia sul versante processuale che ordinamentale (cfr. per tutti Corte costituzionale, sentenza 8 settembre 1995, n. 420).
Decreto legislativo 19 agosto 2016 n. 177