Civile

Ricorso con tempi stretti di decadenza solo per la nullità

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di Pasquale Dui

Nel licenziamento di un dirigente del quale sia richiesto di accertare l’ingiustificatezza, non si applica il termine di decadenza per l’impugnazione, come ha confermato recentemente la sentenza 148/2020 della Cassazione. Anche per il rapporto dirigenziale, infatti, l’ambito di applicabilità oggettiva dell’articolo 32, secondo comma della legge 183/2010, che prevede il termine di decadenza di 60 giorni per l’impugnazione del licenziamento e l’ulteriore termine di 180 giorni per l’attivazione della controversia giudiziale, non può che riferirsi alle ipotesi di stretta invalidità (nullità) menzionate dall’articolo 18, comma 1 dello Statuto dei lavoratori.

Il concetto di invalidità
È quindi da escludere l’estensione del regime decadenziale, che dipende dal significato che si attribuisce al termine «invalidità», a casi che rientrano nel più ampio concetto di illegittimità, ciò che condurrebbe a ritenere la nuova disciplina applicabile all’impugnazione di qualsiasi licenziamento. Al termine invalidità va attribuito dunque il suo significato proprio. A questo consegue che la norma sull’impugnazione opera solo quando il vizio del recesso sia suscettibile di determinare la demolizione del negozio e dei suoi effetti solutori. In questi termini, secondo la Cassazione, l’espressione «invalidità» deve essere intesa in senso restrittivo.

La nozione di «ingiustificatezza», peraltro, come elaborata dalla giurisprudenza, è rimasta a tutt’oggi invariata. Trattandosi di una nozione contrattuale, il suo contenuto deve essere enucleato con l’accertamento, tramite interpretazione della clausola collettiva, dei motivi che possono dare luogo alla giustificatezza del licenziamento del dirigente (da ultimo, si veda la sentenza 5372 del 22 febbraio 2019).

La giurisprudenza
Per rafforzare l’interpretazione qui accolta, bisogna considerare la giurisprudenza che afferma l’autonomia delle due azioni: l’una che ha per oggetto la reintegrazione nel posto di lavoro ex articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, in caso di nullità e l’altra diretta a ottenere l’indennità supplementare, occorrendo, caso per caso, valutare la prospettazione della domanda giudiziale.

La Cassazione ha stabilito che, sul rapporto di lavoro del dirigente, «poiché ai fini della giustificatezza del licenziamento rileva qualsiasi motivo che escluda l’arbitrarietà del licenziamento, la domanda avente a oggetto l’accertamento della illegittimità del recesso per non giustificatezza del licenziamento con condanna del datore di lavoro alla corresponsione dell’indennità supplementare è diversa da quella avente ad oggetto l’accertamento della illegittimità del licenziamento comminato in tronco per giusta causa e la condanna al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso; pertanto, accolta quest’ultima per insussistenza della giusta causa, il relativo giudicato non preclude la proposizione della prima» (si veda la sentenza della Cassazione 14974 del 20 novembre 2000). Il vincolo di pregiudizialità logica tra le due domande proposte separatamente è stato ritenuto non idoneo ad annullare le intrinseche differenze delle stesse nei profili della causa petendi e del petitum.
I possibili vizi del licenziamento del dirigente

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