Ricusazione e libertà d'opinione del magistrato amministrativo tra Twitter e uso del grassetto in sentenza
Non può costituire causa di astensione l'avere il magistrato "ritwittato" alcuni post pubblicati nel profilo di un'associazione animalista
Come è noto al giudice amministrativo si applicano le cause e le modalità di astensione previste dal codice di procedura civile il quale stabilisce espressamente che il magistrato ha l'obbligo di astenersi se ha interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto. Il magistrato amministrativo ha inoltre l'obbligo di astenersi se egli stesso o il coniuge o stretto parente è "commensale abituale" ovvero si trova in una condizione di "grave inimicizia" con una delle parti. In ogni caso se il magistrato ritiene "conveniente" astenersi dalla specifica causa ne fa opportuna richiesta al capo dell'ufficio. Ebbene con lo sviluppo delle nuove tecnologie di comunicazione attraverso i social media network, l'antico problema dell'astensione e legata ricusazione del magistrato si è arricchito di ulteriori, più moderni, nodi interpretativi e di bilanciamento tra il pur legittimo diritto della parte di "sospettare" la parzialità del giudice di causa, e il diritto costituzionalmente garantito al magistrato stesso, come a qualsivoglia altro cittadino, di manifestare la propria libera e personale opinione su temi generali e significativi quali la tutela degli animali, o la preservazione dell'ambiente. Per questa via, con la recente ordinanza n.7508/2020, il Consiglio di Stato stimolato da una istanza di ricusazione mossa verso un magistrato amministrativo, ha sciolto alcuni dei dubbi esegetici cruciali sul legittimo (o meno) utilizzo da parte del magistrato della nota piattaforma Twitter; e in particolare su quale sia la più razionale interpretazione, nel campo della libertà di opinione, da darsi al semplice re-tweet da parte del magistrato, di un post di altro utente. Particolarmente significativa è poi la trama ricostruttiva del tessuto giuridico riguardante il lessico utilizzato dal magistrato in sentenza attraverso l'utilizzo di alcuni termini piuttosto che altri, di alcuni aggettivi rafforzativi in certi passaggi, ovvero dell'uso del grassetto in alcune delle sue argomentazioni motivazionali, come a voler aumentare le luci tonali su alcune speciali porzioni dei suoi quadri ricostruttivi di fatto e di diritto. Tonalità semantiche e colori lessicali (ma anche di effettivo testo) su cui è ragionevole indagare il dubbio del mero stile personale o persino di plesso giurisdizionale, ovvero dell'indicatore, l'ALERT, di speciali sensibilità o persino parzialità personali ancorché, forse, inconsapevoli.
Il giudice naturale e sua libertà d'opinione
La grave inimicizia prevista quale causa di astensione obbligatoria del magistrato va desunta da fatti oggettivi. E tali fatti oggettivi non possono essere identificati nell'avere il magistrato espresso opinioni su temi ambientali, anche quando riferiti a specifici argomenti quali la tutela di una specie animale ritenuta meritevole di protezione, né tanto meno nell'avere il medesimo espresso giudizi critici su fatti che per le loro caratteristiche strutturali possono facilmente stridere con la comune coscienza sociale. In questo quadro, le eventuali dichiarazioni del giudice non sono sintomatiche dell'esistenza di rapporti di inimicizia con una parte del processo né possono essere considerate manifestazioni di "simpatia" nei confronti di un'altra. Esse sono piuttosto espressioni di libertà di opinione, costituzionalmente tutelata, riportabili a valori ambientalisti che trovano fondamento giuridico nell'ordinamento comunitario e protezione anche in quello costituzionale. In altre parole negare a un magistrato di esprimere opinioni, peraltro in adesione a valori riconosciuti espressamente dall'ordinamento giuridico e radicati nella coscienza sociale, o pretendere che si astenga dal decidere questioni che attengono a fatti potenzialmente lesivi di quei valori, comporterebbe l'ingiustificato sacrificio di principi costituzionali fondanti il sistema costituzionale, quali la libertà di opinione e la garanzia del giudice naturale.
Il re-tweet di un post altrui
Su quest'onda non può costituire causa di astensione l'avere il magistrato "ritwittato" alcuni post pubblicati nel profilo di un'associazione animalista nell'ipotesi in cui questa assuma veste di parte del processo in cui il magistrato è chiamato a decidere. Va evidenziato che l'atto del "retweet", cioè il pubblicare il post pubblicato da un altro soggetto nel proprio profilo, non necessariamente implica adesione potendo ben avere il diverso obiettivo di far conoscere detto post ai propri followers. E ciò, a ben vedere, anche allo scopo di criticarlo o magari di stigmatizzarlo.
Grassetto, avverbi e aggettivi in sentenza: stile o parzialità?
Nell'istanza di ricusazione la parte richiamava l'attenzione del Consiglio di palazzo Spada su alcune frasi presenti in un provvedimento monocratico del magistrato: "meritevole richiesta" (meritevole in grassetto); "lodevolmente acquisite" (lodevolmente in grassetto); "rende merito" (entrambe le parole in grassetto); "in dichiarata attuazione" (dichiarata in grassetto); "superficiali richiami". Invero tali espressioni, che nella elaborazione dell'istante sarebbero sintomatiche di parzialità e di avversione del magistrato sono in realtà frequenti nel linguaggio delle sentenze andando a sottolineare la rispondenza o meno del provvedimento impugnato o del comportamento delle parti alle norme di legge che costituiscono il parametro di validità al vaglio giudiziario. E, concretamente, conforta tale assunto il dato riscontrabile con una semplice ricerca sul sito web della Giustizia amministrativa in cui il termine "meritevole" ad esempio, è stato utilizzato in sentenze almeno 55.317 volte, il termine "superficiale" 5.305 volte al singolare e 2.277 volte al plurale, il termine "lodevole" 1.248 al singolare e 248 volte al plurale.