Casi pratici

Riflessioni sulle ceneri del DDL Zan

Il quadro normativo

di Serena Gentile

la QUESTIONE
Qual è la risposta punitiva dell'ordinamento italiano in materia di discriminazione? Le manifestazioni di disprezzo motivate da ragioni di razza, religione ed etnia quando integrano la circostanza aggravante introdotta dalla c.d. legge Mancino? Cosa avrebbe previsto il DDL Zan in caso di vaglio positivo da parte del Senato? Quali sono le prospettive adesso?

La legge 25 giugno 1993, n. 205, c.d. "Legge Mancino", è lo strumento legislativo italiano che sanziona e condanna frasi, gesti, azioni e slogan aventi per scopo l'incitamento all'odio, l'incitamento alla violenza, la discriminazione e la violenza per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali.
La "legge Mancino" deriva da un complessivo quadro di norme e principi dettate per la lotta al fascismo e al razzismo come reazione alla tragedia post bellica della seconda guerra mondiale. Più segnatamente, le principali disposizioni normative sono le seguenti:
la XII Disposizione transitoria e finale della Costituzione della Repubblica Italiana, la quale, al primo comma, stabilisce che "È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista";
in attuazione della predetta Disposizione, la Legge 20 giugno 1952, n. 645, in materia di "Norme di attuazione della XII disposizione transitoria e finale (comma primo) della Costituzione", all'art. 1, precisa che si ha riorganizzazione del disciolto partito fascista quando una associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista:
esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica,
o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione;
o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza o svolgendo propaganda razzista;
ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito;
o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista;
la Convenzione internazionale sulla eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, aperta alla firma a New York il 7 marzo 1966, è stata recepita dall'ordinamento italiano con legge 13 ottobre 1975, n. 654. Si tenga conto che ai sensi dell'art.117 Cost. le fonti internazionali divengono parametro di legittimità costituzionale delle disposizioni normative italiane.
La Convenzione di New York costituisce il primo passo fondamentale nella lotta ad ogni forma di discriminazione: la sua finalità, infatti, era quella di imporre ai legislatori nazionali aderenti il vincolo all'armonizzazione del proprio ordinamento al rispetto delle diversità razziale e al perseguimento di ogni condotta discriminatoria. L'art. 4 della Convenzione, infatti, stabilisce che "gli Stati contraenti condannano ogni propaganda ed ogni organizzazione che s'ispiri a concetti ed a teorie basate sulla superiorità di una razza o di un gruppo di individui di un certo colore o di una certa origine etnica, o che pretendano di giustificare o di incoraggiare ogni forma di odio e di discriminazione razziale"…."si impegnano ad adottare immediatamente misure efficaci per eliminare ogni incitamento ad una tale discriminazione od ogni atto discriminatorio, tenendo conto, a tale scopo, dei principi formulati nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo [...] ed in particolare: a dichiarare crimini punibili dalla legge, ogni diffusione di idee basate sulla superiorità o sull'odio razziale, ogni incitamento alla discriminazione razziale, nonché ogni atto di violenza, od incitamento a tali atti diretti contro ogni razza o gruppo di individui di colore diverso o di diversa origine etnica, come ogni aiuto apportato ad attività razzistiche, compreso il loro finanziamento; a dichiarare illegali ed a vietare le organizzazioni e le attività di propaganda organizzate ed ogni altro tipo di attività di propaganda che incitino alla discriminazione razziale e che l'incoraggino, nonché a dichiarare reato punibile dalla legge la partecipazione a tali organizzazioni od a tali attività; a non permettere né alle pubbliche autorità, né alle pubbliche istituzioni, nazionali o locali, l'incitamento o l'incoraggiamento alla discriminazione razziale."
Sulla base di tali premesse normative internazionali e costituzionali nasceva la legge Mancino, rispetto alla quale sono stati sollevati sin da subito sospetti di dubbia costituzionalità con riguardo alla presunta violazione della libertà di espressione tutelata dall'art.21 della Costituzione. Di recente, è stata proposta perfino l'abrogazione di tale disciplina normativa, sulla scorta della ritenuta indeterminatezza e genericità dei precetti, integranti il rischio di ammettere l'incriminazione di libere opinioni.
Senonchè, nonostante i vari tentativi di eliminazione, la legge 205/1993 è ancora oggi vigente. Medesime critiche sono state opposte al DDL Zan, con il quale si era proposto di ampliare l'area di punibilità dei reati contro l'eguaglianza anche per la discriminazione verso omosessuali, transessuali, donne e disabili. Come è noto, siffatto disegno di legge è stato bloccato in Senato con la cosiddetta procedura "tagliola" lo scorso 27 ottobre. Secondo le critiche, il DDL Zan costituirebbe un'ulteriore lesione della libertà di espressione garantita dall'art. 21 Cost., perché non definito, in termini di  determinatezza propria della legge penale, sulla specifica configurazione degli atti discriminatori e, di conseguenza, sulle opinioni integranti reato perché idonee a determinare il concreto pericolo di loro realizzazione.

La fattispecie
Come già accennato, l'art. 2 del D. Lgs. 01/03/2018, n. 21 concernente "Disposizioni di attuazione del principio di delega della riserva di codice nella materia penale a norma dell'articolo 1, comma 85, lettera q), della legge 23 giugno 2017, n. 103", con decorrenza dal 06/04/2018, ha introdotto la Sezione I bis dedicata ai delitti contro l'eguaglianza nel Libro II, Titolo XII, Capo III del Codice Penale. Quindi, all'interno dell'area dedicata ai reati contro la libertà individuale il Legislatore, in attuazione del principio di riserva di codice ormai contemplato nell'art.3 bis c.p., ha trasfuso il contenuto dell'art.1 e dell'art.3 della Legge Mancino rispettivamente negli art.604 bis e 604 ter c.p.
La fattispecie incriminatrice contemplata dall'art.604 bis c.p. è rubricata "Propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa". La disposizione normativa recita "Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito:
a) con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi;
b) con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
È vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Chi partecipa a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi, o presta assistenza alla loro attività, è punito, per il solo fatto della partecipazione o dell'assistenza, con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Coloro che promuovono o dirigono tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da uno a sei anni.
Si applica la pena della reclusione da due a sei anni se la propaganda ovvero l'istigazione e l'incitamento, commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione, si fondano in tutto o in parte sulla negazione, sulla minimizzazione in modo grave o sull'apologia della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale."
Appare evidente dalle lettura dell'art.604 bis c.p. che la ratio sottesa alla figura criminosa in disamina sia la tutela del rispetto della dignità umana e del principio di uguaglianza etnica, nazionale, razziale e religiosa. Il fine, infatti, è quello di perseguire qualsiasi condotta di propaganda sulla superiorità o sull'odio razziale, nonché l'istigazione e la propaganda di fatti o attività atte a provocare atti di odio e violenza per motivi etnici, razziali o religiosi. L'ultimo comma dell'art.604 bis c.p. contempla la più grave ed autonoma figura di reato, che punisce la propaganda e l'istigazione di pensieri che possano concretamente creare il pericolo che derivi la diffusione di idee volte alla minimizzazione dei fatti storici elencati e notoriamente stigmatizzati come crimini contro l'umanità. Trattasi di reato di pericolo concreto, in cui il giudice deve valutare l'effettiva portata diffusiva delle condotte poste in essere dal soggetto attivo.
L'art.604 ter c.p., invece, prevede la seguente circostanza aggravante: "Per i reati punibili con pena diversa da quella dell'ergastolo commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, ovvero al fine di agevolare l'attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità la pena è aumentata fino alla metà.
Le circostanze attenuanti, diverse da quella prevista dall'articolo 98, concorrenti con l'aggravante di cui al primo comma, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a questa e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall'aumento conseguente alla predetta aggravante."
Si tratta, nella specie, di una circostanza aggravante di natura teleologica applicabile a tutti i reati, eccetto quelli punibili con l'ergastolo, commessi per finalità discriminatorie di tipo etnico, razziale o religioso o comunque per coadiuvare l'attività di gruppi organizzati operanti in questo senso illecito. L'aspetto peculiare risiede nella sottrazione di siffatta circostanza aggravante al sistema di bilanciamento di circostanze di cui all'art.69 c.p., eccetto che nel caso di attenuante per la minore età di cui all'art.98 c.p. Questa impostazione è eloquente del notevole disvalore che connota tali condotte, tanto da imporre un trattamento punitivo differenziato e meno favorevole per il reo.
In tale contesto normativo, come si vedrà, si sono sviluppati gli ampi dibattiti politici sulla necessità di estendere la tutela antidiscriminatoria anche verso le diversita' sessuali e di genere.

Configurabilità dell'aggravante della finalità di discriminazione o di odio
L'applicazione pratica più diffusa, in concreto, risulta quella della specifica aggravante della finalità di discriminazione o di odio, di cui all'art. 604 ter c.p., prima contemplata dall'art.3, comma 1, legge n. 205/1993, che comporta un aumento di pena fino alla metà. Trattasi di un'aggravante oggettiva ai sensi dell'art. 70, comma 1, lett. a), c.p.
L'accertamento di detta aggravante e la sua configurabilità non hanno trovato soluzione pacifica in giurisprudenza. Secondo una prima impostazione, espressa dalla Suprema Corte nel 2005, ai fini dell'integrazione della circostanza de qua non è sufficiente una mera indagine sulla motivazione interiore dell'azione, ma occorre che questa, per le sue intrinseche caratteristiche e il contesto in cui si colloca, si presenti intenzionalmente diretta, o almeno potenzialmente idonea, a rendere percepibile all'esterno e a suscitare in altri il riprovevole sentimento discriminatorio, o comunque a dar luogo al concreto pericolo di comportamenti illeciti per ragioni di razza, nazionalità, etnia o religione. Pertanto, non rientrano nell'alveo dell'art.604 ter c.p. né la manifestazione di generica antipatia, né una qualsiasi condotta che sia, o possa apparire, contrastante con un ideale di assoluta e perfetta integrazione, non solo nei diritti, ma anche nella pratica dei rapporti quotidiani tra soggetti di diversa razza, etnia o religione.
Con la sentenza n. 9381 del 2006, invece, movendo dal richiamo ai principi di eguaglianza affermati dalla Costituzione, riaffermati dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, la Corte di Cassazione ha escluso qualsiasi possibilità di graduazione nella ricostruzione delle nozioni integranti la circostanza aggravante.
Il nuovo concetto di discriminazione, offerta da quest'ultima pronunzia, consiste nel «semplice disconoscimento di uguaglianza, ovvero nell'affermazione di inferiorità sociale o giuridica altrui vieppiù se a mezzo di condotta costitutiva di reato», mentre la nozione di odio, «intesa senza alcuna accentuazione, rispetto a sentimenti di minore intensità, viene ancorata all'identità nazionale, etnica, religiosa e razziale quale ragione di conflitto tra le persone».
Ancora, nei casi di offese razziste – afferma la Corte di legittimità con sentenza 12 giugno 2013, n. 25870 – non è necessario che altri siano presenti o abbiano ascoltato, con il conseguente pericolo di comportamenti discriminatori o di atti emulatori, anche perché ciò comporterebbe l'irragionevole conseguenza di escludere l'aggravante in tutti i casi in cui l'azione lesiva si svolgesse in assenza di terze persone.

Profili processuali

Sotto il profilo più strettamente operativo, va rimarcato che in materia di reati di matrice razziale, il legislatore ha reso più incisivo l'intervento della polizia giudiziaria e del pubblico ministero. E' consentito, infatti, di procedere a perquisizioni e sequestri anche quando non vi sia motivo di ritenere che nel luogo possano rinvenirsi cose utili all'accertamento del fatto, purché comunque sussistano concreti elementi che consentano di temere che l'autore si sia avvalso dell'immobile come luogo di riunione, deposito o rifugio o per altre attività connesse al reato. In casi di particolare urgenza, gli ufficiali di p.g. procedono anche d'iniziativa, con obbligo di tempestiva notizia e convalida non oltre le successive 48 più 48 ore.
Se tale previsione si armonizza con la norma costituzionale di cui all'art. 13, altre disposizioni si evidenziano per il loro carattere eccezionale: è prevista un'ipotesi ad hoc di confisca obbligatoria dell'immobile, misura di sicurezza patrimoniale imposta anche in caso di patteggiamento; la perseguibilità d'ufficio - ove in linea astratta è necessaria la querela - avanti al Tribunale in composizione collegiale - anche per reati di competenza del monocratico o del giudice di pace - nonché mediante rito direttissimo, salvo il caso della diffusione, oggi propaganda, di idee. Precipua anche la materia dell'arresto in flagranza, stabilito come obbligatorio, per promotori, dirigenti e anche solo partecipanti a organizzazioni, associazioni o movimenti con finalità di incitamento alla discriminazione o alla violenza, e altresì per chi sia sorpreso, fuori dall'abitazione, in possesso di strumenti da punta o da taglio.
A tali precetti si affiancano le norme introdotte dalla normativa di contrasto dei fenomeni di violenza in occasione di manifestazioni sportive (legge 13 dicembre 1989, n. 401).

Il Disegno di Legge Zan

La disciplina sin qui esaminata appresta la tutela contro le forme di discriminazione attuate per motivi di discriminazione etnica, nazionale, religiosa o razziale. Tuttavia, nel quadro della società odierna, in cui il pluralismo delle idee e la gemmazione dei diritti di libertà trovano ancoraggio costituzionale e sovranazionale, nell'impianto penalistico italiano manca una tutela precipua avverso gli atti di odio e violenza commessi per motivi attinenti alla diversità di genere o di orientamento sessuale e anche di disabilità. Un vulnus normativo assordante che richiede un intervento urgente da parte del legislatore, anche al fine di armonizzare la propria disciplina a quella di altri Stati europei che già da tempo hanno predisposte adeguate garanzie in tal senso.
In quest'ottica riparativa si innesta il grande dibattito mediatico e politico sul noto Disegno di Legge Zan, approvato dalla Camera dei Deputati IL 4 novembre 2020, mirante a modificare gli articoli 604 bis e 604 ter c.p. per aggiungere alle discriminazioni per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi gli atti discriminatori fondati "sul sesso, sul genere, sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere". Tuttavia, il 27 ottobre 2021, dopo accese lotte parlamentari e innumerevoli querelle mediatiche, il Senato, per mezzo della procedura con voto segreto (denominata "tagliola" o "ghigliottina" proprio per gli effetti demolitori provvedimentali di solito conseguenti), ha cancellato il disegno di legge recante la firma del deputato Alessandro Zan.
Dal punto di vista strettamente giuridico, ciò rappresenta un punto di arresto nella lotta alla discriminazione. Difatti, il DDL Zan, in caso di vaglio positivo da parte di entrambe le Camere, avrebbe consentito di perseguire le condotte omofobe con lo stesso mezzo incisivo apprestato per le discriminazioni razziali, etniche o religiose. Più segnatamente, l'estensione della circostanza aggravante di cui all'art. 604 ter c.p. anche ai reati commessi per finalità di odio contro omosessuali, transessuali e disabili. In assenza di questa copertura normativa, l'Autorità Giudiziaria, in caso di delitto commesso per motivo di odio o discriminazione di tipo sessuale, al momento non resta che contestare la fattispecie incriminatrice aggravata per motivi abietti ai sensi dell'art.61, comma 1, c.p. che, però, consente un aumento di pena di solo un terzo ed è soggetta ai criteri di bilanciamento di cui all'art. 69 c.p.
Il fallimento del DDL Zan risiede nella presunta violazione del principio di libertà di manifestazione del pensiero, libertà sancita, garantita e tutelata dall'art. 21 Costituzione che, integrerebbe, l'esercizio del diritto di critica.
Eppure, proprio a tal fine, nel Disegno di Legge in disamina era stato inserito a tal proposito l'art. 4, rubricato "Pluralismo delle idee e libertà delle scelte", a tenore del quale "Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti".
Tuttavia, la precipua previsione del rispetto del pluralismo delle idee non è bastato a frenare il timore della compressione della libertà di pensiero sulle questioni di genere e di orientamento sessuale che, nel nostro Paese, nonostante l'ampliamento di tutele dal punto di vista civilistico e amministrativo, non trovano ancora unanimità di pensiero.

Considerazioni conclusive
Alla luce delle considerazioni sin qui esposte, può concludersi che, allo stato, la normativa penale italiana offre un'adeguata tutela penale avverso i crimini commessi per motivi di odio e di discriminazione per finalità etniche, religiose o razziali. Al contrario, nelle ipotesi di crimini e atti illeciti posti in essere per motivi di diversità di genere e di orientamento sessuale l'ordito normativo non appresta adeguata risposta punitiva.
Il discorso non è politico, né etico. E' una questione strettamente giuridica che richiede un intervento urgente del legislatore, onde garantire parità di trattamento a tutti i cittadini anche di fronte alle discriminazioni e ai motivi sottesi alle medesime. Gli atti di odio e violenza commessi in contesti omofobi non sono men gravi di azioni illecite realizzate per finalità di discriminazione razziale. Anzi, l'evoluzione della società e l'accettazione di nuovi modelli familiari consentiti dall'art. 2 della Costituzione impongono l'attuazione di misure volte a proteggere scelte ritenute diverse rispetto ai canoni tradizionali.
Il pluralismo delle idee e della libertà di pensiero, infatti, richiedono garanzia tanto con riguardo alla libertà di manifestazione del pensiero, quanto e soprattutto in relazione al rispetto della propria vita privata e nell'autodeterminazione delle scelte identitarie. Dunque, si può affermare che il legislatore, al momento, è in bilico dinanzi a un bilanciamento di interessi difficile, ma non impossibile. Ci si auspica, pertanto, un intervento normativo che offra adeguata tutela alle vittime di atti di odio e violenza per qualunque motivo di diversità.