Il CommentoAmministrativo

Riforma del Codice degli appalti: il mancato coordinamento con la nuova disciplina penale sugli effetti del patteggiamento

Con la riforma Cartabia si è deciso di non attribuire effetto a tutte le leggi extra penali che equiparano il patteggiamento alla condanna, tuttavia il testo del nuovo codice degli appalti al vaglio del legislatore "rimane" ancorato alla vecchia disciplina

di Ilaria Gobbato e Matteo Vizzardi*

Con la riforma Cartabia si è deciso di non attribuire effetto a tutte le leggi extra penali che equiparano il patteggiamento alla condanna, tuttavia il testo del nuovo codice degli appalti al vaglio del legislatore "rimane" ancorato alla vecchia disciplina, creando un cortocircuito che corre il rischio di "vanificare" lo spirito della riforma penale e di quella pubblicistica

La riforma Cartabia è stata certamente animata dalla finalità, quantomai urgente (e non solo per raggiungere gli obiettivi del PNRR), di ridurre i tempi medi di definizione dei procedimenti penali, da sempre afflitti, come noto, da una patologica lentezza. In questa prospettiva, il legislatore ha introdotto significative modifiche alla disciplina del "patteggiamento", al fine di renderlo più "attraente" e meno afflittivo per l'imputato e, di conseguenza, incentivare la definizione dei molti – troppi – procedimenti pendenti con questo rito alternativo.

Per quanto qui preme rilevare, il legislatore ha modificato l'art. 445 comma 1-bis del codice di procedura penale, prevedendo, fra l'altro, che "se non sono applicate pene accessorie, non producono effetti le disposizioni di leggi diverse da quelle penali che equiparano la sentenza prevista dall'art. 444 co. 2 c.p.p. alla sentenza di condanna".

Questa previsione è del tutto dirompente nei suoi possibili effetti pratici, perché - detto in altri termini - significa che salvo il caso in cui sia il giudice penale, con la sentenza di patteggiamento, a disporre una "pena accessoria" (ad es. l'interdizione dai pubblici uffici, da una professione o dagli uffici direttivi delle persone giuridiche o delle imprese), la sentenza di patteggiamento in sede extra-penale non può essere equiparata ad una sentenza di condanna. In questo senso, recita infatti l'art. 445 comma 1-bis c.p.p., le disposizioni extra-penali "non producono effetti".

A fronte di questa novità, dobbiamo ritenere che quanto previsto dalla nuova disciplina del patteggiamento debba oggi valere anche con riferimento al D.lgs. 50/2016 (c.d. Codice degli Appalti ), ed in particolare all' art. 80 , che indica fra i "motivi di esclusione" dalle gare pubbliche anche la pronuncia di mere sentenze di patteggiamento, equiparandole – appunto – alle sentenze di condanna pronunciate all'esito di un giudizio ordinario. Detto altrimenti, dobbiamo concludere che, pur a fronte della immutata equiparazione prevista dall'art. 80 Codice degli Appalti fra sentenze di condanna e sentenze di patteggiamento, questa equiparazione debba venire meno a fronte della nuova disciplina dell'art. 445 comma 1-bis c.p.p., in forza del quale previsioni quali quelle del Codice degli Appalti non producono più effetti. Con il risultato, per semplificare, che oggi una stazione appaltante non potrebbe più escludere un'impresa da una gara ad evidenza pubblica sulla base della sentenza di patteggiamento pronunciata nei confronti dei legali rappresentanti dell'impresa stessa, con la sola eccezione dei casi in cui il giudice penale abbia espressamente applicato anche una pena accessoria.

Questa interpretazione risulta del resto essere l'unica coerente con la lettera e con la ratio della nuova disciplina del patteggiamento, che il legislatore voleva esattamente non pregiudicasse di per sé le prospettive di lavoro e di carriera dell'imputato che sceglie di rinunciare a difendersi in dibattimento.

E questa conclusione riteniamo che debba valere anche per gli enti che patteggiano una sanzione ai sensi dell' art. 63 D.lgs. 231/2001 , in ragione del rinvio effettuato da quest'ultima norma alla disciplina del codice di procedura penale.

Sennonché, a complicare il quadro, o per meglio dire a testimoniare una stupefacente incoerenza o comunque una pacifica mancanza di coordinamento, entra in gioco lo schema definitivo del cd. Nuovo Codice Appalti, il cui iter parlamentare è ad oggi in corso a fronte dell'intervenuta approvazione in via preliminare da parte del Governo lo scorso 16 dicembre.

Ebbene, l'art. 94 dello schema definitivo , nel declinare le cause di esclusione, ripropone pedissequamente (e per l'appunto senza considerare la cd. Riforma Cartabia) il testo dell'art. 80 del d.lgs. n. 50/2016 (i.e. il Codice Appalti attualmente in vigore), stabilendo che "è causa di esclusione di un operatore economico dalla partecipazione a una procedura d'appalto la condanna con sentenza definitiva o decreto penale di condanna divenuto irrevocabile o sentenza di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'art. 444 del codice di procedure penale per uno dei seguenti reati …".

In altri termini, lo schema definitivo al vaglio delle Camere continua ad equiparare la sentenza di patteggiamento a quella di condanna con ciò – ove si ritenesse applicabile la previsione oggetto di quello che sarà il nuovo testo normativo applicabile alla materia – vanificando la portata dell'art. 445 comma 1-bis del codice di procedura penale, che – come evidenziato – ha come precipuo scopo quello di incentivare il ricorso all'istituto del patteggiamento in una logica deflattiva della giustizia penale.

È evidente, infatti, che ove la previsione del Codice degli Appalti non dovesse ritenersi priva di effetto in applicazione dell'art. 445 comma 1 bis più volte menzionato, l'operatore interessato da una sentenza di applicazione della pena su richiesta si troverebbe a correre un rischio di esclusione dalle procedure di gara, con evidente impatto in termini di operatività aziendale.

Il fatto che il cd. Nuovo Codice Appalti sia in corso di approvazione rappresenta l'occasione giusta per coordinare le previsioni così da evitare incertezze per gli operatori economici che partecipano alle procedure di gara e per le Stazioni Appaltanti chiamate poi a valutare la sussistenza delle cause di esclusione e la bontà delle dichiarazioni rese dagli operatori.

Sotto questo profilo, non può non evidenziarsi peraltro che illogico sarebbe adeguare in parte qua la portata del cd. Nuovo Codice Appalti (e dunque espungere il patteggiamento dalle cause di esclusione automatica) e consentire poi alle Stazioni Appaltanti di valutare l'eventuale esistenza di una sentenza di patteggiamento nell'ambito dell'"illecito professionale grave" di cui all'art. 98 dello Schema del Nuovo Codice Appalti.

Per quanto, infatti, la portata di tale previsione sia quella di consentire alle Stazioni Appaltanti di escludere l'operatore economico la cui affidabilità è messa in discussione, pur in essenza degli automatici motivi di esclusione, è evidente che se il patteggiamento potesse essere ritenuto un "indice" di inaffidabilità – ancora una volta – si realizzerebbe in concreto una violazione dello spirito della norma come modificata dalla cd. Riforma Cartabia: anche sotto questo profilo, dunque, è del tutto opportuno che il tema venga affrontato in sede di iter parlamentare così da chiarire il punto e – proprio in quella logica di chiarezza, rapidità e semplificazione che animano la riforma delle regole in tema di contrattualistica pubblica – evitare contestazioni in fase applicativa.

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*A cura di Ilaria Gobbato e Matteo Vizzardi, partner di Dentons