Rigetto del controllo giudiziario ex art. 34 bis in assenza di esauriente argomentazione
Nota a Corte di Cassazione - Sezione VI Penale - Sentenza 9 settembre 2021, n. 33578
Con sentenza n. 33578/21 pubblicata il 09/09/2021 la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha rinviato gli atti ad altro Collegio della Corte d'Appello di Napoli al fine di rinnovare il giudizio per colmare le lacune argomentative del decreto di secondo grado.
La Corte d'Appello di Napoli difatti aveva accolto l'appello del Pubblico Ministero annullando il decreto n. 15/20 emesso il 13 novembre 2019 dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in accoglimento dell'istanza di applicazione della misura del controllo giudiziario prevista dall'art. 34 -bis del D. Lgs. n. 159/2011 avanzata dal legale rappresentante di una ditta individuale.
Sebbene il ricorrente non sia stato mai indagato per associazione mafiosa riconducibile ad un noto clan camorristico, lo stesso è stato ritenuto dalla Corte di merito soggetto legato al citato sodalizio criminale in quanto indicato da collabori di giustizia di primario rilievo.
Nonostante il ricorrente si sia costituito parte civile per aver subito estorsione, e nonostante il recesso dal capitale di una società detenuta al 50% con il figlio di un soggetto condannato per il suo legame con il suddetto clan; e sebbene le intercettazioni telefoniche non fossero attuali, la Corte di merito ha ritenuto di non poter escludere il pericolo di ingerenze o agevolazioni di stampo camorristico.
Le motivazioni addotte nel ricorso dal ricorrente attengono non soltanto alla violazione di legge e di motivazione riferita proprio all'applicazione dell'istituto previsto dall'art. 34-bis del D. Lgs. n. 159/11 ritenendo quindi l'appello del Pubblico Ministero inammissibile per genericità, ma anche alla mancanza di rilievo attribuito alle relazioni dello stesso amministratore di controllo proprio in merito alla occasionalità del pericolo di infiltrazione mafiosa. La motivazione del decreto impugnato appare priva di argomentazioni con specifico riferimento alla rappresentazione di circostanze generiche legate al nesso agevolativo tra queste e l'organizzazione criminale di riferimento. Il ricorrente lamentava l'attualizzazione degli elementi conoscitivi volti a determinare l'eventuale grado di agevolazione, con carenza di opportuni accertamenti diretti a valutare altresì l'incidenza delle misure di vigilanza proprie del controllo giudiziario previsto dalla citata normativa.
La Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso sulla base dei seguenti rilievi.
Precisa in primo luogo che nel decreto, il Tribunale di S.M. Capua Vetere aveva svolto un'ampia disamina delle occasioni di contatto tra il ricorrente ed i soggetti affiliati ad un importante clan della camorra. Difatti il più importante collaboratore di giustizia legato alla realtà criminale in esame, aveva affermato proprio che lo stesso ricorrente – insieme al fratello – era molto vicino ad una famiglia i cui membri appartenevano appunto al famoso clan suindicato, e che nonostante tutto fu richiesta alla società il versamento di una tangente del 5% relativa ad un appalto che la stessa si era aggiudicata nella provincia di Caserta.
Precisa ancora il Tribunale che lo stesso ricorrente era entrato in società con il figlio di un soggetto affiliato al clan, pur riuscendo a dimostrare che trattavasi di una società di scopo per la realizzazione di un intervento edilizio-urbanistico. Evidenzia ancora la Suprema Core che il ricorrente fu assolto dal delitto di turbativa d'asta dall'agevolazione mafiosa per fatti del 2006, ed inoltre non fu mai condannato per reati di mafia o aggravati. La Corte d'Appello era giunta dunque ad una valutazione diversa degli elementi riportati nel decreto emesso dal Tribunale di S.M. Capua Vetere concludendo con una tesi totalmente differente, ritenendo quindi il legame del ricorrente con clan mafioso non occasionale, ma stabile e duraturo nel tempo.
La valutazione della Cassazione si fonda sul riconoscimento degli elementi sopra illustrati quali indicatori di una contiguità del ricorrente con ambienti camorristici, ma non idonei a dimostrare con la necessaria evidenza la collusione della società sottoposta al controllo giudiziario citato o assoggettata al controllo mafioso ovvero sia stata – essa stessa- lo strumento impiegato per perseguire le finalità del gruppo criminale.
Il ricorso è stato dunque accolto dalla Suprema Corte atteso che il carattere meramente occasionale della contaminazione o agevolazione mafiosa costituisce il presupposto necessario per disporre la misura del controllo giudiziario - d'ufficio o su richiesta dello stesso privato come avvenuto nel caso in esame – per quei soggetti che possono anche aver deviato dalle regole comuni e lecite di condotta economica, ma che possono essere ancora tempestivamente recuperate al circuito della legalità proprio per mezzo dell'applicazione della normativa oggi in esame.
Quando il privato impugna in sede giurisdizionale amministrativa l'interdittiva antimafia, ha la possibilità di anticipare la richiesta di amministrazione giudiziaria promossa dalla parte pubblica. Nel caso in esame però, il Tribunale di S.M. Capua Vetere ha ritenuto di applicare la misura sebbene il Consiglio di Stato avesse definitivamente rigettato una precedente interdittiva prefettizia, in seguito alla richiesta di riesame del ricorrente seguita dal diniego tempestivamente impugnato dinnanzi al TAR. Ne caso oggi in esame tale circostanza però non costituisce oggetto di impugnazione da parte del Pubblico Ministero.
Con riferimento alla genericità dell'appello del PM e la totale assenza di motivazione, la Suprema Corte ha ritenuto fondate le doglianze del ricorrente, proprio in virtù dell'obbligo di specificità in caso di impugnazione del Pubblico Ministero nel procedimento di prevenzione ( Sez. 6, n. 28825 del 21/07/2019, dep. 2018, Scuto, Rv. 273664 ). Difatti il PM non ha effettuato alcuna comparazione valutativa tra gli elementi indicati dallo stesso appellante e quelli cronologicamente più attuali emersi dalle relazioni redatte dall'amministratore di controllo nominato dal Tribunale.
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*A cura di Cristiana Rossi, Commercialista giudiziario - Amministratore giudiziario Antimafia, Membro del Comitato Scientifico della Fondazione School University