Casi pratici

Risarcimento in forma specifica nel sinistro stradale

Risarcimento in forma specifica come eccezione alla regola

di Tiziana Cantarella

la QUESTIONE
Qual è l'ambito di operatività del risarcimento in forma specifica? Quali sono i limiti imposti dall'art. 2058 c.c.? Quando è antieconomico riparare un veicolo coinvolto in un sinistro stradale? Qual è il momento della stima del danno?

Come noto, il legislatore del 1942 ha disciplinato il risarcimento in forma specifica all'art. 2058 c.c. ponendolo in una posizione sussidiaria rispetto a quello c.d. "per equivalente", dal momento che quest'ultimo, vista la fungibilità del denaro, è sempre possibile e idoneo a riparare in surroga (monetaria) il torto subito nella sua integralità (artt. 2043-2054 c.c.). Momento d'elezione del risarcimento in forma specifica sembrerebbe invece quello inibitorio che si concreterebbe, non tanto nella reazione compensativa dell'illecito, quanto nella cessazione dell'effetto lesivo incidente su un diritto reale (o di matrice dominicale).
Per questi motivi, il risarcimento in forma specifica rientra nel genus dei rimedi satisfattori, perché rappresenta, secondo la prevalente dottrina ( Scognamiglio, Libertini ), l'attuazione alternativa della posizione soggettiva di cui è portatore il soggetto leso.
La difficoltà interpretativa sorge però dalla stessa nomenclatura lessicale dell'art. 2058, comma 1, c.c. che nel suo testo utilizza l'espressione terminologica, solo apparentemente sinonimica, di «reintegrazione in forma specifica» e non già, come nella rubrica «Risarcimento in forma specifica».
V'è da chiedersi, pertanto, e in limine rispetto al suo precipuo meccanismo, se sussista o meno una interferenza ratione materiae tra il risarcimento in forma specifica e gli altri schemi normativi che comunque facultano aliunde la reintegrazione del diritto violato.
Tutela risarcitoria in forma specifica e tutela ripristinatoria dei diritti reali
E' indubbio che il risarcimento in forma specifica nulla ha a che vedere con i rimedi ripristinatori conseguenti alla violazione di una situazione a contenuto reale ( Bellelli ). La criptica affermazione trova significativa chiarificazione, ad esempio, nell'art. 948 c.c., che prevede per il proprietario in rivindica di domandare che il convenuto soccombente recuperi la res a proprie spese, ovvero, in mancanza, a corrisponderne il valore, oltre al risarcimento del danno. Del pari l'art. 949, comma 2, c.c., dispone che il proprietario che abbia esperito l'azione negatoria possa chiedere che cessino le molestie e le turbative, nonché la condanna risarcitoria; i riferimenti normativi potrebbero proseguire ancora con l'indicazione dell'art. 872, comma 2, c.c. sul ripristino delle distanze legali, così come dell'art. 1079 c.c. in tema di servitù contestata ( cfr. Cass. civ., Sez. VI - 2, ordinanza, 22 gennaio 2014, n. 1332), o, infine, dell'art. 1015 c.c. che rafforza la tutela del nudo proprietario dinanzi all'abuso dell'usufruttuario.
Per il legislatore, dunque, azione di danni e azione ripristinatoria hanno differenti funzioni (e un dissimile onus probandi ) giacché con il ripristino o con l'ordine di inibizione si ristabilisce il diritto violato, mentre il risarcimento in natura tende, quale effetto ulteriore, alla riparazione di un danno ingiusto (cfr. Cass. civ., Sez. II, 18 luglio 2013, n. 17635).
Quanto detto è facilmente intuibile: quando sono a essere violate le distanze tra costruzioni, al proprietario confinante compete sia la tutela in forma specifica (per il ripristino della situazione quo ante ), che quella risarcitoria (per la riparazione del torto, ad esempio, di una servitù abusiva sul proprio fondo). La limitazione del relativo godimento dovrà essere economicamente parametrata alla diminuzione temporanea del valore della proprietà, mentre la cessazione delle turbative e delle molestie discenderà solo dall'ordine inibitorio.
Da ciò consegue che alle azioni dirette alla tutela dei diritti reali non si applichino i limiti imposti dall'art. 2058, comma 2, c.c., atteso il carattere assoluto degli stessi (cfr. Cass. civ., Sez. II, 1 ° agosto 2003, n. 11744; Cass. civ., Sez. II, 17 febbraio 2012, n. 2359; Cass. civ., Sez. II, 29 gennaio 2009, n. 2398), salva diversa volontà del titolare (cfr. Corte d'AppelloRoma,Sez. 7,15 settembre 2021,n. 5983; Cass. civ., Sez. 2, 20 gennaio 2017, n. 1607; Cassazione civ., S.U., 20 maggio 2016, n. 10499; T.A.R. Piemonte Torino, Sez. I, 10 maggio 2013, n. 607).
Tanto per intenderci, qualora, nell'esempio poc'anzi prospettato, il proprietario di un fondo chieda la rimozione di una installazione abusiva, il convenuto non potrà eccepire l'eccessiva onerosità del risarcimento in forma specifica (cfr. T.A.R. Sardegna Cagliari, Sez. II, 11 gennaio 2014, n. 15). Potrà, tutt'al più, ricorrendone i presupposti, invocare ( recte : dedurre e dimostrare) che la distruzione della res sia di pregiudizio per l'economia nazionale (art. 2933 c.c.). Sul punto, la giurisprudenza della Suprema Corte ha, di recente, chiarito che, in una tale ipotesi, il giudice deve provvedere soltanto per equivalente ex art. 2933, comma 2, c.c. (Cass. civ., Sez. 2, 20 giugno 2019, n. 16611).

Rimedio ripristinatorio e tutela possessoria
D'altra parte, l'idea di una accessorietà dell'azione risarcitoria rispetto a quella di reintegrazione di situazioni fattuali già alberga da tempo nella giurisprudenza (cfr. Cass. civ., Sez. II, 16 marzo 1988, n. 2472) che non ha esitato a ritenere utilizzabile l'art. 2058 c.c. in ambito possessorio (o di detenzione qualificata), non occorrendo a tal fine la titolarità di un diritto reale e risultando sufficiente l'esistenza di un potere di fatto la cui lesione arrechi un pregiudizio al titolare che ha patito lo spoglio. Con un preciso limite, però: l'azione risarcitoria non può sopravvivere all'azione possessoria, con la conseguenza che, trascorso un anno dall'evento (art. 1168 c.c.), il rimedio ripristinatorio ex art. 2058 c.c. non potrà mai surrogare un'azione di spoglio divenuta ormai impraticabile per il nostro ordinamento (cfr. Cass. civ., Sez. II, 14 gennaio 2013, n. 705). In quest'ambito, dunque, a nostro avviso l'art. 2058 c.c. non potrà essere utilizzato per distorcere i presupposti della tutela reale tipica.
Risarcimento in forma specifica e obbligazioni contrattuali
La giurisprudenza prevalente (cfr. ex multis : cfr. Cass. civ., Sez. II, 21 febbraio 2001, n. 2569, da ultimo, Cass. civ. sez. II, 3 dicembre 2021, n. 38317) ammette da tempo il risarcimento in forma specifica anche in ipotesi di inadempimento contrattuale, atteso che la deminutio patrimonii è sistematicamente unitaria secondo il disposto dell'art. 1223 c.c. che individua il danno risarcibile.

Danni da omessa effettuazione di visure catastali
Merita attenzione, innanzitutto, il c.d. "danno da visure catastali" che ricorre quando il notaio incaricato negligentemente (art. 1176, comma 2, c.c.) non rilevi la presenza di pesi, vincoli o iscrizioni pregiudizievoli (es. ipotecarie) sul bene immobile oggetto di rogito (legge n. 122/2010), a nulla rilevando eventuali scompensi organizzativi della Conservatoria territoriale. Orbene la Suprema Corte, Sez. III, con la sentenza 13 giugno 2013, n. 14865, ha stabilito che il notaio non può invocare a sua discolpa l'applicabilità dell'art. 2236 c.c., non trattandosi di una prestazione che comporta la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, giacché rientrante nel fascio di attività preparatorie routinarie.
In tale ambito è ammissibile la condanna del notaio alla cancellazione dei pregiudizi a condizione, tuttavia, che vi sia la possibilità di ottenere, a tal fine, il consenso del creditore procedente e che il relativo incombente non sia eccessivamente gravoso, sia per la natura dell'attività occorrente, che per la congruità, rispetto al danno, della somma da pagare.
Tanto che la Corte di Cassazione, Sez. III, con la sentenza del 26 agosto 2014, n. 18244, ha confermato che «il danno risarcibile derivante da tale condotta non si identifica necessariamente col prezzo pagato dall'acquirente ma con la situazione economica nella quale il medesimo si sarebbe trovato qualora il notaio avesse diligentemente adempiuto la propria prestazione».
Qualche dubbio, però, sorge sull'effettivo inquadramento della fattispecie nell'alveo dell'art. 2058 c.c.: a ben vedere, l'esistenza del pregiudizio non è conseguenza dell'inadempimento del professionista ed è estranea alla sua prestazione: se mai la sua negligenza ha condotto al perfezionamento di un contratto che l'acquirente non avrebbe avuto interesse a concludere visto il concreto rischio di espropriazione. Da qui una sicura responsabilità solidale per titoli diversi del notaio e del dante causa a fronte delle carenti o inesatte informazioni fornite (art. 1175 c.c.).
Infine, la giurisprudenza della Corte di Cassazione, di recente, ha altresì precisato che, ove l'obbligo di cancellare l'ipoteca sull'immobile fosse a carico del venditore, è quest'ultimo, in caso di inadempimento, ad essere tenuto al risarcimento del danno, che può consistere, oltre che nella somma necessaria a cancellare i vincoli ed al compimento delle relative formalità, anche nella perdita definitiva del guadagno che una vendita tempestiva avrebbe consentito (Cass. civ., Sez. 2, 3 dicembre 2021, n. 38317).

Danni da costruzioni di opere abusive da parte del conduttore
A proposito di danni da opere abusive, a fronte dell'obbligo gravante sul conduttore, ai sensi dell'art. 1590 c.c., di restituire la cosa al locatore nello stesso stato in cui è stata consegnata, salva la normale usura, la Corte di Cassazione, Sez. III, già con la risalente sentenza 18 aprile 1969, n. 1253, aveva stabilito il diritto per quest'ultimo di ottenere un "congruo ripristino", con la «sostituzione delle mattonelle rotte o mancanti con altre di uguale colore e qualità».
Per poi successivamente precisare, con la sentenza del 7 maggio 1988, n. 3386, che, ove il locatore decida di ritenere le opere abusive, non può chiederne la messa in pristino in perfetto stato a carico del conduttore, bensì nella situazione fattuale in cui le stesse si trovano, giacché, diversamente, si determinerebbe un ingiustificato arricchimento in proprio favore.
Così che, qualora invece il conduttore abbia provveduto a rifondere al proprietario le spese necessarie per il restauro, questi non potrà anche richiedere il risarcimento del danno da deprezzamento dell'immobile, salvo che dimostri che la res , nonostante l'intervento di rifacimento, abbia comunque perduto parte del suo valore venale.

Danni da vendita
Importante è anche considerare i margini di rilevanza del risarcimento in forma specifica nel caso di responsabilità del venditore. Appare determinante la configurazione della garanzia edilizia (art. 1492 c.c.) come rimedio alla violazione dell'impegno traslativo, non limitato alla produzione di una conseguenza reale, bensì al risultato qualitativo dedotto nel programma negoziale.
Risulta così giustificabile l'azione di eliminazione dei difetti mediante riparazione, per sottrarla però ai limiti della eccessiva onerosità ex art. 2058 c.c.
D'altra parte il facere venditoris diretto all'eliminazione dei vizi, di matrice comunitaria, rientra a pieno titolo nell'area della tutela satisfattiva giacché preordinata a far entrare nel patrimonio dell'acquirente l'utilità finale intrinsecamente connaturata alla conformità del bene (art. 130, Cod. Cons.). Mentre in tema di appalto, l'art. 1669 c.c. prevede espressamente a favore del committente e del compratore la possibilità di chiedere l'eliminazione dei difetti costruttivi a cura e spese dell'appaltatore (cfr. Cass. civ., Sez. II, 15 marzo 1995, n. 3037 da ultimo, v. Cass. civ., Sez. I, ord. 6 settembre 2021, n. 24052).

Risarcimento in forma specifica e danno non patrimoniale
Danni alla personalità

Nell'alveo della tutela dei diritti della personalità i punti di riferimento sono gli artt. 7 e 10 c.c. Nella pratica pretoria il rimedio in parola è stato utilizzato in caso di danno non patrimoniale arrecato all'onore (cfr. Trib. Roma 16 febbraio 1990), alla reputazione (cfr. App. Napoli 12 giugno 1992), all'identità personale (cfr. Trib. Roma 28 gennaio 2001) e all'immagine (cfr. Trib. Milano 3 novembre 1997).
In queste ipotesi, la dottrina ( Ceccherini ) ritiene che la pubblicazione della sentenza di condanna a spese del responsabile e il diritto di rettifica (legge 8 febbraio 1948, n. 47) costituiscano una forma parziale di risarcimento in forma specifica, perché quando viene leso un diritto non patrimoniale è impossibile ripristinare la situazione quo ante , anche se lo strumento utilizzato è ad altissima efficacia riparatoria portando a conoscenza del pubblico il diritto leso.

Danni alla salute
Quanto ai danni arrecati alla salute, l'art. 2058 c.c. è stato utilizzato in cumulo con l'azione inibitoria ex art. 844 c.c. in materia di immissioni nocive intollerabili (cfr. Cass. civ., Sez. II, ordinanza 22 ottobre 2019, n. 26882; Cass. civ.,Sez. Unite, 6 settembre 2013, n. 20571, Cass. civ., Sez. III, 19 luglio 1985 n. 4263), giacché quest'ultima, avendo normalmente carattere reale, esula dalla tutela dei diritti personali. Non così però per una parte della giurisprudenza di merito (cfr. Trib. Verona 13 ottobre 1989) secondo cui la tutela dalle immissioni rientra direttamente nello schema dell'art. 2058 c.c., offrendo all'attore una tutela inibitoria di tipo positivo e personale, con la condanna a un facere definito.
Secondo chi scrive, quando a essere in gioco sono diritti della personalità e il diritto alla salute, il carattere assoluto degli stessi, forgiati secondo la configurazione del diritto dominicale ( Costantino ), la tutela non può che essere specifica, indipendentemente dall'onerosità, ma solo, con l'ovvio limite, della possibilità.
In sostanza, la lesione del diritto alla salute presuppone un'autonoma domanda ma con lo stesso atto possono proporsi anche distinti petita diretti a ottenere la tutela dei differenti diritti soggettivi (proprietà e salute) che si assumano lesi.

Risarcimento in forma specifica e danno ambientale
Un tipico risarcimento in natura è previsto in materia ambientale. La riparazione specifica è strumento privilegiato in ipotesi di lesione di un bene qualitativo (artt. 9, 32 Cost.) qual è l'ambiente ( Messinetti ) che, in ragione della sua morfologia, pretende un effettivo reintegro delle utilitas perdute.
Ad esempio, con riferimento al danno all'acqua o alle specie e agli habitat naturali, l'effettivo ripristino equivale all'adozione di misure di riparazione primaria, onde riportare le risorse naturali danneggiate alle o verso le condizioni originarie ( Libertini ).
L'iniziale opzione operativa del legislatore è stata quella di obliterare il limite della eccessiva onerosità di diritto comune per ottenere il ripristino, ove possibile, dello stato dei luoghi a spese dell'agente (art. 18, comma 8, legge n. 349/1986) (cfr. Trib. Milano 31 marzo 2008).
Tuttavia, a partire dal D.Lgs. n. 152/2006 (c.d. Codice dell'ambiente), che ha recepito la direttiva 2004/35/Ce, i criteri di determinazione del danno ambientale sono mutati e ancorati all' aliquid novi dei "costi ragionevoli" ( Franzoni ). Invero, l'art. 313 attualmente stabilisce che si dia luogo al risarcimento per equivalente pecuniario, qualora « il ripristino risulti in tutto o in parte impossibile, oppure eccessivamente oneroso ai sensi dell'art. 2058 c.c. » . I criteri di quantificazione del danno, anche in assenza del decreto attuativo del Ministero a cui ne è rimessa la determinazione, sono desumibili dal richiamo alla normativa comunitaria effettuato dal comma 3, del citato art. 311 (cfr. Cass. civ., Sez. III, 22 marzo 2011, n. 6551), ossia « al valore monetario stimato delle risorse naturali e dei servizi perduti e ai parametri utilizzati in casi simili o materie analoghe per la liquidazione del risarcimento per equivalente del danno ambientale in sentenze passate in giudicato pronunciate in ambito nazionale e comunitario » (punto 1.2.3 Allegato alla e).
L'autorità competente può dunque fare ricorso alla valutazione monetaria, per determinare la portata delle necessarie misure di riparazione complementare o compensativa (cfr. Cass. civ., Sez. III, 10 dicembre 2012, n. 22382) .
Essa dovrà calcolare il valore delle risorse compromesse, individuando quelle azioni che forniscano benefici dal valore equivalente, i cui costi di attuazione andranno posti a carico del responsabile. Quest'ultimo dovrà provvedervi direttamente, ovvero sostenere i costi del progetto di riparazione o sostituzione. La valutazione fornita dai prezzi di mercato rappresenta in questa materia solo una parte del valore d'uso del bene, dovendo tenere in debito conto anche le esternalità positive (valori c.d. "d'opzione" e valori c.d. "d'esistenza") che la risorsa è fisiologicamente destinata a generare per la collettività nel suo complesso ( Meli) .
La ragionevolezza risarcitoria imporrà così che, ad esempio, nel rapporto tra barrieramento fisico o barrieramento idraulico una valutazione di opportunità alla stregua del rapporto costi/benefici della soluzione prescelta: ove una prescrizione particolarmente onerosa come quella relativa all'imposizione di una "barriera fisica" in luogo di quella idraulica necessiterà di un'istruttoria amministrativa particolarmente adeguata e approfondita per superare il limite dell'eccessivamente oneroso.

Limiti alla reintegrazione in forma specifica
Impossibilità materiale o giuridica

L'art. 2058, comma 1, c.c., come anticipato, stabilisce che il danneggiato possa chiedere la reintegrazione in forma specifica, qualora sia in tutto o in parte possibile. Occorre distinguere tra impossibilità materiale e impossibilità giuridica. L'impossibilità materiale ricorre quando a essere andato distrutto è un bene infungibile. Qualora sia andato solo parzialmente distrutto e non abbia perso la sua destinazione economica funzionale, la restante parte non reintegrabile potrà essere risarcita per equivalente ( Scognamiglio ). La dottrina ( Monateri ) ha precisato come ricorra l'impossibilità giuridica tutte le volte in cui il divieto di reintegrazione sia imposto da una specifica norma (cfr. Cass. civ., Sez. I, 6 ottobre 1994, n. 8191). A parere di chi scrive, il comma in esame si pone in armonia con quanto previsto dall'art. 2932, comma 1, c.c. in tema di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto preliminare (ma cfr. anche art. 184, c.c.). A noi pare che il requisito della possibilità vada sempre inteso nel senso di "pratica attuabilità del comando giudiziale" che ricorrerà tutte le volte in cui la particolare situazione di fatto ovvero di diritto venutasi a creare impedirebbe alla sentenza di realizzare i suoi effetti tipici contenuti nel dispositivo.
Eccessiva onerosità
Più complicato è definire il sintagma contenuto nel comma 2 dell'art. 2058 c.c. sulla eccessiva onerosità che abilita il giudice a disporre d'ufficio che il risarcimento avvenga solo per equivalente.
Siffatto parametro risponde a esigenze di razionalità ( Franzoni ): imporre un risarcimento antieconomico al debitore violerebbe, evidentemente, i principi economici della funzione riparatoria.

Quali gli assi cartesiani su cui muovere l'indagine?
Secondo alcuni risalenti arresti giurisprudenziali (cfr. Cass. civ., Sez. II, 3 agosto 1960, n. 2269) l'eccessiva onerosità andrebbe valutata sia in rapporto al valore del bene che alle obiettive difficoltà che il debitore incontra nell'esecuzione della prestazione. Difficoltà che secondo alcuni ( Scognamiglio ) dovrebbero essere soggettive ed ancorate ai parametri della normale diligenza (art. 1176 c.c.); per altri ( Miccio ) oggettivamente proporzionate ai costi di ripristino, a nulla rilevando le condizioni economiche del debitore.
A nostro avviso, il limite in argomento va decodificato nel senso di massimizzare il risultato riparatorio del creditore danneggiato senza penalizzare irragionevolmente la posizione del debitore danneggiante.
La formula, in altri termini, dovrà tenere conto sia del danno, sia del costo che delle utilitas venute meno nel patrimonio del danneggiato.
Il comma 2 dell'art. 2058 c.c., impone, innanzitutto, in forza della sua letterale formulazione, che richiama simmetricamente quella contenuta nell'art. 1467, comma 1, c.c., sulla risoluzione del contratto a prestazioni corrispettive, l'applicazione di criteri eminentemente oggettivi, con esclusione di profili attinenti alla condizione soggettiva del debitore danneggiante. Questa impostazione conferisce la giusta rilevanza semantica al termine "onerosità", dove, invece, altrove, il legislatore ha utilizzato al suo posto, accanto all'avverbio "eccessivamente", la qualificazione di "gravosa" (cfr. art. 1108 c.c.), ovvero "difficile" (artt. 2965 e 2698 c.c.).
Un dato dunque è acquisito. Tutte le volte in cui nella differenza aritmetica tra danno e costo risulti un delta pari a zero di utilitas , il risarcimento in forma specifica sarà sicuramente ammissibile; quando invece questo delta sia positivo e vada a vantaggio del creditore danneggiato, sarà ammissibile solo il risarcimento per equivalente per evitare che si inneschi a suo favore una ingiustificata lucupletazione ( compensatio lucri cum damno) , ovvero una pretesa quantitativa del danno a cui andranno detratti i vantaggi che il fatto dannoso abbia procurato al danneggiato come conseguenza immediata e diretta. Viceversa, un delta negativo a carico del debitore, che non superi in quantità "eccessiva" ( recte : "notevole", cfr. Cass. civ., Sez. III, 26 maggio 2014, n. 11662) secondo il convincimento del giudice (fondato su valori di mercato e altri precedenti analoghi) consentirà che la produzione del danno venga riparata in forma specifica.

Danni da sinistro stradale e antieconomicità della riparazione
L'applicazione dell'art. 2058 c.c. costituisce un terreno discusso nella prassi forense quando a dover essere risarcito è un danno arrecato a un mezzo a seguito di sinistro stradale.
In casi del genere è più che naturale come il danneggiato miri a far riparare l'automobile, ovvero a riacquistare un bene analogo a quello andato irrimediabilmente distrutto.
È intuivo come i veicoli a motore appartengano a quella categoria di beni oggetto a una rapida svalutazione di mercato, cosicché ben può verificarsi statisticamente l'ipotesi di una riparazione antieconomica.
Le compagnie assicurative considerano "eccessivamente onerosa" un'eventuale riparazione ove i costi di ripristino risultino superiori al valore di mercato dello stesso prima del sinistro.
Versamento di una somma di denaro quale risarcimento in forma specifica
È opportuno premettere che, nelle ipotesi in cui la domanda del danneggiato abbia a oggetto la somma di denaro necessaria per effettuare la riparazione del danno riportato dal mezzo, la giurisprudenza consolidata ( ex multis : Cass. civ., Sez. 6 3, ordinanza 30 marzo 2022, n. 10196, Cass. civ., Sez. VI, 28 aprile 2014, n. 9367) qualifica la richiesta risarcitoria "in forma specifica".
Non si tratta di un errore logico-dogmatico, giacché di norma è il danneggiato e non il danneggiante che provvede alle riparazioni e sostituzioni. Dunque è lo stesso danneggiato che ha interesse al rimborso o alle anticipazioni delle spese sostenute o da sostenere per il ripristino del mezzo.

Eccessiva onerosità: i costi superiori al valore di mercato del veicolo
Detto ciò, sulla tematica in discorso si registrano due differenti indirizzi giurisprudenziali.
Il primo, minoritario, ritiene che il valore economico del mezzo prima dell'occorso non possa costituire l'unico elemento di riferimento a fini risarcitori. Questo in un'ottica di tutela del patrimonio soggettivo del creditore danneggiato, inteso come insieme di valori, beni e utilità tra loro funzionalmente collegati. Sicché ove il bene possa essere ripristinato, onde riacquisire la sua originaria destinazione d'uso, nulla osterebbe al risarcimento integrale della spesa occorrente, anche ove questa risulti eccessivamente onerosa (cfr. Trib. Cremona 21 maggio 2001, Trib. Forlì 24 maggio 1985). A tal riguardo, c'è stato chi come il Giudice di Pace di Siracusa, con sentenza 14 maggio 2004, n. 290, ha espressamente stabilito che «qualora il costo della riparazione sia superiore al valore del veicolo ante sinistro, la tesi dell'antieconomicità della riparazione va disattesa posto che il risarcimento in forma specifica ex art. 2058 c.c. trova l'unico limite nell'eccessiva onerosità per il debitore. Invero, l'immissione nel patrimonio del danneggiato di un valore economico maggiore alla differenza patrimoniale negativa cagionata dal fatto dannoso non può considerarsi di per sé inammissibile. Ciò discende dalla logica propria del risarcimento in forma specifica, che reintegra il valore d'uso e non quello di scambio» (cfr. anche Trib. Rovigo 18 novembre 2002). E ancora il Giudice di Pace di Davoli, con pronuncia del 12 maggio 2004, n. 596, ha specificato che, ai fini risarcitori, debba considerarsi oltre al valore di mercato del mezzo (stimato con l'ausilio di apposite tabelle standard ), l'eventuale valore aggiunto che lo stesso può assumere nel caso concreto; «ne consegue che, qualora il mezzo danneggiato per la sua particolare funzione ed il suo ottimo stato di manutenzione non possa essere facilmente sostituito con altro veicolo usato e reperibile sul mercato, il proprietario ha diritto al risarcimento del danno in forma specifica attraverso la completa riparazione del mezzo anche se questa risulti eccessivamente onerosa».
Il secondo indirizzo (cfr. ex multis: Cass. civ., Sez. III, 26 maggio 2014, n. 11662; Cass. civ., Sez. VI, 28 aprile 2014, n. 9367; Cass. civ., Sez. VI, 4 novembre 2013, n. 24718) oggi prevalente, ritiene che, nell'ipotesi in cui i costi di ripristino (delle singole riparazioni) siano "notevolmente" superiori al valore di mercato del bene, il risarcimento vada riconosciuto nei limiti di quello per equivalente, ossia alla corresponsione di una somma pari alla differenza tra il valore del bene prima e dopo la lesione.
Tale principio di diritto è stato, di recente, ribadito dalla giurisprudenza della Suprema Corte, a parer della quale il giudice può, per l'appunto, non accogliere la richiesta di risarcimento in forma specifica e decidere di condannare il danneggiante al risarcimento per equivalente allorquando il costo delle riparazioni superi notevolmente il valore di mercato del veicolo (Cass. civ., Sez. 6 3, ordinanza 30 marzo 2022, n. 10196).
Secondo una parte della dottrina (D'Adda), laddove i costi di reintegra doppino il valore del bene, sicuramente si potrà addivenire solo ad una riparazione per equivalente.
Ove invece, in altri ordinamenti, come ad esempio in quello tedesco, i confini della eccessiva onerosità restano più netti essendo ancorati al differenziale del 30% (c.d. "supplemento di integrità"/ Integritätszuschlag ).

Poste risarcibili
È noto che, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 1223 e 2056 c.c., il risarcimento del danno deve comprendere la perdita subita dal creditore, nei limiti in cui questa sia conseguenza immediata e diretta del fatto dannoso. In concreto, quindi, in armonia con l'impostazione poc'anzi citata, risarcibili saranno anche le spese documentate che il creditore danneggiato abbia affrontato per l'immatricolazione di un nuovo mezzo, per la demolizione del relitto, oltre a quelle per traino (cfr. Giudice di Pace di Torino 10 ottobre 1997). Risarcibile è anche il fermo tecnico, anche in assenza di prova specifica, giacché il veicolo, anche durante la sosta forzata, è comunque fonte si spesa (tassa di circolazione, premio di assicurazione), nonché soggetto a naturale deprezzamento di valore (cfr. Cass. civ., Sez. III, 6 novembre 2006, n. 23916).
Nell'ipotesi in cui poi si chieda un risarcimento maggiore di danni sostenendo le ottime condizioni dell'usato, sarà necessario darne concreta prova e a tal fine non sarà sufficiente produrre fotografie che attestino lo stato solo apparente della carrozzeria (cfr. Giudice di Pace di Casamassima 6 febbraio 1998, n. 7). Infine, parte integrante del risarcimento sarà anche l'IVA, anche sulla base dell'esibizione non di una fattura ma di un mero preventivo (cfr. Cass. civ., Sez. III, 10 giugno 2013, n. 14535).

Utilitas del danneggiato
Per scrupolo, poi, non bisogna dimenticare come la riparazione del veicolo possa produrre l'effetto di ingenerare nel patrimonio del danneggiato una utilitas economica eccentrica rispetto alla ricostituzione in integrum del suo patrimonio. In questo caso, la misura del risarcimento dovrà essere proporzionalmente ridotta, anche se la sostituzione di pezzi già usurati con dei nuovi se da una parte può probabilmente allungare la "vita" del bene leso, dall'altra non potrà mai cancellare l'avvenuto sinistro non rendendo equivalente sul piano commerciale un mezzo riparato, seppur a regola d'arte, con un altro mai danneggiato (cfr. Cass. civ., Sez. III, 5 maggio 1975, n. 1737).

Rifiuto di una riparazione non richiesta
Inoltre, nel corso della stesura del presente contributo ha destato il nostro interesse una pronuncia del giudice di legittimità (cfr. Cass. civ., Sez. III, 21 maggio 2004, n. 9709) che, intervenendo con riguardo ai rapporti tra reintegrazione in forma specifica e risarcimento per equivalente, ha sostenuto che il diritto di scelta tra le due forme risarcitorie compete esclusivamente al danneggiato. Quest'ultimo, dunque, sarebbe legittimato a rifiutare la spontanea esecuzione, da parte del danneggiante, di una riparazione non richiesta.

Regime operativo in sintesi
Allo stato, pertanto, il modo più sicuro per procedere alla quantificazione del danno e, conseguentemente alle sue modalità di riparazione, è quella di evitare apriorismi analizzando caso per caso la fattispecie concreta tenuto conto dello stato del veicolo ante (vetustà) e post sinistro (natura ed entità delle riparazioni effettuate, deprezzamento), chiedendo anche il ristoro di quegli ulteriori esborsi eziologicamente connessi, secondo criteri di prevedibilità, all'evento pregiudizievole (detratta l'eventuale maggiore funzionalità del mezzo, anche in via equitativa: cfr. Trib. Padova 15 febbraio 2010, n. 9727) .

Momento della stima del danno
Occorre ora chiedersi quale sia il momento esatto in cui il danno risarcibile vada stimato.
Quid iuris: il danno va valutato al tempo in cui l'evento dannoso si è prodotto, ovvero in quello in cui verrà emessa la sentenza di condanna?
La funzione compensativa della tutela risarcitoria impone che la stima del danno avvenga quando questo si sia prodotto, giacché esso consiste nella perdita (parziale o totale) di un bene e, dunque,in un danno emergente da valutarsi nel momento in cui l' aestimatio rei viene effettuata.
Diversamente ragionando, si correrebbe il rischio, soprattutto per i beni che subiscono forti svalutazioni di mercato, che il comando contenuto nel provvedimento giudiziale non riesca a porre il patrimonio del danneggiato nella condizione nella quale lo stesso di sarebbe trovato in mancanza dell'evento dannoso. Ecco spiegata la ragione per cui si deve far riferimento nella domanda al valore di mercato che il bene ha in quel dato momento storico in cui è avvenuta la lesione e, dunque, al costo che il soggetto danneggiato deve sopportare per riacquistarne un altro, ovvero al guadagno che avrebbe conseguito da una sua eventuale alienazione a terzi. Tale operazione aritmetica differenziale ha il pregio di generare un giudizio valutativo concreto e non astratto, giacché individua tutti i danni materiali conseguenza dell'effetto dannoso. Essa ben si attaglia al contenuto dell'ordine risarcitorio ex art. 2058 c.c. che, come ormai sappiamo, può consistere nella prestazione di un bene identico a quello distrutto, nella riparazione in natura di quello leso, ovvero nella dazione di una somma di danaro funzionale a consentirne al danneggiato la sostituzione o la riparazione.
L'oggetto della reintegrazione, della riparazione o della dazione compensativa, dunque, deve essere ancorato a una stima reale del danno che ne circoscriva l'entità su cui reagire per ricondurre il bene alla primigenia funzione compromessa. Operativamente si ritiene utile, nell'ipotesi di danno a un veicolo, richiedere la nomina di un c.t.u. che valuti la congruità del preventivo eventualmente depositato dall'attore e che provveda alla stima del valore del bene. È così che il nominato perito dovrà procedere con la valutazione dei costi di riparazione del mezzo, comparandone l'importo al valore del relitto, ai fini dell'applicazione da parte del giudice del citato comma 2, dell' art. 2058 c.c.

Considerazioni conclusive
L'atto illecito muta la realtà: salve le ipotesi di recupero materiale del bene, è ontologicamente impossibile ricostruire l'esatta situazione violata. Nondimeno il legislatore si preoccupa di riequilibrare in natura il patrimonio del danneggiato.
Se ci dovessimo arrestare al dato normativo del risarcimento in forma specifica al massimo ci troveremmo dinanzi al problema dell'esatta determinazione del suo modus operandi , ma non certo alla questione attinente alla sua collocazione sistematica.
Si è scorto così che il comma 1 e 2 dell'art. 2058 c.c. sono applicabili agli illeciti aquiliani; mentre il comma 1 è anche applicabile nell'ipotesi di inadempimento ex art. 1218 c.c., mentre comma 2 non opera affatto per la tutela dei diritti assoluti, dei diritti reali e del possesso (e della detenzione qualificata). Senza però farne un succedaneo rispetto alle azioni di rivindica, negatoria o confessoria, ovvero un'alternativa a una azione di spoglio divenuta ormai inesperibile.
Quanto ai vigenti criteri di determinazione del danno ambientale questi sono ormai attratti su parametri di ragionevolezza, essendo presente nel D.Lgs. n. 152/2006 il limite dell'eccessiva onerosità di matrice codicistica. Tenuto conto delle regole ricavabili dal combinato disposto di cui agli artt. 1223 e 2056 c.c. che non consentono in nessun caso un indebito arricchimento per il danneggiato; la misura del danno va provata in concreto e in modo oggettivo, e in armonia con la giurisprudenza maggioritaria essa andrà ancorata al valore di scambio del bene colpito e non già al suo valore d'uso, al fine di evitare relativismi e aporie di sistema atteso che il danno da eliminare, nella sua componente materiale, è pur sempre riconducibile a un'entità contabile.
In questo senso, la distinzione tra le due modalità risarcitorie per equivalente e in forma specifica si fonda sul diverso peso che la riparazione assume per il debitore danneggiante, in virtù dei diversi modi di quantificare il danno, consentendo l'art. 2058, comma 2, c.c. una riparazione in natura antieconomica solo se non "eccessivamente onerosa". Come per ogni clausola generale è arduo definire in cosa consista l'"eccessiva onerosità", anche a fronte di una evidente disomogeneità di opinioni dottrinarie intorno alla questione in esame.
Attualmente, l'operatore non potrà che rifarsi ai recenti arresti del giudice di nomofilachia che, nell'ambito dei sinistri stradali, ne ritiene integrato il limite allorché «il costo delle riparazioni superi notevolmente il valore commerciale» del bene. Quanto al momento rilevante in cui la stima del bene colpito deve avvenire va ancorato al valore di mercato che lo stesso aveva al momento in cui si è prodotto il danno nel suo aspetto reale e differenziale. Ove il riferimento al valore di mercato sarà strumentale a consentire quel giudizio sulla "eccessiva onerosità" imposto dall'art. 2058, comma 2, c.c.

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