Rischia pesanti sanzioni il commercialista che non segnala l’abuso di contante della Srl
La Cassazione, sentenza n. 2129 depositata oggi ha accolto, con rinvio, il ricorso del Ministero dell’Economia contro la sentenza di assoluzione del professionista da parte della Corte di appello
Il commercialista che si trovi di fronte a ingenti prelievi di contante da parte della società assistita – 186 in due anni, per circa 12milioni di euro - ha l’obbligo di segnalarlo all’Uif (Unità di Informazione Finanziaria per l’Italia) come “operazione sospetta”. E se non lo fa rischia una maxisanzione da Via XX Settembre. La Corte di cassazione, sentenza n. 2129 depositata oggi ha così accolto, con rinvio, il ricorso del Ministero dell’Economia contro la sentenza di assoluzione del professionista da parte della Corte di appello.
Il Mef aveva irrogato al commercialista una “multa” di 600mila euro, poi ridotta a 300mila dal tribunale. Proposto appello, il giudice di secondo grado ha poi annullato l’ordinanza ingiunzione affermando che non vi erano elementi idonei perché il professionista potesse sospettare il riciclaggio, vista la fatturazione a valle delle operazioni.
Nel ricorso, il Ministero ha affermato che la Corte non ha adeguatamente valorizzato il fatto che “in poco più di due anni” e “in assenza di qualsiasi giustificazione” ci fossero stati prelievi milionari peraltro attuati attraverso centinaia di operazioni.
Un argomento condiviso dalla II Sezione civile secondo la quale la Corte di appello ha errato laddove ha escluso l’esistenza dell’obbligo di segnalazione attribuendo rilievo alla asserita regolare fatturazione della merce venduta e al pagamento (da parte dell’unica compratrice) mediante assegni bancari che venivano accreditati sui conti correnti della Srl. In tal modo, infatti, si sono trascurati “alcuni nitidi indici di anomalia”, contenuti nel decalogo di Banca d’Italia e nelle istruzioni dell’UIC.
La Srl, ricostruisce la Cassazione, acquistava la merce (materiale ferroso) da privati, senza fatturazione, e quindi in maniera “non tracciabile”, e i residui ferrosi “apparentemente acquistati” venivano ceduti (la venditrice emetteva fatture di vendita) a una società acquirente, che probabilmente svolgeva il ruolo della cd. “cartiera”. In tal modo la società in poco meno di due anni ha avuto la “disponibilità di flussi considerevoli di denaro contante, la cui destinazione non è stata documentata e pertanto è rimasta ignota”.
È chiaro, prosegue la decisione, che, in presenza di “tali evidenti sintomi di abnormità nel modus operandi della società, il consulente era obbligato a segnalare le operazioni formalmente anomale all’autorità amministrativa, per consentirle di verificare se il ricorso frequente e ingiustificato al contante fosse o meno finalizzato ad eludere le disposizioni dirette a prevenire e punire l’attività di riciclaggio e (dal 2008) l’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo.