Casi pratici

Rissa aggravata e rapporti con l'omicidio

<b>Cenni sulla responsabilità oggettiva</b>

di Serena Gentile

la QUESTIONE
La rissa aggravata è reato qualificato dall'evento o fattispecie autonoma? Tra il reato di rissa aggravata e i delitti di omicidio e lesioni c'è concorso apparente di norme o concorso di reati? I corrissanti che non hanno contribuito materialmente all'evento morte o lesioni in danno della vittima rispondono anche del reato di omicidio e lesioni?


Le forme di responsabilità penale oggettiva presenti nel Codice Rocco rappresentano il retaggio normativo degli anni '30, ispirato ad esigenze general-preventive, deterrenti e dissuasive rispetto ai fatti criminosi. Nel corso del tempo, l'evoluzione esegetica costituzionale ha valorizzato il principio di colpevolezza quale quid imprescindibile per la rimproverabilità penale di un fatto-reato, imponendo, così, il ripudio dell'imputazione obiettiva della responsabilità, sia che si palesi in maniera esplicita sia che si tratti di forma occulta.
Tutte le ipotesi di responsabilità oggettiva, infatti, alla luce dei principi espressi dalla Corte Costituzionale nelle storiche sentenze n.364 e 1085 del 1988 (c.d. sentenze Dell'Andro) e di recente nella sentenza n.322/2007 Corte Cost., devono essere rilette in senso costituzionalmente orientato rispetto al principio di colpevolezza e all'ispirazione personalistica della Costituzione. Più esattamente, l'art.27, comma, 1 c.p. sancisce che la responsabilità penale è personale, dunque non può rispondersi per fatto altrui. Ciò vale ancor di più nell'ottica della funzione rieducativa della pena affermata dall'art.27, comma 3, c.p. che, in caso di responsabilità obiettiva, sarebbe svilita dal senso di ingiustizia di una pena slegata dalla volontà dal reo e rimessa all'arbitrio del caso. Altresì, al principio personalistico della responsabilità si ricollega il principio di riserva di legge previsto dall'art.25, comma 2, Cost. e tutti i suoi corollari, tra cui, in particolare, la necessaria calcolabilità delle conseguenze delle proprie azioni od omissioni previste e volute.
Ne è derivato, pertanto, che dalla lettura del combinato disposto dagli artt.27, commi 1 e 3, e 25, comma 2, Cost., il legislatore e gli operatori del diritto hanno dovuto ricercare soluzioni per assicurare la tenuta costituzionale di vari istituti che pongono l'evento dannoso o pericoloso "altrimenti" a carico dell'agente (art.43, comma 3, c.p.). Tra questi si possono enucleare i reati preterintenzionali (omicidio preterintenzionale e aborto preterintenzionale), il concorso anomalo ex art.116 c.p., il mutamento del titolo di reato ex art.117 c.p., le condizioni obiettive di punibilità ex art.44 c.p., le situazioni di actio libera in causa, l'aberratio ictus e l'aberratio delicti, l'esclusione dell'errore sull'età della vittima ex art.609 sexies nella forma precedente alla sentenza n.322/2007 Corte Cost. e alla riforma del 2012, nonché i delitti aggravati o qualificati dall'evento. In tutte queste ipotesi, la dottrina e la giurisprudenza hanno ricercato il minus soggettivo da addebitare al soggetto agente, onde evitare un'incolpazione priva di volontà e perfino di previsione. Difatti, se nel diritto civile la configurazione di ipotesi aggravate o oggettive di responsabilità sono ammissibili perché la finalità dell'addebito è l'esatta allocazione delle conseguenze dannose tra danneggiante e vittima, nel diritto penale l'afflittività della sanzione non può giustificare un'imputazione meramente obiettiva.
Per tali motivi, sono state elaborate varie tesi per legittimare l'addebito di un evento non voluto dal soggetto agente: dolo misto a responsabilità oggettiva, dolo misto a colpa specifica, dolo misto a colpa generica, dolo misto a prevedibilità in concreto. Sul punto, esclusa la tesi sulla responsabilità a tiolo di dolo misto a imputazione obiettiva perché anch'essa fondata sulla mancanza di soggettività, è sufficiente evidenziare che tutte le forme di responsabilità oggettiva presuppongono il versari in re illecita del soggetto agente. In ragione di ciò, sono state criticate dalla dottrina le tesi a favore del dolo misto a colpa specifica o a colpa generica utilizzate, invece, dalla giurisprudenza. Le Sezioni Unite Ronci, nel 2009, hanno utilizzato proprio tale categoria per giustificare l'addebito a carico dello spacciatore di sostanze stupefacenti della morte dell'assuntore ai sensi dell'art.586 c.p. Qui veniva valorizzata la violazione della norma incriminatrice quale presupposto oggettivo della colpa, oltre che la prevedibilità ed evitabilità dell'evento morte in capo allo spacciatore quale misura soggettiva di tal criterio di imputazione.
Di fronte a tale ricostruzione, la dottrina prevalente ha evidenziato, in primo luogo, che le norme incriminatrice non sono regole cautelari perché il loro ambito di applicazione è in re illicita, mentre le norme con funzione cautelare valgono nell'ambito delle attività rischiose ma lecite. In secondo luogo, è stato osservato che ai fini della colpa è necessario individuare l'agente modello secondo il criterio dell'homo eiusdem conditionis ac professionis e che, pertanto, sarebbe paradossale ricercare la figura del "delinquente modello". A tenore di questo indirizzo, infatti, più che di colpa in senso tecnico si deve utilizzare la categoria della prevedibilità in concreto, spendibile anche nelle attività illecite secondo parametri comportamentali di comune esperienza. Cioè, onde evitare l'addebito oggettivo di eventi diversi o più gravi non voluti dal reo, occorre indagare sulla concreta prevedibilità in capo al medesimo del decorso causale effettivamente realizzatosi a seguito della sua azione od omissione.

I reati aggravati o qualificati dall'evento
Siffatta ricostruzione viene pacificamente applicata nel caso dei cosiddetti reati aggravati o qualificati dall'evento, cioè tutte le fattispecie contemplate nella parte speciale del codice che prevedono un aumento della pena al verificarsi di un evento che non dipende dalla volontà del reo. Sulla natura giuridica di questo tipo di reati si sono contrapposti due orientamenti interpretativi opposti, la cui applicazione pratica rileva in maniera evidente sulle conseguenze sanzionatorie.
Più segnatamente, secondo un primo indirizzo i reati qualificati dall'evento sarebbero ipotesi di reato preterintenzionale seppure non esplicitamente definiti in tal senso come l'omicidio ex art.584 c.p. o l'aborto di cui all'art.593-ter, comma 2, c.p. A sostegno di questa conclusione si richiamano gli artt.42 e 43 c.p., dalla lettura dei quali emerge che il delitto è preterintenzionale quando dall'azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall'agente e che rappresenta un elemento soggettivo residuale specifico di determinati delitti. Tuttavia, non vi sono norme di parte generale o parte speciale da cui evincere il numero chiuso dei delitti preterintenzionali, tra i quali, secondo tale impostazione, sono da annoverarsi anche i reati qualificati dall'evento più grave rispetto a quello realmente voluto dal soggetto agente.
Di converso, a tenore dell'orientamento prevalente questa tipologia di reati sono fattispecie criminose connotate da circostanza aggravante, integrata dall'evento più grave non voluto dal reo. Al riguardo si afferma che l'art.42 c.p. si riferisce solo ai delitti e non al reato in generale, indicando così una preclusione estensiva alle fattispecie non predeterminate come preterintenzionali dal legislatore. In tal senso depone anche l'art.43, ultimo comma, c.p., ove non menziona, a differenza di dolo e colpa, la preterintenzione come elemento soggettivo applicabile alle contravvenzioni. Quest'ultima impostazione dal punto di vista applicativo è ispirata maggiormente al favor rei rispetto alla precedente. Difatti, inquadrando l'evento più grave posto in capo all'agente in una circostanza aggravante del reato ne deriva la sua suscettibilità al giudizio di bilanciamento ex art.69 c.p.
Ciò posto, deve evidenziarsi che onde consentire la tenuta costituzionale dell'evento aggravatore si richiede quantomeno il quid minus della prevedibilità in concreto delle conseguenze causali derivanti dall'azione o dall'omissione del reo. Proprio con riguardo a questo aspetto, si è sviluppata una querelle esegetica rispetto al reato di rissa aggravata, contemplato dall'art.588, comma 2, c.p., ricondotto da alcuni nell'alveo dei reati aggravati dall'evento.

Il reato di rissa
Prima di approfondire la questione, tuttavia, è utile ricostruire a grandi linee la struttura di siffatto reato, posto a presidio dell'incolumità della persona ma anche, indirettamente, dell'ordine pubblico. L'art.588 c.p. punisce chiunque partecipa a una rissa con la multa fino a 2.000,00 Euro. Il comma secondo dell'art.588 c.p. contempla un aggravamento notevole della pena : la sanzione prevista è della reclusione da sei mesi a sei anni se nella rissa, o in conseguenza di essa, taluno rimane ucciso o riporta lesione personale. Si tratta, come emerge a prima lettura, di un reato comune, plurisoggettivo necessario proprio, di pura condotta nella forma contemplata al comma primo perché il corrissante è punito per la sola partecipazione alla rissa.
Ciò che ha destato un acceso dibattito interpretativo è la configurazione dell'evento morte o dell'evento lesione personale di cui al comma 2° come circostanza aggravante del reato di rissa qualificato dall'evento, o se invece trattasi di una fattispecie autonoma strutturata come reato di pericolo concreto. La distinzione non è solo dogmatica, ma presenta risvolti rilevanti non solo ai fini della suscettibilità dell'aggravante al giudizio di bilanciamento di circostanze, ma anche e soprattutto rispetto al concorso con il reato di omicidio nelle varie graduazioni dell'elemento psicologico.
Rissa aggravata: reato aggravato dall'evento o fattispecie autonoma di pericolo concreto?
Secondo una parte della dottrina, più garantista nei riguardi del reo, la rissa aggravata dall'evento morte sarebbe un reato qualificato dall'evento, circostanza assorbita dall'eventuale contestazione del reato di omicidio volontario se la morte è stata voluta dal soggetto agente, o di omicidio colposo se l'exitus è stato accidentale o commesso da altri corrissanti, o ancora preterintenzionale se commesso dal reo oltre la sua l'intenzione.
A tenore dell'impostazione delineata dalla giurisprudenza, certamente più severa, il reato di rissa di cui al comma secondo dell'art.588 c.p. non deve essere inquadrato tra i reati qualificati dall'evento, trattandosi, al contrario, di un'ipotesi di reato autonomo, di pericolo concreto, con la quale il legislatore persegue la maggiore pericolosità insita nella condotta di partecipare a una rissa dalla quale scaturisce la morte o la lesione di qualcuno. Si è affermato, in tal senso, che la lettera del primo comma è chiara nel disegnare lo schema della rissa come reato di pura condotta. A cio' si aggiunge che tanto la ratio legis, quanto la collocazione topografica evidenziano la volontà del legislatore di apprestare una tutela incisiva all'incolumità pubblica e privata mediante l'individuazione di una pericolosità in re ipsa della condotta. Si è di fronte, cioè, ad un'azione delittuosa già grave per il suo alto tasso di pericolosità, ma che diventa ancor più grave e pericolosa se dal fatto deriva la morte o la lesione di taluno. In effetti, la previsione della stessa pena in caso di derivazione della morte o delle lesioni è proprio eloquente dell'intentio legis, cioè perseguire più severamente la pericolosità intrinseca della condotta e non l'evento che ne è scaturito. Dal punto di vista applicativo, la conseguenza è il concorso di reati e non apparente rispetto all'omicidio doloso, colposo e preterintenzionale, con evidente aggravio sanzionatorio per il reo e per chi con lui vi abbia partecipato. Addirittura, secondo l'interpretazione più rigorosa, in assenza di prova sull'autore effettivo dell'omicidio, l'evento morte in via dolosa deve essere addebitato a tutti i corrissanti (secondo altra tesi in questo caso si potrebbe al più contestare la rissa aggravata e l'omicidio preterintenzionale in concorso ex art.110 c.p.).
Questa impostazione ha sollevato nuovamente il dibattito sulla responsabilità oggettiva, attraendo le critiche dei costituzionalisti che rivendicano un ritorno al passato per la violazione del principio di colpevolezza così come interpretato alla luce degli artt.27, commi 1 e 3, e art.25, comma 2, Cost. Più nel dettaglio, si è contestato che l'addebito tout court dell'evento lesione o morte a ognuno dei partecipanti alla rissa è espressione di un'imputazione oggettiva, tornandosi a rispondere per fatto altrui senza la prova di aver apportato un contributo causale alla causazione dell'evento quanto meno in termini di prevedibilità in concreto. Altresì, si è contestata la violazione nel principio del ne bis in idem, in caso di contestazione in concorso formale o in continuazione con il reato di omicidio, in ragione del fatto che l'offesa al bene vita verrebbe punita due volte anziché ritenersi assorbita nella fattispecie più grave.
Tali stigmatizzazioni non hanno scalfito l'impostazione ermeneutica pretoria, forte di plurimi argomenti. In primis, si è replicato che il reato di rissa contemplato dal comma 2 dell'art.588 c.p., al pari di altri reati, può definirsi un reato di pericolo concreto da accertarsi con giudizio a base totale ex post. Tale fattispecie, infatti, non è residuale rispetto all'omicidio, ma offre tutela all'incolumità privata ma soprattutto a quella pubblica, mediante il perseguimento di condotte intrinsecamente pericolose. Da ciò deriva, in secundis, che non viene leso due volte il medesimo bene giuridico, perchè con la rissa si punisce la condotta gravemente pericolosa, mentre con l'omicidio si persegue la condotta a forma libera che cagiona l'evento morte della vittima. Non sussiste, allora, alcun rapporto di specialità che possa giustificare il concorso apparente tra le due fattispecie incriminatrici. Dunque, né può dirsi leso il principio di colpevolezza, perché il partecipe alla rissa può prevedere che dalla medesima possa scaturire il pericolo più grave della lesione o della morte di qualcuno, né può dirsi vulnerato il principio del ne bis in idem, trattandosi di fatti-reato strutturalmente differenti.
A questo punto, appurate le diverse posizioni sull'effettiva portata incriminatrice della rissa aggravata, trattandosi di reato plurisoggettivo necessario deve osservarsi in che modo si atteggia l'addebito rispetto alle varie graduazioni dell'elemento soggettivo di omicidio.
Non vi sono dubbi sulla possibilità di contestare il concorso tra rissa e omicidio volontario. Come già anticipato, secondo la giurisprudenza più rigorosa, se non è individuato il diretto esecutore materiale dell'omicidio la fattispecie è estesa a tutti ex art.110 c.p. Secondo altro indirizzo meno rigoroso, in tale situazione, sarebbe più aderente al principio di legalità e ai suoi corollari la contestazione della rissa e dell'omicidio preterintenzionale in concorso. Qualora, invece, si individui l'autore diretto dell'omicidio, i correi che non hanno voluto l'evento morte, potendolo prevedere in concreto (per effetto della partecipazione alla rissa), rispondono di concorso anomalo ex art.116 c.p. in omicidio volontario.
Infine, nel caso in cui uno dei partecipi abbia cagionato la morte del competitor oltre la sua intenzione questi risponde di rissa aggravata e omicidio preterintenzionale. Qui, tuttavia, rispetto agli altri corrissanti si pone il problema dell'incompatibilità della preterintenzione con il concorso anomalo: nell'omicidio preterintenzionale l'evento si verifica contro l'intenzione, mentre ai fini del concorso anomalo la volontà è assolutamente necessaria seppure nel quid minus della prevedibilità in concreto. Ne deriva, secondo la soluzione adottata dalla giurisprudenza, che in tale evenienza coloro che non abbiano voluto l'evento più grave risponderanno di rissa aggravata e concorso anomalo ex art.116 c.p. in omicidio colposo.

Considerazioni conclusive
La lettura costituzionalmente orientata delle forme di responsabilità oggettiva è un escamotage ermeneutico per salvare numerose fattispecie che, in caso contrario, dovrebbero essere dichiarate illegittime.
Con specifico riguardo alla fattispecie di rissa aggravata, si è osservato che la lettura pretoria prevalente ne afferma la natura di figura autonoma di reato di pericolo concreto, da valutarsi ex post e in concorso con i reati di lesioni o di omicidio (nelle sue varie forme). Secondo parte della dottrina, si tratta di una ricostruzione dogmatica severa che si eclissa proprio sulle sponde della responsabilità oggettiva. La "pericolosità intrinseca" della rissa e la maggiorazione del pericolo connaturato alla causazione dell'evento lesioni o morte sono eloquenti di un quadro svincolato dalla valorizzazione dell'elemento psicologico dell'illecito penale, soprattutto nell'ottica dell'estensione plurisoggettiva dell'attribuzione ai sensi dell'art.110 c.p. o 116 c.p. I sostenitori della tesi invalsa nella giurisprudenza, di fronte a tali censure, rispondono che la tenuta costituzionale della rissa aggravata come reato di pericolo concreto è assicurata dalla prevedibilità intrinseca della pericolosità della propria azione aggressiva, oltre a lumeggiare la ratio legis della norma, da rinvenirsi nella necessità preventiva e deterrente di evitare un grave pericolo per l'incolumità pubblica e individuale.

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