Ritocchi in materia penale per coordinare i reati familiari all’istituto delle unioni civili
Con il via libera giunto dal Consiglio dei ministri, entra in “Gazzetta” il decreto legislativo n. 6 del 19 gennaio 2017, recante «Modificazioni ed integrazioni normative in materia penale per il necessario coordinamento con la disciplina delle unioni civili, ai sensi dell'articolo 1, comma 28, lettera c), della legge 20 maggio 2016, n. 76». Il fine? Quello di armonizzare codice penale e codice di procedura penale alla nuova disciplina introdotta dalla Legge “Cirinnà”. E con il neo introdotto articolo 574-ter del Cp viene sancito che «agli effetti della legge penale» – ma si spiegherà in che termini – le parole «matrimonio» e «coniuge» si intendono riferite anche «alla costituzione di un'unione civile tra persone dello stesso sesso» e alla «parte di un'unione civile tra persone dello stesso sesso». Qualifica che peserà, allora, anche quale elemento costitutivo o circostanza aggravante di un reato qualora il configurarsi o l'aggravarsi di un delitto sia legato (come nei crimini contro l'assistenza familiare) al fatto di vestire la qualità di coniuge, oggi equiparata alla posizione del componente dell'unione civile. Parimenti, a ciascuna parte della coppia omosex viene espressamente riconosciuta, così come al soggetto coniugato, la facoltà di astenersi dal testimoniare nel processo aperto a carico del partner. Questi, gli adeguamenti più evidenti che il decreto – nel confermare, recepiti i suggerimenti delle Commissioni, l'impianto delineato in prima battuta dallo schema sottoposto al vaglio del Consiglio – apporta, con i suoi quattro articoli, al sistema normativo vigente. Ma vediamo, nel dettaglio, di quali interventi si tratta.
Il reato di assistenza ai partecipi di cospirazione o banda armata - L'articolo 1, lettera a) del comma 1, del Dlgs n. 6 del 2017 modificando il quarto comma dell'articolo 307 del Cp, norma incriminatrice del reato di «assistenza ai partecipi di cospirazione o di banda armata», estende la causa di non punibilità ivi prevista per chi commetta il fatto in favore di un prossimo congiunto, anche alla «parte di un'unione civile tra persone dello stesso sesso».
Nell'attuale formulazione del testo, infatti, si legge, senza altra specifica, che «agli effetti della legge penale, si intendono per i “prossimi congiunti” gli ascendenti, i discendenti, il coniuge (ora anche la parte di un'unione civile tra persone dello stesso sesso), i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti: nondimeno, nella denominazione di prossimi congiunti, non si comprendono gli affini, allorché sia morto il coniuge e non vi sia prole».
L'innesto, nel codice penale, dell'articolo 574-ter - Ancora l'articolo 1 del decreto, questa volta alla lettera b), introduce nel corpo del codice penale, più precisamente nel libro II («Dei delitti in particolare»), titolo XI («Dei delitti contro la famiglia»), capo IV («Dei delitti contro l'assistenza familiare») l'articolo 574-ter , rubricato «Costituzione di un'unione civile agli effetti della legge penale». La norma così recita: «Agli effetti della legge penale il termine matrimonio si intende riferito anche alla costituzione di un'unione civile tra persone dello stesso sesso. Quando la legge penale considera la qualità di coniuge come elemento costitutivo o come circostanza aggravante di un reato essa si intende riferita anche alla parte di un'unione civile tra persone dello stesso sesso».
Ebbene, se il nuovo disposto equipara, «ai fini della legge penale», il matrimonio alla costituzione di un'unione civile, parrebbe palese l'intento e l'effetto di riprodurre, nel settore penalistico, quella generale clausola di equivalenza tra coniugio e unione civile, sulla quale si impronta il comma 20 dell'articolo 1 della legge 76/2016.
Tuttavia, proprio in considerazione del fatto che il testo in analisi è decreto attuativo della nominata legge delega – dunque contenuto che “riempie” il quadro delineato da una cornice disegnata a monte, al fine di individuare sia l'oggetto della delega, che i principi e i criteri direttivi che regolano la materia – quanto in esso sancito, non appare estendibile, sic et simpliciter, a tutto il corpo del codice penale. Almeno, non previo ragionamento logico deduttivo da operarsi su ciascun precetto in cui figuri il termine «coniuge» come elemento costitutivo o come circostanza aggravante di un reato. A suffragare tale pensiero, possono addursi diversi rilievi.
In primo luogo, è noto come la materia penale sia sorretta da un principio basilare (corollario di quello di legalità di cui all'articolo 25, comma 2, della Costituzione), alla luce del quale le disposizioni devono soddisfare il canone della tassatività. Canone il cui rispetto, lo si annoti, non è solo caldamente suggerito, ma imposto da un dettato di rango costituzionale. Di conseguenza – se l'intento fosse stato quello di estendere alla parte dell'unione civile, anche norme penali diverse da quelle puntualmente indicate nel decreto – allora, in sede attuativa della delega, il decreto sarebbe dovuto intervenire, analiticamente, su ciascuno degli articoli oggetto di modifica, così come ha fatto per le norme appena indicate. Ma di ciò non v'è traccia.
Ancora, non appare un mero caso che le sopra citate disposizioni, quelle sì espressamente richiamate nel decreto attuativo, si colleghino, in tutta evidenza, a quella finalità tanto chiaramente individuata nella legge 76/2016, laddove il comma 20 dell'articolo 1 – nel vincolare le modalità concrete di attuazione del testo – recita che «al solo fine di assicurare l'effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall'unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole “coniuge”, “coniugi” o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche a ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. La disposizione di cui al periodo precedente non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella presente legge, nonché alle disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983 n. 184. Resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti».
Dettato che, quindi, avvalora la tesi per la quale il decreto attuativo, più che declamare una norma generale di estensione alle parti dell'unione civile di ogni disposizione penale che contenga un riferimento al coniuge, l'abbia, invece, consentita solo in relazione a norme in qualche modo “funzionali” al soddisfacimento di quella effettività della tutela dei diritti e dell'adempimento degli obblighi (assistenza morale e materiale, coabitazione e pari contribuzione a bisogni familiari) che la legge 76/2016 ha espressamente previsto anche per i componenti dell'unione civile. Appare ragionevole, allora, dedurre che il decreto produrrà riflessi sulla materia penale, andando a incidere sui singoli precetti, solo ove l'estensione della loro applicazione ai partner dell'unione si muova sui binari dell'ottica voluta e indicata dal delegante.
Sul punto, peraltro, lo si ricordi, già il Comitato per la legislazione, presidente Gianluca Pini, nel parere reso il 12 aprile 2016, si esprimeva così: «al comma 20, che, con norma che sembrerebbe avere carattere generale, estende alle parti delle unioni civili i diritti e i doveri derivanti dal rapporto di coniugio ad eccezione di quelli disciplinati nel codice civile e non espressamente richiamati nella legge n. 184 del 1983 in materia di adozioni, parrebbe opportuno precisare se con il suddetto rinvio si intendano richiamare anche le norme in malam partem derivanti dalla qualità di coniuge (a mero titolo esemplificativo, si consideri l'articolo 577 del codice penale, che, nel caso di omicidio, prevede un aumento di pena se il reato è stato commesso contro il coniuge, ovvero le diverse normative che pongono quale causa di incompatibilità nell'esercizio di una professione o della funzione assegnata il rapporto di coniugio con un'altra parte) e, in caso affermativo, individuare le suddette norme in maniera puntuale».
Precisazione che, però, non si ravvisa nel testo definitivamente approvato, facendo propendere gli interpreti per un'estensione – seppur non espressamente preclusa dalla relazione illustrativa – operata, tuttavia, solo in via funzionale al soddisfacimento della delega ricevuta. Si spiegherebbe, così, anche la ragione per cui il decreto attuativo abbia individuato – nell'articolo 1 – le singole norme che fanno discendere la non punibilità, l'integrarsi o l'aggravarsi di un reato proprio dall'aver agito nella qualità di soggetto (coniuge e ora anche parte dell'unione civile) obbligato a specifici doveri assistenziali.
A pesare sulla tesi formulata, è altresì la sistemazione codicistica dell'unica norma del decreto suscettibile di essere intesa, prima facie, come regola di carattere generale: l'articolo 574-ter del codice penale.
Ebbene, non può essere frutto di una svista, la scelta di collocare tale disposto in seno ai delitti «contro l'assistenza familiare», tanto da far intendere, che ogni norma penale – verosimilmente contenuta nel predetto libro II («Dei delitti in particolare»), titolo XI («Dei delitti contro la famiglia»), capo IV («Dei delitti contro l'assistenza familiare») – debba ritenersi estesa, ove richiami i termini “matrimonio” o “coniuge”, anche all'unione civile o al suo componente.
Contesto peculiare, in cui si inseriscono, d'altronde, gli articoli 570 («Violazione dell'obbligo di assistenza familiare») e 572 («Maltrattamenti contro familiari e conviventi»).
Quanto all'articolo 570 del Cp – ove si sanziona «chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all'ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla potestà dei genitori, alla tutela legale o alla qualità di coniuge» - è indubbio che essa debba intendersi riferita anche ai componenti dell'unione civile. Ciò, non solo per via della richiamata collocazione dell'articolo 574-ter del Cp, ma altresì per aderenza alle finalità descritte dalla legge delega che pone anche carico dei partner dell'unione gli obblighi di cui al precetto penale.
Stessa soluzione, per quanto concerne l'articolo 572 del Cp, norma – per la quale risponde del reato chiunque maltratti «una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte» – la cui applicazione, però, era stata già prevista, con novella 172/2012, anche per le persone «comunque conviventi».
Allo stesso modo, dovrà concludersi, per il delitto di violenza sessuale, aggravato laddove commesso (ex articolo 609-ter 5-quater del codice penale) nei confronti di persona «della quale il colpevole sia il coniuge, anche separato o divorziato, ovvero colui che alla stessa persona è o è stato legato da relazione affettiva, anche senza convivenza» e per quello di atti persecutori, posto che lo stalking (articolo 612-bis del Cp) è soggetto ad aumento di pena se perpetrato «dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa».
Estensione probabile alle parti dell'unione, non per individuazione da parte del decreto attuativo, ma per funzionalità con i criteri sanciti dalla delega, potrebbe rinvenirsi, invece, per il reato di induzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, sanzionato con maggiore asprezza se commesso dal coniuge, trattandosi di individuo tenuto, proprio per la sua veste, ad assistere il partner.
Medesima logica, potrebbe seguirsi per l'ipotesi di abbandono di minori o incapaci laddove l'articolo 591 del Cp – nel punire chi abbandoni «una persona minore degli anni quattordici, ovvero una persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a se stessa, e della quale abbia la custodia o debba avere cura», prevede un aumento di pena per il fatto commesso dal coniuge.
Logica che supporta, a ben vedere, anche l'aggravarsi della condanna in caso di omicidio posto in essere dal consorte della vittima. Profilo, quello del delitto omicidiario, che impone, allora, di riflettere sull'eventuale connessione tra tale crimine estremo e la violazione (ad esempio, per mancata prestazione al partner di cure vitali, laddove detta omissione ne abbia causato il decesso) dell'obbligo di assistenza morale e materiale oggi imposto, reciprocamente, anche ai componenti dell'unione civile.
Ma la carrellata dei reati in cui figura il termine “coniuge”, e non indicati dal decreto, è corposa. Si pensi ai delitti di abuso d'ufficio, procurata evasione, procurata inosservanza di pena, procurata inosservanza di misure di sicurezza detentive o assistenza agli associati, in ordine ai quali un'estensione di disciplina ai membri dell'unione allineerebbe l'apparato ai canoni del diritto penale europeo.
D'altronde, anche la direttiva 2015/849/Ue (IV Direttiva europea antiriciclaggio e contro il finanziamento del terrorismo) all'articolo 3, n. 10, recepisce una definizione di «familiari», rilevante ai fini penali, che abbraccia:
a) il coniuge, o una persona equiparata al coniuge, di una persona politicamente esposta;
b) i figli e i loro coniugi, o le persone equiparate ai coniugi, di una persona politicamente esposta;
c) i genitori di una persona politicamente esposta.
L'estensione della causa di non punibilità - L'articolo 1 del decreto, infine, interviene, alla lettera c), sui primi due commi dell'articolo 649 del Cp. Con modifica del comma primo, si estende anche alla parte dell'unione civile l'applicazione della causa di non punibilità ivi contemplata con riguardo ai delitti non violenti contro il patrimonio commessi nell'ambito dei rapporti familiari. Nello specifico, è inserito il numero 1-bis dedicato alla «parte dell'unione civile tra persone dello stesso sesso», che potrà godere, di tal guisa, di una causa di non punibilità, prevista, ante riforma, solo a favore del coniuge non legalmente separato, degli ascendenti o discendenti e affini in linea retta, dell'adottante o dell'adottato, o dei fratelli conviventi.
Si elimina, dunque, quella circoscrizione della norma riservata, prima della riforma, ai soli nuclei fondati sul matrimonio (oltre che ai soggetti legati da vincoli di sangue) che accese aspri dibattiti, motivando persino l'avvio di diverse questioni di legittimità costituzionale, sollevate per violazione degli articoli 3, commi 1 e 2, e 24, comma 1, della Costituzione.
Occasioni in cui la Corte costituzionale, pur dichiarando l'infondatezza delle questioni, tenne a marcare – si legga, a titolo esemplificativo, la pronuncia n. 223 del 5 novembre 2015 – come l'aggiornamento della disciplina dei reati contro il patrimonio commessi in ambito familiare, da ricondursi nell'alveo di scelte di politica criminale, spettasse, invero, al «ponderato intervento del legislatore», così sollecitandolo a un aggiornamento di disciplina. Sul punto, occorre ricordare come in sede di prima stesura della norma novellata, lo schema di decreto avesse subordinato l'applicazione della causa di non punibilità – solo per le parti dell'unione civile – al requisito della coabitazione tra le parti, non richiesto, invece, per i coniugi non legalmente separati. Di qui, il rilievo della Commissione che, chiamata a rendere il proprio parere, osservava come tale disparità di trattamento non fosse giustificata. Ciò, sosteneva, posto che la costanza di coabitazione, prevista per le parti dell'unione ai fini dell'applicazione della causa di non punibilità, non poteva in alcun modo assimilarsi all'assenza di separazione legale, quale condizione perché fosse applicata ai coniugi. D'altronde, proseguiva, la separazione consegue a un provvedimento e, dunque, è assistita da condizioni di rigorosa certezza.
La costanza di coabitazione, invece, rinvia a una semplice e non riscontrabile, situazione di fatto. Non solo, l'assenza di coabitazione potrebbe anche conseguire da una libera scelta delle parti e non necessariamente da una situazione conflittuale. Si suggeriva, perciò, di elidere – come è avvenuto in sede di approvazione definitiva – la frase «in costanza di coabitazione». Ancora, l'articolo 1 del decreto inserisce – all'articolo 649, secondo comma, del Cp, dopo le parole «del coniuge legalmente separato» – le parole «o della parte dell'unione civile tra persone dello stesso sesso, nel caso in cui sia stata manifestata la volontà di scioglimento dinanzi all'ufficiale dello stato civile e non sia intervenuto lo scioglimento della stessa». Così facendo, si dispone che i fatti previsti dal titolo di reato siano punibili a querela della persona offesa, non solo se commessi – come disposto dalla vecchia stesura della norma – a danno del coniuge legalmente separato, del fratello o sorella che non convivano con l'autore del fatto, dello zio o del nipote o dell'affine in secondo grado con lui conviventi, ma anche ove perpetrati nei confronti del partner dell'unione, nei casi indicati dalla norma come novellata.
Le modifiche al codice di procedura penale - L'articolo 2 del decreto, invece, modifica l'articolo 199, comma 3, del Cpp, in materia di testimonianza, estendendo anche alla parte dell'unione civile la facoltà di astenersi dal deporre nel processo penale mosso a carico del partner, così come è consentito al coniuge (anche legalmente separato) dell'imputato.
L'articolo, infatti, dispone che i prossimi congiunti dell'imputato, salvo che non abbiano presentato denuncia, querela o istanza o essi o un loro prossimo congiunto siano offesi dal reato, non sono obbligati a deporre. Per l'effetto, oggi è previsto che tale disposizione – «limitatamente ai fatti verificatisi o appresi dall'imputato durante la convivenza coniugale» o (come riformato) «derivante da un'unione civile tra persone dello stesso sesso» - si applichi:
a) a chi, pur non essendo coniuge dell'imputato, come tale conviva o abbia convissuto con esso;
b) al coniuge separato dell'imputato;
c) alla persona nei cui confronti sia intervenuta sentenza di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio o (come riformato) «dell'unione civile tra persone delle stesso sesso» contratti con l'imputato.
Nella relazione illustrativa si precisa, poi, che – se il legislatore ha scelto di intervenire solo sull'articolo 199 del Cpp e non anche sulla disciplina delle incompatibilità – è perché, non escludendo la materia processuale interpretazioni di natura estensiva, ha ritenuto che l'applicabilità delle disposizioni relative alle cause di incompatibilità per ragioni di parentela, affinità o coniugio astensione e di astensione anche al partner dell'unione civile omosessuale, potesse rientrare agilmente nella sfera di intervento della norma di coordinamento di cui al comma 20 dell'articolo 1 della legge 76/2016.