Civile

Rivalsa limitata delle cliniche sui medici liberi professionisti

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di Filippo Martini

Ospedali e cliniche hanno un doppio profilo di rischio, sia aziendale, sia di colpa diretta nei confronti del paziente che subisce un danno da malpractice sanitaria, a prescindere da quanto la condotta del medico abbia inciso sul fatto lamentato. È quanto ha riconosciuto la giurisprudenza che, nell’ultimo periodo, è sempre più orientata nel limitare la quota che la struttura (che si sia fatta carico di risarcire per intero il danno al paziente) può recuperare dal medico non dipendente libero professionista che materialmente ha eseguito la prestazione.

Cosa prevede la legge
La struttura sanitaria risponde sempre verso il paziente non solo per le proprie carenze organizzative o tecniche, ma anche per l’operato dei propri dipendenti e collaboratori.

Si tratta di una responsabilità solidale del medico e della struttura verso il paziente, che può poi portare – nei rapporti interni fra i coobbligati – a una successiva azione di rivalsa o di surroga dell’azienda sanitaria verso il medico, quando non è dipendente ma è comunque strutturato nel proprio organigramma, per una quota o per l’intero ammontare del risarcimento versato al paziente.

La struttura sanitaria (come qualunque organizzazione aziendale) deve infatti rispondere dei danni ai terzi anche per l’operato del personale dipendente (in base all’articolo 2049 del Codice civile). Invece, se la clinica si avvale di medici a sé legati da un rapporto libero professionale, questi ultimi possono essere chiamati a rifondere, con lo strumento della rivalsa o del regresso, quanto il datore di lavoro abbia risarcito alla vittima.

Così, nel contenzioso da rischio clinico, l’azienda sanitaria che abbia pagato il danno al paziente (verso il quale è esposta per la responsabilità contrattuale prevista dall’articolo 1218 del Codice civile) si può rivalere verso il professionista, materiale esecutore della pratica che ha innescato l’errore clinico, in base agli articoli 1916 e 2055 del Codice civile.

La distribuzione del risarcimento
Ciò che rimane controverso è proprio la misura di questo meccanismo di distribuzione del carico economico del risarcimento, secondo profili di colpa distinti: l’azienda per la propria organizzazione e il medico per la commissione materiale dell’errore fatale.

La Cassazione, con la sentenza 16488/2017, ha chiarito come l’accertamento del fatto di inadempimento imputato al sanitario non faccia venire meno i presupposti né della responsabilità della struttura per l’illecito dell’ausiliario (prevista dall’articolo 1228 del Codice civile), né della responsabilità della struttura per colpa contrattuale (in base all’articolo 1218 del Codice civile).

Questo principio è stato affermato anche dai giudici di merito, che, di conseguenza, hanno distribuito in modo paritetico o pro quota il danno tra azienda sanitaria e operatore (Tribunale di Milano, sentenza 9373/2018). Inoltre, secondo il Tribunale di Milano (sentenza 5923/2019), la struttura risponde in solido con il medico in base all’articolo 2055 del Codice civile e, se non prova che il fatto dipenda solo dalla condotta del sanitario, la responsabilità va presuntivamente ripartita al 50 per cento.

Infine, la Cassazione, con l’ordinanza 24167/2019, ha affermato che, quando la struttura sanitaria, evocata in giudizio dal paziente sottoposto a un intervento chirurgico e che lamenta un danno, sostenga che l’esclusiva responsabilità dell’accaduto non sia imputabile a sue mancanze tecnico-organizzative ma solo all’imperizia del chirurgo che ha eseguito l’operazione, è sulla stessa struttura che deve gravare l’onere di provare l’esclusiva responsabilità del medico.

Si tratta di principi - enunciati dalla giurisprudenza - che stanno spostando il carico economico del risarcimento del danno da errore sanitario, ampliando al tempo stesso (in fondo secondo proprio la ratio della legge 24/2017) la platea dei soggetti obbligati sui quali riversare la partita economica del danno medico.

I principi affermati dai giudici

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