Responsabilità

Rumori molesti dopo la chiusura dei locali, ne risponde il comune

Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 14209 depositata oggi

di Francesco Machina Grifeo

È possibile portare in giudizio il comune per chiedere il risarcimento del danno e la cessazione dei rumori molesti che, soprattutto nei periodi estivi, salgono dalla strada dopo la chiusura dei locali, quando le persone si attardano sotto le abitazioni. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 14209 depositata oggi, accogliendo il ricorso di una coppia di coniugi che aveva agito contro il Comune di Brescia per le immissioni di rumore nella propria abitazione, in via Fratelli Bandiera nel quartiere Carmine.

In primo grado il Tribunale diede loro completamente ragione addirittura ordinando al municipio la predisposizione di un servizio di vigilanza, dal giovedì alla domenica nei mesi da maggio ad ottobre, con impiego di agenti comunali che, entro la mezz'ora successiva alla chiusura, dovevano disperdere la folla; oltre al pagamento di 20mila euro ciascuno per il danno non patrimoniale; e 9mila euro per il danno patrimoniale. Proposto ricorso la Corte di appello rovesciò il verdetto affermando, per un verso, che la titolarità passiva del rapporto giudizio non spettava al Comune in assenza di norme specifiche che ne imponessero l'obbligo di un puntuale intervento al riguardo (che non si riducesse al mero dovere di assicurare la quiete pubblica) e, per altro verso, escludendo che le pretese azionate dagli attori potessero radicare un potere del giudice ordinario di determinare le modalità di intervento della Pa.

Per la Terza sezione civile invece "la P.A. è tenuta ad osservare le regole tecniche o i canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni e, quindi, il principio del neminem laedere, con ciò potendo essere condannata sia al risarcimento del danno (artt. 2043 e 2059 c.c.) patito dal privato in conseguenza delle immissioni nocive che abbiano comportato la lesione di quei diritti, sia la condanna ad un facere, al fine di riportare le immissioni al di sotto della soglia di tollerabilità, non investendo una tale domanda, di per sé, scelte ed atti autoritativi, ma, per l'appunto, un'attività soggetta al principio del neminem laedere". Ne consegue la titolarità dal lato passivo del convenuto Comune.

Inoltre, prosegue la decisione, la domanda di risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, "non postula alcun intervento del giudice ordinario di conformazione del potere pubblico e, dunque, non spiega alcuna incidenza rispetto al perimetro dei limiti interni della relativa giurisdizione, ma richiede soltanto la verifica della violazione da parte della P.A. del principio del neminem laedere e, dunque, della sussistenza o meno della responsabilità ai sensi dell'art. 2043 c.c., per aver mancato di osservare le regole tecniche o i canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni quale condotta, connotata da c.d. colpa generica, determinativa di danno ingiusto per il privato".

Per cui la circostanza che il primo giudice avesse predeterminato il facere del Comune imponendo taluni comportamenti – come l'effettuazione di un servizio pubblico di vigilanza, organizzandone anche le modalità operative – "non impediva, però, ogni diversa delibazione del giudice di secondo grado, coerente con la portata della domanda formulata dagli attori, che fosse volta ad imporre alla P.A. (non già le modalità di esercizio del potere discrezionale ad essa spettante, ma) di procedere agli interventi idonei ed esigibili per riportare le immissioni acustiche entro la soglia di tollerabilità, ossia quegli interventi orientati al ripristino della legalità a tutela dei diritti soggettivi violati".

Sarà ora la Corte di appello di Brescia, in diversa composizione, a dover decidere attenendosi "ai principi innanzi enunciati nella delibazione delle domande proposte dagli originari attori".

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