Penale

Scatta il reato di abbandono di animali anche per le precarie condizioni di igiene

Domestico, da lavoro, da cure o anche da preda: tutti gli animali vanno trattati con "umanità"

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di Pietro Alessio Palumbo

La detenzione impropria di animali, produttiva di gravi sofferenze, va considerata, per le specie più note quali gli animali domestici, attingendo al patrimonio di comune esperienza e conoscenza e, per le altre, alle acquisizioni delle scienze naturali. A ben vedere le gravi sofferenze non vanno necessariamente intese come quelle condizioni che possono determinare un vero e proprio processo patologico: sono tali anche i meri
patimenti. Su quest'onda assumono rilievo non soltanto quei comportamenti che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animali per la loro manifesta crudeltà, bensì anche quelle condotte che incidono sulla "sensibilità" psicofisica dell'animale, procurandogli dolore e afflizione. Ebbene sulla base di queste argomentazioni la Corte di Cassazione con la recente sentenza 32157/2020 ha ritenuto integrato il reato di abbandono di animali anche in situazioni quali la privazione di cibo, acqua e luce o le precarie condizioni di salute, di igiene e di nutrizione. In altre parole la sofferenza dell'animale va desunta dalle modalità di custodia inconciliabili con la condizione propria dell'animale in situazione di benessere.

La sofferenza dell'animale è in ogni caso intollerabile: anche se è una "preda"
In altra recente sentenza la Corte di Cassazione ha affrontato la fattispecie degli animali oggetto di attività venatoria (Cass. 29816/2020). Nella vicenda erano stati trovati tre caprioli nel cassone del veicolo di un cacciatore. Uno degli animali era ancora vivo, scalciante e sofferente per le gravissime ferite tuttavia non letali. Ebbene per la Corte anche l'uccisione di un animale-preda deve avvenire senza infliggere sofferenze non necessarie, laddove nel concetto di "necessità" rientra solo la situazione che induca all'uccisione dell'animale per evitare un pericolo imminente alla persona umana. Si è chiarito che vanno considerati proibiti comportamenti arrecanti sofferenze e tormenti agli animali, inutili crudeltà ed ingiustificate angosce.

La tutela degli animali "antropizzati"
Nella vicenda di cui alla sentenza 32157/2020 la Corte affronta invece il tema delle sofferenze arrecate agli animali da compagnia, quelli più vicini all'uomo e ad esso legati da vincoli di curatela, custodia, affetto. L'imputata prima di partire per le ferie, aveva delegato il compito di accudire i propri animali domestici ad una conoscente che, però, aveva successivamente negato il suo supporto, tanto che era stata costretta ad incaricare i propri figli (minori) della cura degli animali in questione. In sede di sopralluogo effettuato dai Carabinieri e da guardia zoofila, venivano rinvenuti nell'appartamento, i cui mobili e divani erano ricoperti di escrementi ammuffiti e di urine, tre gatti affamati, rinchiusi in una stanza. Uno dei gatti in particolare presentava un'escrescenza sul muso che, a seguito di visita veterinaria, si rivelava essere un tumore grave ed esteso. Ebbene per la Corte di Cassazione la detenzione in tali condizioni dei gatti costretti in un luogo ristretto e malsano per lungo periodo e senza adeguate cure, è certamente incompatibile con la loro natura e produttiva di gravi sofferenze.

La pietas nei riguardi degli animali: l'evoluzione giurisprudenziale
Se pertanto il bene offeso è rappresentato in ogni caso dalla pietas nei riguardi degli animali ossia da quel sentimento umano che induce alla "ribellione" nei confronti di coloro che incrudeliscono ovvero infliggono inutili sofferenze, ciò è tanto più grave nei riguardi degli animali antropizzati quali cani e gatti, tenuti in condizioni, anche provvisorie, insopportabili per le loro caratteristiche, ma anche contrarie al senso di "umanità". In altre parole per diritto vivente assume sempre più importanza la mancanza di empatia della persona umana che pone in essere anche solo per noncuranza o trascuratezza comportamenti crudeli o spietati verso gli animali. Vanno inserite in questa evoluzione giurisprudenziale la sentenza n. 14734/2019, in cui la Cassazione affronta un episodio relativo al maltrattamento di asinelli da lavoro; la sentenza n. 5892/2019 in cui il Tar Lazio affronta il tema dell'utilizzo dei delfini per la pet-therapy; la sentenza n. 17691/2019 in cui la Corte di Cassazione chiarisce la giusta interpretazione della normativa generale e speciale sul giusto "utilizzo" di uccelli vivi per la pesca sportiva.

Impossibilità dell'animale di provvedere a sé stesso: la falsariga dell'abbandono di (persona) incapace
A ben vedere l'indifferenza, in controtendenza con l'accresciuto senso di rispetto verso l'animale in genere è avvertita nella coscienza sociale come una manifestazione della condotta di "abbandono" che va dunque interpretato in senso ampio e non letterale, ben potendo, nel comune sentire, qualificarsi l'abbandono come senso di trascuratezza o disinteresse verso qualcuno o qualcosa. A ben vedere il concetto penalistico di abbandono può essere ripreso dall'abbandono di "persone incapaci". E anche in tali casi per abbandono va inteso non solo il mero distacco ma anche l'omesso adempimento da parte dell'agente, dei propri doveri di custodia e cura, nonché la consapevolezza di lasciare il soggetto passivo in una situazione di incapacità di provvedere a sé stesso. Ebbene anche l'abbandono di animali può essere delineato non solo come precisa volontà di abbandonare (o lasciare) definitivamente l'animale, ma anche di non prendersene cura, nella consapevolezza della incapacità dell'animale (in particolare se domestico) di non poter o saper provvedere a sé stesso.

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