Separazione, per l'assegno di mantenimento si devono valutare eventuali proposte di lavoro
Torna sul tema la Cassazione con l'ordinanza n. 5932/2021
Separazione, mantenimento e proposte di lavoro in concreto ricevute dal coniuge richiedente: questi i temi affrontia dalla Cassazione con l'0rdinanza n. 5932/2021. La decisione in commento si inserisce all'interno della delicata questione del mantenimento del coniuge, disciplinato dall'articolo 156 c.c., il quale recita testualmente che "il Giudice pronunziando la separazione stabilisce a carico del coniuge cui non sia addebitabile la separazione, il diritto di ricevere dall'altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia redditi propri".
Il caso esaminato
La Corte d'appello, in una controversia avente ad oggetto la separazione personale tra marito e moglie, rigettava le doglianze proposte dal primo avverso la sentenza di primo grado.
Innanzitutto, confermava l'addebito al marito e stabiliva un assegno di mantenimento in favore dei due figli in Euro 650,00 mensili ciascuno, oltre alla metà delle spese straordinarie. Quanto all'assegno di mantenimento in favore della moglie, la Corte territoriale lo determinava in € 1.000,00, affermando altresì che le sue attitudini lavorative vanno ricondotte alla laurea in farmacia, ma aggiungendo poi che il profilo individuale dell'avente diritto, non va mortificato con possibili occupazioni inadeguate, non potendosi pretendere che "una donna quarantottenne, laureata, che aveva goduto di un livello di vita invidiabile", poi "sia condannata al banco di mescita o al badantato". In buona sostanza, la Corte giustificava il rifiuto della moglie ad un impiego, quando questo non fosse esattamente appropriato al titolo di studio.
Il marito ricorre in Cassazione che in accoglimento del ricorso, ha cassato con rinvio la sentenza impugnata.
Le sezioni Unite del 2018
Il Palazzaccio offre un importante spunto di riflessione – spunto che non è nuovo essendo stato oggetto di continue precisazioni negli ultimi anni da parte della Cassazione, soprattutto dopo le Sezioni Unite del luglio 2018 - in tema di assegno di mantenimento in sede di separazione: infatti, si conferma un principio ormai consolidato, secondo cui la capacità lavorativa della moglie implica, a determinate condizioni, l'insussistenza dei presupposti per ottenere il mantenimento stesso.
La ratio dell'articolo 156 cod. civ. è da rinvenirsi nella tutela del coniuge più debole e nell'obbligo del coniuge economicamente più forte di salvaguardare - tenendo conto, s'intende, dei suoi redditi - la conservazione del medesimo tenore di vita goduto prima della separazione. A tal fine, il giudice non può limitarsi a considerare il reddito che risulta dalle documentazioni fiscali, ma deve anche tenere conto degli altri elementi di ordine economico diversi dal reddito dell'onerato, suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti (quali appunto la conduzione di uno stile di vita particolarmente agiato e lussuoso), dovendo, in caso di contestazione, effettuare gli opportuni accertamenti e verifiche avvalendosi, se del caso della polizia tributaria (Cass. civ., 24 aprile 2007, n. 9915).
Le sentenze sia di merito che di legittimità hanno affrontato negli ultimi anni, casi in cui era discutibile il profilo afferente la capacità lavorativa della moglie stessa: sul punto gli Ermellini nel 2013 (Cass. civ. sez. I, 13 febbraio 2013 n. 3502) hanno statuito che: "In tema di separazione personale dei coniugi, l'attitudine al lavoro proficuo dei medesimi, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell'assegno di mantenimento da parte del giudice, che deve al riguardo tenere conto non solo dei redditi in denaro ma anche di ogni utilità o capacità dei coniugi suscettibile di valutazione economica. Peraltro, l'attitudine del coniuge al lavoro assume in tal caso rilievo solo se venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un'attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, e non già di mere valutazioni astratte ed ipotetiche. (In applicazione di tale principio la S.C. ha cassato la sentenza del giudice di merito che aveva negato un contributo al mantenimento alla moglie in considerazione della sua giovane età, delle sue buone condizioni di salute, del possesso di un diploma di laurea, dell'esperienza professionale pregressa, senza, tuttavia, valutare le condizioni reddituali e patrimoniale al momento dell'accertamento della sussistenza del diritto)". La sentenza qui anticipa quello che verrà definitivamente sancito con la sentenza del 2018
I l comportamento del coniuge richiedente
La giurisprudenza certamente ha sempre più stigmatizzato la possibile assenza di mezzi adeguati nella misura in cui questa venga considerata, in qualche modo, ascrivibile al comportamento del coniuge richiedente. In questo senso, ad es., Cass. civ. 20 marzo 2018, n. 6886, ord.: "Se è vero che nella separazione personale i ‘redditi adeguati' cui va rapportato l'assegno di mantenimento a favore del coniuge sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, è anche vero che la prova della ricorrenza dei presupposti dell'assegno incombe su chi chiede il mantenimento e che tale prova ha ad oggetto anche l'incolpevolezza del coniuge richiedente quando sia accertato in fatto che, pur potendo, esso non si sia attivato doverosamente per reperire un'occupazione lavorativa retribuita confacente alle sue attitudini, con l'effetto di non poter porre a carico dell'altro coniuge le conseguenze della mancata conservazione del tenore di vita matrimoniale".
Si tratta di un ragionamento che recupera sempre di più il piano dell'auto-responsabilità del coniuge (alla stregua di quanto avviene con l'assegno divorzile), dimenticando tuttavia, che l'assegno di mantenimento nella separazione viene riconosciuto sulla base del principio (assistenziale) del tenore di vita goduto dalla coppia in costanza di matrimonio, mentre l'assegno divorzile è sottoposto a parametri assai più rigidi e complessi. Innanzitutto, nel processo di separazione il coniuge richiedente l'assegno non deve dimostrare di non avere adeguati mezzi propri per mantenere il precedente tenore di vita e non deve dimostrare di non poterseli procurare con la propria attività lavorativa. Infatti, l'articolo 156 c.c. non riprende l'inciso del comma 6, dell'articolo 5, legge n. 898 del 1970 «non ha adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive». Pertanto, non è necessario in sede di separazione provare l'impossibilità di procurarsi adeguati mezzi propri per ragioni obiettive.
Ciò si giustifica perché la separazione pone il matrimonio in uno stato di quiescenza. Se si prova la mancanza di adeguati mezzi propri per mantenere il tenore di vita precedente, il dislivello reddituale e non vi sia l'addebito, il richiedente nella separazione non è onerato da altri incombenti. Ben diversa, invece, è la situazione nel processo di divorzio, dove gli oneri a carico del richiedente sono molto più severi.
E' comunque da tenere in considerazione le dinamiche processuali perché il giudizio sull'assegno di mantenimento è connotato da un'ampia discrezionalità che si espande a seconda della concreta fase del giudizio: il presidente del tribunale, in sede di assunzione dei provvedimenti provvisori e urgenti di sua competenza, ha un esteso margine di discrezionalità, in quanto la sua cognizione è caratterizzata dalla sommarietà, mentre il tribunale, nell'emanazione della sentenza definitiva, mantiene un grado di discrezionalità più contenuto sia nella valutazione dei fatti e delle prove espletate nel giudizio (ex art. 116 c.p.c.), sia nell' indicazione del quantum dell'assegno. Va da sé che il tribunale è tenuto a fornire una motivazione del proprio operato in relazione alla tipologia di provvedimento adottato.
Nel caso concreto, secondo l'ordinanza in commento, la Corte d'Appello ha omesso di valutare gli elementi rilevanti, come l'essere o no la coniuge in grado di procurarsi redditi adeguati, l'esistenza o no di proposte di lavoro, l'eventuale rifiuto immotivato di accettarle o comunque, l'attivazione concreta alla ricerca di una occupazione lavorativa, mentre avrebbe dovuto compiere una valutazione specifica delle proposte e dei lavori ricercati.
Famiglia e successioni: il punto sulla giurisprudenza dei giudici di merito
di Valeria Cianciolo