Il CommentoCivile

Sezioni Unite: il superamento del limite di finanziabilità non determina nullità del contratto di mutuo fondiario

La pronuncia in commento segue un ragionamento tecnico-giuridico complesso e ricco di riferimenti (non solo) normativi, che conducono il lettore lungo una ricostruzione dell'istituto che si muove tra le linee accidentate delle numerose (e divergenti) posizioni espresse fino ad oggi dalla dottrina e dalla giurisprudenza

di Antonino La Lumia*

Con la recentissima - e, a dire il vero, particolarmente corposa - sentenza n. 33719 del 16 novembre 2022, le Sezioni Unite prendono posizione su una delle questioni più dibattute nel vivace contesto ermeneutico del diritto bancario, offrendo una soluzione (per certi aspetti forse criticabile) in ordine agli effetti del superamento del limite di finanziabilità, nell'ambito del mutuo fondiario, sulla validità del contratto.

La pronuncia segue un ragionamento tecnico-giuridico complesso e ricco di riferimenti (non solo) normativi, che conducono il lettore lungo una ricostruzione dell'istituto che si muove tra le linee accidentate delle numerose (e divergenti) posizioni espresse fino ad oggi dalla dottrina e dalla giurisprudenza.

La fattispecie da cui scaturisce l'occasione per comporre la questione è rappresentata dalle contestazioni sollevate da un cliente nei confronti di un istituto bancario.

In particolare, il Tribunale aveva escluso la natura fondiaria del mutuo, in quanto concesso per un importo eccedente il limite massimo finanziabile (fissato dalla Banca d'Italia nella circolare n. 119 del 1995, in attuazione dell'art. 38, secondo comma, d.lgs. n. 385 del 1993 - TUB, nell'ottanta per cento del valore dell'immobile) e, di conseguenza, la prelazione revocabile (art. 67 legge fall.), non trovando applicazione il regime di favore per il creditore fondiario (art. 39 TUB).

La Corte d'appello richiamava, invece, l'orientamento (allora) seguito dalla Cassazione (n. 26672 del 2013 ), secondo cui la violazione dei limiti di finanziabilità del mutuo fondiario non sarebbe sanzionabile con la nullità del contratto sia perché non si tratterebbe di norma imperativa (art. 38, secondo comma, TUB) la cui violazione possa dare luogo a un'ipotesi di nullità virtuale, sia perché la suddetta disposizione non sarebbe ricompresa nella previsione di cui all'art. 117, comma 8, TUB che stabilisce la nullità dei contratti che abbiano un contenuto difforme da quello tipico determinato dalla Banca d'Italia.

Sul punto, l'ordinanza interlocutoria della Prima Sezione Civile della Corte (n. 4117 del 2022) aveva rilevato un annoso contrasto giurisprudenziale in ordine al regime dei vizi inficianti "conseguenze derivanti dal superamento, nel mutuo fondiario, dei limiti di finanziabilità", segnalando come la tesi proposta dal giudice di appello fosse stata superata dalla giurisprudenza di legittimità a partire dal 2017, quando (con la sentenza n. 17352 ) si era imposto l'opposto indirizzo che, pur confermando la non riconducibilità della suddetta violazione alla nullità stabilita dall'art. 117 TUB, aveva evidenziato che il (rispetto del) limite di finanziabilità rappresentasse un elemento essenziale del contenuto del contratto e, quindi, un limite inderogabile all'autonomia privata: ciò, in ragione della natura pubblica dell'interesse tutelato, con conseguente nullità in caso di violazione, salva la possibilità di conversione del contratto in ordinario mutuo ipotecario, in caso di sussistenza dei presupposti e su istanza della banca nel primo momento utile successivo alla rilevazione del vizio.

A sua volta, il Procuratore generale aveva escluso la configurabilità della nullità del contratto, optando per l'ipotesi di attrazione del contratto nel genus del mutuo ordinario ipotecario.

Partendo da questo quadro complessivo e piuttosto frastagliato, si incammina l'iter decisionale delle Sezioni Unite che procede lungo il delicato crinale del contrasto, connesso essenzialmente alla lettera del citato art. 38 TUB, secondo cui "Il credito fondiario ha per oggetto la concessione, da parte di banche, di finanziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili" (primo comma) e "La Banca d'Italia, in conformità delle deliberazioni del CICR, determina l'ammontare massimo dei finanziamenti, individuandolo in rapporto al valore dei beni ipotecati o al costo delle opere da eseguire sugli stessi, nonché le ipotesi in cui la presenza di precedenti iscrizioni ipotecarie non impedisce la concessione dei finanziamenti" (secondo comma).

Lo sfondo argomentativo si compone, inizialmente, della presa d'atto degli orientamenti esistenti, come richiamati dall'ordinanza di rimessione.

Secondo quello iniziale, la previsione del limite di finanziabilità non costituirebbe un'ipotesi rientrante nell'ambito applicativo dell'art. 117 TUB, perché detta norma attribuirebbe alla Banca d'Italia un potere di stabilire il contenuto di certi contratti, prevedendo clausole tipo, mentre l'art. 38 TUB conferirebbe alla stessa soltanto quello di determinare la percentuale massima del finanziamento che costituisce l'oggetto del contratto e che è quindi un elemento di per sé già tipizzato e costituente una clausola necessaria (Cass., n. 26672 del 2013).

Non potrebbe configurarsi una nullità virtuale per contrarietà a norme imperative, in difetto di espressa previsione: la violazione dell'art. 38 TUB, infatti, non inciderebbe sul sinallagma contrattuale e, dunque, non riguardando la validità dell'accordo, investirebbe esclusivamente la condotta della banca tenuta ad attenersi al limite prudenziale previsto dalla disposizione. Inoltre, "il rispetto del limite del finanziamento non risulta essere una circostanza rilevabile dal contratto, in quanto l'accertamento in proposito può avvenire solo tramite valutazioni estimatorie dell'immobile oggetto di finanziamento suscettibili di opinabilità e soggette a margini di incertezza valutativa e come tali non rilevabili dal testo del contratto".

Secondo la Corte, considerato che il limite di erogabilità è fissato anche e soprattutto in funzione della stabilità patrimoniale dell'istituto, far discendere dalla violazione di quel limite la conseguenza della nullità del mutuo e il venire meno della garanzia ipotecaria determinerebbe il "paradossale risultato di pregiudicare ancor più proprio quel valore della stabilità patrimoniale della banca che la norma intendeva proteggere".

Si è diffuso, a partire dal 2017, un opposto orientamento, che - pur escludendo la nullità testuale - ha ritenuto che la prescrizione del limite massimo di finanziabilità ex art. 38 TUB "si inserisce in ogni caso tra gli elementi essenziali perché un contratto di mutuo possa dirsi fondiario " ( sentenza n. 17352 del 2017 ; v. anche: n. 19016 del 2017 ; n. 10788 del 2022 ).

Pertanto, superato detto limite, il precetto normativo sarebbe disatteso non solo sul versante del comportamento, ma soprattutto su quello dell'oggetto del finanziamento fondiario eccessivo: in tal senso, la fissazione di un limite di finanziabilità non sarebbe confinabile nell'area del comportamento nella fase "prenegoziale" (ossia l'area della contrattazione tra banca e cliente), di talché escludere - nel caso - la nullità del relativo contratto finirebbe per mantenere intatta una causa di prelazione resa illegittima dalla violazione del precetto normativo, con l'effetto (ove intervenga la crisi dell'impresa finanziata) di minare la par conditio creditorum (art. 2741 c.c.).

Al contrario, in caso di sconfinamento, sarebbe configurabile la nullità dell'intero mutuo fondiario e l'unica modalità di recupero del contratto nullo sarebbe quella della conversione in un contratto diverso (art. 1424 c.c.), non rilevabile d'ufficio dal giudice, ma su istanza di parte da avanzare nel primo momento utile conseguente alla rilevazione del vizio.

Le Sezioni Unite, dando atto di ulteriori opinioni dissonanti rispetto alle soluzioni invalidanti il contratto (in quanto contrastanti pure con l'interesse del mutuatario, costretto a restituire immediatamente le somme prese in prestito: Cass. n. 17439 del 2019 e Cass. n. 7509 del 2022 ), si pongono contro la tesi della giurisprudenza formatasi a far data dal 2017, pur condividendone l'opzione di partenza che esclude la possibilità di configurare un'ipotesi di nullità testuale.

Da questo punto di vista, si rivela particolarmente interessante la ricostruzione generale operata dalla Corte in ordine alla verifica in concreto degli indici sintomatici dell'imperatività della norma, onde consentire al giudice di dichiarare la nullità anche nel silenzio del legislatore.

In tal senso, il ragionamento origina da un presupposto: una norma - prima di essere imperativa - dev'essere prescrittiva di un contenuto, specifico e caratterizzante, direttamente connesso al sinallagma contrattuale, che possa definirsi essenziale: la mancanza di tale elemento renderebbe nullo il contratto (ex art. 1418, primo e secondo comma, in relazione agli artt. 1343, 1345 e 1346 c.c.).

Invece, sostengono le Sezioni Unite, non sarebbe così "per le disposizioni indicative di elementi meramente specificativi, integrativi o accessori di uno dei requisiti del contratto, ovvero genericamente conformativi del modo di atteggiarsi del sinallagma in concreto, che difficilmente potrebbero assumere le sembianze di norme (imperative) di fattispecie o di struttura negoziale: è questo il caso dell'articolo 38, secondo comma, del t.u.b.".

Partendo dal superiore assunto, la Corte critica l'orientamento giurisprudenziale più recente, soffermandosi sulla norma in esame ed evidenziando come l'art. 38 TUB consti di due disposizioni (comma primo e secondo) non omogenee, essendo diversamente orientate, l'una, a stabilire direttamente e precisamente il contenuto essenziale del mutuo fondiario e, l'altra, ad assegnare alla Banca d'Italia la funzione di determinare l'ammontare massimo dei finanziamenti che, secondo criteri da definire, gli istituti potranno concedere ai clienti.

A tal riguardo, un forte elemento contrario alla valutazione della disposizione in termini di inderogabilità sarebbe rappresentato dal fatto che il limite dell'ottanta per cento sia aumentabile fino al cento per cento in presenza di garanzie integrative del mutuatario: per questa ragione, sarebbe arduo sostenere che una disposizione preveda un requisito a pena di nullità senza fornire elementi per definirlo, ogni qual volta esso non appaia di palmare comprensione, come nel caso in esame. Infatti, né la norma primaria (art. 38), né quella attuativa (con deliberazione della Banca d'Italia) contengono alcuna indicazione in ordine ai criteri di stima del valore dell'immobile.

Secondo elemento contrario sarebbe costituito dalla considerazione che "L'indicazione nel contratto di mutuo fondiario del valore del bene offerto in garanzia o del costo delle opere non assurge a requisito di forma prescritto ad substantiam, non essendo previsto come tale dalla disciplina di cui agli articoli 38 e 117 t.u.b., poiché non rientra nell'ambito delle condizioni contrattuali di carattere economico (cfr. Cass. sez. I n. 29745 del 2018)": a detta della Corte, infatti, la nullità negoziale (virtuale) "deve discendere dalla violazione di norme aventi contenuti sufficientemente specifici, precisi e individuati, non potendosi, in mancanza di tali caratteri, pretendere di applicare una sanzione, seppur di natura civilistica, tanto grave quale è la nullità del rapporto negoziale ( Cass. SU n. 8472 del 2022 ) ".

Il rischio, nel concreto, sarebbe quello di condizionare la sicurezza dei traffici e di esporre il contratto in corso a plurime incertezze collegate a eventi successivi e dipendenti dai comportamenti delle parti nella fase esecutiva (come l'inadempimento o l'insolvenza del mutuatario), tali da determinare la crisi del rapporto negoziale con l'esigenza di verificare ex post l'osservanza del limite di finanziabilità.

Le Sezioni Unite approfondiscono compiutamente tale passaggio, richiamando l'ordinanza interlocutoria e rimarcando che - in realtà - la norma, pur conferendo alla Banca d'Italia il potere di determinare la percentuale massima del finanziamento, che costituisce indubbiamente l'oggetto del contratto, non interferisce però sul contenuto del contratto "per aggiunta", cioè prevedendo un ulteriore elemento costitutivo della fattispecie contrattuale, ma solo "per specificazione", imponendo che un elemento intrinseco già presente nel contratto (cioè il suo oggetto) possegga una determinata caratteristica di tipo quantitativo, restando però del tutto invariata la struttura della fattispecie nei suoi fondamentali elementi tipizzati.

La conclusione è diretta: "Deve quindi escludersi che sia configurabile una nullità per un vizio incidente su elementi essenziali intrinseci alla fattispecie negoziale, relativi alla struttura o al contenuto del contratto".

Infatti, continua la Corte, "L'eventuale uso distorto del tipo «mutuo fondiario» (se configurabile come autonomo) postula pur sempre la verifica dell'esistenza di una norma imperativa violata - non ravvisabile nell'articolo 38, secondo comma, t.u.b. - concernente la causa (cfr. articoli 1344 e 1345 c.c.) o l'oggetto (articolo 1346 c.c.), se si vuole invalidare il contratto per illiceità di tali requisiti o elementi essenziali, al fine di neutralizzarne gli effetti, non potendosi desumere la nullità del contratto dalla mera difformità dal tipo o sottotipo contrattuale".

Né, secondo la tesi in parola, si potrebbe far riferimento - per invocare l'imperatività dell'art. 38 TUB - alla caratura dell'interesse protetto ed eventualmente leso.

In proposito, il ragionamento è netto: il legislatore è intervenuto più volte con disposizioni che hanno previsto espressamente nuove ipotesi di nullità negoziale per violazione di specifiche norme di settore (ad es., art. 117 TUB), proprio per evitare incertezze interpretative: nullità spesso rilevabili d'ufficio dal giudice nell'interesse esclusivo del cliente (art. 127, secondo comma, TUB).

In questo caso, il silenzio della legge in merito alle conseguenze del superamento del finanziamento rispetto al valore dell'immobile e alla garanzia prestata è significativo e, come rilevato dal Procuratore Generale, milita a favore dell'esclusione di una voluntas legis tendente a sanzionare con l'invalidità un finanziamento bancario con garanzia insufficiente; basti dire il mutuatario non subirebbe alcun pregiudizio, essendo l'adeguatezza della garanzia reale posta ad esclusiva tutela del finanziatore: "Non si vede, pertanto, quale interesse, non meramente strumentale, avrebbe il mutuatario ad invocare l'esondazione dal limite di finanziabilità, esondazione che, caso mai, gli giova".

Le Sezioni Unite, in una sorta di climax argomentativo, si distanziano anche dalle attenzioni rivolte in chiave critica ai privilegi sostanziali e processuali attribuiti al creditore fondiario, a fronte degli svantaggi per gli altri creditori concorrenti nelle procedure concorsuali: privilegi che risulterebbero non più giustificati per un importo eccedente il limite di finanziabilità.

Secondo i giudici, "la questione della validità o invalidità di un contratto non può dipendere dalle conseguenze sfavorevoli che si produrrebbero per gli altri creditori nella successiva procedura concorsuale, né su elementi attinenti alla garanzia accessoria (ipoteca), la quale, non solo, è una conseguenza legale del contratto valido di mutuo (rectius: del credito) fondiario, ma non v'è ragione per dubitare della validità del negozio costitutivo della garanzia stessa".

• Viene, quindi, enunciato il seguente principio di diritto:
"In tema di mutuo fondiario, il limite di finanziabilità di cui all'articolo 38, secondo comma, del d.lgs. n. 385 del 1993, non è elemento essenziale del contenuto del contratto, non trattandosi di norma determinativa del contenuto del contratto o posta a presidio della validità dello stesso, ma di un elemento meramente specificativo o integrativo dell'oggetto del contratto; non integra norma imperativa la disposizione – qual è quella con la quale il legislatore ha demandato all'Autorità di vigilanza sul sistema bancario di fissare il limite di finanziabilità nell'ambito della «vigilanza prudenziale» (cfr. articoli 51 ss. e 53 t.u.b.) – la cui violazione, se posta a fondamento della nullità (e del travolgimento) del contratto (nella specie, del mutuo ormai erogato cui dovrebbe conseguire anche il venir meno della connessa garanzia ipotecaria), potrebbe condurrebbe al risultato di pregiudicare proprio l'interesse che la norma intendeva proteggere, che è quello alla stabilità patrimoniale della banca e al contenimento dei rischi nella concessione del credito".

Le Sezioni Unite, delineato il quadro critico sulla nullità per violazione di norma imperativa, aggiungono un ulteriore passaggio argomentativo (negativo) circa il percorso alternativo della "riqualificazione del contratto alla stregua di un mutuo ipotecario ordinario": secondo l'ordinanza interlocutoria, in questo modo, il rispetto del c.d. scarto di garanzia finirebbe per incidere non sul piano della validità del contratto, ma unicamente sulla possibilità di applicare le peculiari conseguenze ricollegate dalla legge al finanziamento fondiario e, dunque, sulla possibilità per la banca di godere della relativa disciplina di favore.

Anche il Procuratore Generale, pur non condividendo la tesi della nullità contrattuale, aveva osservato come, dalla non conformità del mutuo fondiario rispetto al modello dell'art. 38 TUB, apparisse logico far discendere la non applicabilità di tutte quelle disposizioni speciali ispirate al favor verso il mutuante, con conseguente (ri)qualificazione del mutuo fondiario quale mutuo ordinario ipotecario.

Sul punto, il Collegio non condivide le proposte ricostruttive in termini di riqualificazione del mutuo, ritenendo che - una volta che si escluda la nullità del contratto per superamento del limite di finanziabilità - non sarebbe consentito all'interprete intervenire (d'ufficio) sugli effetti legali del contratto per neutralizzarli, facendo applicazione di un diverso modello negoziale (mutuo ordinario) non voluto dalle parti, seppure appartenente alla stessa famiglia o genus contrattuale.

In particolare, l'operazione di riqualificazione giuridica del contratto avrebbe come presupposto la fedele interpretazione della volontà negoziale, rinvenibile dalle dichiarazioni dei contraenti nel testo contrattuale, al solo fine di consentire ad essa di produrre gli effetti programmati, mediante l'inquadramento della fattispecie concreta nel pertinente paradigma normativo.

Analoga opera di riqualificazione non sarebbe invece consentita per correggere o integrare il regolamento di interessi validamente assunto dai contraenti secondo un determinato tipo o sottotipo negoziale per adeguarlo d'autorità a uno diverso non corrispondente alla loro volontà.

La pronuncia è chiara nell'affermare che, riqualificando il contratto, il giudice condurrebbe un'indebita manipolazione, incidendo direttamente sul regolamento di interessi convenuto tra le parti, invadendo il campo dell'autonomia privata.

• Da qui, l'enunciazione del secondo principio di diritto:
"Qualora i contraenti abbiano inteso stipulare un mutuo fondiario corrispondente al modello legale (finanziamento a medio o lungo termine concesso da una banca garantito da ipoteca di primo grado su immobili), essendo la loro volontà comune in tal senso incontestata (o, quando contestata, accertata dal giudice di merito), non è consentito al giudice riqualificare d'ufficio il contratto, al fine di neutralizzarne gli effetti legali propri del tipo o sottotipo negoziale validamente prescelto dai contraenti per ricondurlo al tipo generale di appartenenza (mutuo ordinario) o a tipi contrattuali diversi, pure in presenza di una contestazione della validità sotto il profilo del superamento del limite di finanziabilità, la quale implicitamente postula la corretta qualificazione del contratto in termini di mutuo fondiario".