Sì al fallimento anche senza risoluzione del concordato
La sentenza a Sezioni unite numero 4696 consente la declaratoria in presenza dell’insolvenza
Via libera al fallimento anche senza risolvere il concordato. Le Sezioni unite della Cassazione, con la sentenza 4696/2022, affermano che il debitore ammesso al concordato preventivo omologato, che si dimostra insolvente nel pagamento dei debiti concordatari può essere dichiarato fallito, su istanza dei creditori, del Pm o sua, anche prima e indipendentemente dalla risoluzione del concordato.
Il Supremo consesso esamina e accoglie il ricorso del curatore contro la sentenza con la quale la Corte d’Appello aveva dato ragione alla società debitrice, ammessa al concordato preventivo in continuità aziendale poi dichiarata fallita, su istanza del Pm. Un provvedimento adottato dal Tribunale che aveva considerato la Spa incapace di far fronte alle obbligazioni assunte con il concordato preventivo omologato. Decisione, ad avviso della Corte d’Appello, adottata senza porsi il problema della necessità di sciogliere prima il concordato in esecuzione come previsto dall’articolo 186 della legge fallimentare.
Un passaggio che le Sezioni unite non considerano invece obbligato, anche alla luce delle indicazioni fornite dalla Consulta (sentenza 106/2004). Il giudice delle leggi, nell’esaminare la compatibilità con la Carta dell’articolo 186 allora vigente, aveva affermato che la tesi della preclusione del fallimento in assenza di risoluzione non è imposta dalla legge, ma frutto di interpretazione che spetta al giudice. Nelle decisione pesa la considerazione della regola generale della fallibilità dell’imprenditore e la diversa finalizzazione dei due istituti - non in rapporto di specialità - essendo la risoluzione un rimedio prettamente contrattuale che non opera come condizione di fallibilità.
Il Supremo collegio nega che, nel caso esaminato, possa valere il principio dell’utilità interpretativa del Codice della Crisi anche se non in vigore. Un criterio applicabile solo quando c’è continuità tra i due regimi, cosa che nello specifico non è, visto il carattere innovativo del Codice sul punto. L’articolo 119, comma 7 prevede che il Tribunale possa dichiarare aperta la liquidazione giudiziale solo dopo la risoluzione del concordato, a meno che lo stato di insolvenza non sia la conseguenza di debiti sorti dopo il deposito della domanda di apertura del concordato preventivo. Evidente l’assenza di continuità a cominciare dalla rilevante novità introdotta dall’articolo 119 del Codice che legittima ad agire per la risoluzione il commissario giudiziale su richiesta del creditore. Un ruolo giocato nella fase esecutiva del concordato, considerato necessario per dare una svolta all’attuale stato di cose in cui la risoluzione viene percepita dai creditori come rimedio giudiziale inutilmente defatigante e dispendioso.