Amministrativo

Sindacati legittimati ad agire in class action

Negare ai sindacati la legittimazione ad agire nella class action è in contrasto con la ratio della legge. Il ministero della Giustizia “abilitando” solo gli enti del terzo settore ha fatto una scelta irragionevole

immagine non disponibile

di Patrizia Maciocchi

Negare ai sindacati la legittimazione ad agire nella class action è in contrasto con la ratio della legge. Il ministero della Giustizia “abilitando” solo gli enti del terzo settore ha fatto una scelta irragionevole. Con questa motivazione il Tar Lazio (sentenza 10653/2023) ha accolto due ricorsi proposti dalla Cgil-Confederazione generale italiana del lavoro e da Usb-Unione sindacale di base. EntrambI contestavano il decreto 27/2022 con il quale via Arenula ha riservato le “azioni di classe” agli Enti del terzo settore, negando la stessa possibilità alle organizzazioni sindacali.

Una scelta adottata nella discrezionalità regolamentare, che mette in atto una ingiustificata disparità di trattamento ed entra in rotta di collisione con la ratio del legislatore. La legge 31/2019 ha, infatti, riformato l’azione di classe, con il chiaro obiettivo di estenderne la portata. Fine dimostrato anche dal fatto che la class action è stata “traghettata” dal codice del consumo al codice di rito civile (articolo 840-bis e seguenti ). Il nuovo articolato - sottolinea il Tar - disciplina un’azione giurisdizionale tipica per tutelare interessi individuali, prevedendo una particolare legittimazione per le «organizzazioni o associazioni senza scopo di lucro». Queste possono, infatti, agire «nei confronti dell’autore della condotta lesiva per l’accertamento della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni».

Per questo serve però una speciale abilitazione che passa per l’iscrizione nell’elenco pubblico. Nato - ragionevolmente - per circoscrivere gli enti esponenziali che possono invocare la tutela collettiva, e per evitare giudizi promossi da “scatole vuote” con il solo fine emulativo. Decisamente meno ragionevole è stato, invece, subordinare l’iscrizione all’obbligo per l’ente «di operare la raccolta delle fonti di finanziamento» con le modalità stabilite dal Codice del terzo settore. Condizione che ha escluso le organizzazioni sindacali che non sono enti del Terzo settore.

L’insanabile contrasto con la norma primaria emerge anche dall’esame degli atti parlamentari, nei quali non c’è nulla che colleghi la legittimazione agli enti del Terzo settore. Il riferimento è alle organizzazioni e alle associazioni.

I giudici valorizzano poi la vocazione storica del sindacato, nato per esercitare «iniziative collettive a difesa della “classe” dei lavoratori. Vale l’esempio della contrattazione collettiva. E dunque precludere «a tale soggetto la tutela giurisdizionale, anch’essa collettiva, appare antitetico con la generalità del rimedio disciplinato dal legislatore».

A ulteriore dimostrazione della incoerenza dell’esclusione, il fatto che nel pubblico elenco sono iscritte le associazioni dei consumatori comprese nell’elenco tenuto dal ministero delle Imprese e del Made in Italy. Elenco nel quale si entra senza appartenere al Terzo settore.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©