Famiglia

Sindrome da alienazione parentale, «PAS»: persistono i dubbi della Cassazione

La Suprema corte ha confermato un orientamento già emerso in recenti pronunce

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di Francesca Magnani e Maddalena Valli

La sindrome da alienazione parentale ha un «controverso fondamento scientifico», essendo essa «oggetto di plurime critiche e perplessità da parte del mondo accademico internazionale». Si deve escludere, inoltre, «la possibilità, in ambito giudiziario, di adottare soluzioni prive del necessario conforto scientifico e potenzialmente produttive di danni ancor più gravi di quelli che intendono scongiurare». Questo, quanto espresso dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 13.217 del 17 maggio 2021, tornado sul dibattuto tema della sindrome da alienazione parentale (cosiddettà PAS, parental alienation syndrome).

La discussa attendibilità della Pas

La PAS è una patologia -di discussa attendibilità scientifica- che porterebbe, in un contesto di separazione conflittuale o di asserita violenza domestica, il genitore collocatario o vittima dei presunti abusi a costanti comportamenti di estraneazione morale e materiale dei figli minori dall’altro genitore. Una assunta patologia, sulla base del cui accertamento peritale alcuni giudici di merito hanno revocato l’affido al genitore (di solito la madre) c.d. “malevolo” e disposto un super-affido esclusivo in capo all’altro genitore.

Storicamente, la proposta di inserire la PAS tra i disturbi mentali è nata negli Stati Uniti ad iniziativa di William Bernet, ma l’ampio dibattito sul tema ha portato la maggioranza della comunità scientifica internazionale a non riconoscerla quale patologia. In Europa essa è apparsa unicamente in alcune sentenze del 2010 e del 2011 della Corte europea dei diritti dell'uomo. In Italia continua ad essere utilizzata a fondamento di diverse pronunce di affido dei giudici di merito, nonostante le ampie voci critiche nel mondo scientifico ed un orientamento della Cassazione che ha più volte dato eco ai dubbi sulla validità e affidabilità scientifica della PAS.

La conferma dell'orientamento critico

La Suprema Corte, con l’ordinanza del 17 maggio, ha confermato dunque l’orientamento critico nei confronti del riconoscimento come patologia clinica, e specificamente come disturbo mentale, della PAS (chiamata anche “sindrome della madre malevola”); la quale è sotto accusa altresì per il dubbio che un concetto così etereo possa essere strumentalizzato nell’ambito delle battaglie legali tra i genitori per l’affido della prole.

La Cassazione dunque, confermando un orientamento già emerso in recenti pronunce (da ultima, Cassazione Civile n. 13.274 del 16 maggio 2019), ha espresso sul tema due principi fondamentali.

In primo luogo, posto che l’accertamento peritale della PAS presenta -per quanto sopra- “devianze dalla scienza medica ufficiale”, il giudice di merito non potrà limitarsi ad aderire alle conclusioni della CTU ove essa sia stata oggetto di specifiche censure, ma dovrà verificarne il fondamento “sulla base delle proprie cognizioni scientifiche, ovvero avvalendosi di idonei esperti e ricorrendo anche alla comparazione statistica per casi clinici”, e comunque utilizzando i comuni mezzi di prova: nello specifico, dovrà accertare concreti comportamenti “condizionanti”, a prescindere sia da un giudizio astratto sulla validità scientifica o meno della patologia sia da rilievi critici astratti sulla condotta del genitore.

In secondo luogo, il giudice dovrà ricordare che in materia di affido dei minori il principio fondamentale è quello dell’ esclusivo interesse morale e materiale della prole . Con la conseguenza che, anche in caso di un accertamento in concreto di una condotta “alienante” (ravvisabile in alcuni casi di forti asperità caratteriali del genitore collocatario, o di un suo comportamento altamente conflittuale nei confronti dell’altro genitore o respingente nei confronti dei consulenti tecnici o dello stesso processo), il giudizio dovrà fondarsi sulle ritenute capacità di accudimento della prole in capo al genitore. E che quindi dovrà escludersi il cosiddetto“super-affido” esclusivo all’altro genitore ove il genitore (dalla pur accertata condotta “alienante”) appaia idoneo ad accudire, istruire ed educare il figlio, e questo in nome del principio della bigenitorialità, inteso come declinazione di quell’esclusivo interesse morale e materiale della prole che deve essere il faro per una pronuncia d’affido.

A corollario di queste regole processuali e sostanziali ve n’è una terza, il cui rilievo fondamentale -a pena di nullità della sentenza- è stato espresso dalla Cassazione Civile con la sentenza n. 13.274 del 2019. L’ascolto diretto del minore da parte del giudice di merito, finalizzato non soltanto al concreto accertamento del comportamento “alienante” denunziato ma anche ed in primis all’indagine dell’esclusivo interesse morale e materiale del fanciullo, è un adempimento necessario nelle procedure giudiziarie che lo riguardano, e questo a prescindere da un eventuale ascolto già delegato ai consulenti tecnici. Ciò che implica che il giudice, ove non ascolti direttamente il minore (in primis ove già dodicenne), debba adeguatamente motivare il mancato ascolto come superfluo o come contrario al suo interesse, pena la nullità dell’intera pronuncia sull’affido.

La pronuncia in commento e quella del 2019 cui essa fa seguito appaiono dunque come un concreto vademecum per i giudici di merito chiamati a decidere su casi di PAS, denunziata ed accertata mediante CTU.

Un vademecum che servirà, nella sostanza, ad evitare la strumentalizzazione da parte dei genitori di questa discussa patologia e le conseguenti possibili distorsioni delle “soluzioni giudiziarie”. Il tutto nell’evidente interesse della vera parte debole dei procedimenti di affido, ovvero i figli.

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