Situazione carceraria in Italia: una riflessione sulla tutela Costituzionale e dei Diritti Umani
Affrontare la situazione carceraria richiede riforme significative. Investimenti nelle strutture, implementazione di programmi di reinserimento efficaci e riduzione del sovraffollamento sono passi fondamentali
L’articolo esplora la complessa situazione penitenziaria in Italia, focalizzandosi su come preservare i principi costituzionali e della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Vengono evidenziate le soluzioni già implementate dal sistema, considerando il rispetto per vittime e detenuti.
Un elemento centrale che richiede attenzione immediata è il problema del sovraffollamento. Il sovraffollamento genera tensioni all’interno delle strutture, alimenta la violenza tra detenuti emette a dura prova il personale penitenziario, minando l’efficacia del sistema nel suo complesso.
Sorgono preoccupazioni sulle condizioni carcerarie, con segnalazioni di strutture obsolete, scarsa igiene, e carenze nella fornitura di cibo e assistenza medica. Queste condizioni possono influire negativamente sulla salute fisica e mentale dei detenuti, complicando il processo di riabilitazione e reinserimento sociale.
La mancanza di investimenti nelle infrastrutture e nelle risorse umane compromette la capacità del sistema carcerario di rispondere adeguatamente alle necessità dei detenuti e di assicurare un ambiente detentivo rispettoso dei principi di dignità e diritti umani.
Tutela art 27 III comma della Costituzione
Un elemento chiave nella riflessione sulla situazione carceraria in Italia è la tutela costituzionale garantita a ciascun individuo, anche quando si trova privo della libertà.
La Costituzione, nell’articolo 27 comma terzo, stabilisce che le pene devono rispettare la dignità delle persone, vietando trattamenti inumani, e devono mirare alla rieducazione del condannato.
Inoltre, l’articolo 27 Cost. tutela il detenuto dalla tortura e da trattamenti inumani o degradanti. La Costituzione italiana, quindi, sottolinea il concetto di rieducazione e riforma come scopo della pena.
I detenuti hanno il diritto di essere trattati con rispetto e devono essere fornite opportunità concrete di rieducazione durante la detenzione. Questo aspetto è essenziale non solo per il benessere dei detenuti, ma anche per la costruzione di una società che promuove il reinserimento e la riduzione della recidiva.
In sintesi, la tutela dell’articolo 27 è fondamentale per assicurare che i diritti e la dignità dei detenuti siano protetti anche durante il periodo di detenzione. Un sistema carcerario che rispetta questa tutela costituzionale contribuisce non solo al benessere dei detenuti, ma anche al mantenimento dei principi fondamentali di giustizia e diritti umani nella società.
Tutela art 3 convenzione europea diritti dell’uomo
L’Articolo 3 della Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo (CEDU) costituisce una pietra miliare nel quadro normativo internazionale, offrendo un’impronta normativa di primaria importanza in materia di diritti umani. La disposizione in questione stabilisce inequivocabilmente il divieto di tortura, trattamenti inumani o degradanti, sottolineando il principio irrinunciabile della dignità umana.
In primo luogo, l’Articolo 3 della CEDU impone un obbligo positivo agli Stati membri di adottare misure atte a prevenire qualsiasi forma di trattamento disumano o degradante.
La Corte, attraverso una serie di sentenze, ha sviluppato una giurisprudenza che affina e specifica le modalità di interpretazione e applicazione dell’Articolo 3, fungendo da custode dei principi sanciti dalla Convenzione.
Inoltre, va sottolineato il carattere assoluto e inderogabile dell’Articolo 3. Assume una prospettiva universale, abbracciando l’essenza intrinseca della dignità umana quale principio guida incontestabile.
La Corte europea dei diritti umani, con la sentenza Torreggiani ha condannato l’Italia per laviolazione dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti umani (CEDU). È stata definita dagli stessi giudici come “ sentenza pilota ”, ha affrontato il problema strutturale del disfunzionamento del sistema penitenziario italiano.
I giudici di Strasburgo affermano che la carcerazione non priva il detenuto dei diritti garantiti dalla Convenzione, ma in alcuni casi richiede una maggiore tutela data la vulnerabilità e la totale dipendenza dallo Stato da parte di queste persone. L’articolo 3 impone alle autorità l’obbligo di assicurare che le condizioni di detenzione rispettino la dignità umana, evitando disagi e sofferenze e garantendo adeguatamente salute e benessere del detenuto.
In conclusione, la tutela garantita dall’Articolo 3 della CEDU riveste una rilevanza critica nell’ambito dell’ordine giuridico europeo, contribuendo in modo sostanziale alla salvaguardia e alla promozione dei diritti umani.
Tutela prevista nel nostro ordinamento penitenziario
Il D.l. 26 giugno 2014 n. 92 ha inserito nell’ordinamento penitenziario l’articolo 35-ter, che prevede compensazioni per i detenuti e gli internati vittime di trattamenti in violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo.
Coloro che hanno subito un trattamento non conforme ai criteri stabiliti dalla Convenzione per un periodo di tempo non inferiore a quindici giorni possono ottenere, a titolo di risarcimento del danno, la riduzione della pena detentiva ancora da espiare pari ad un giorno per ogni dieci durante i quali è avvenuta la violazione del loro diritto.
I soggetti che hanno espiato una pena inferiore ai quindici giorni e coloro che non si trovano più in stato di detenzione (o la cui pena ancora da espiare non consente la detrazione per intero del beneficio appena descritto), invece, hanno diritto ad un risarcimento pari ad 8,00 euro per ciascun giorno di detenzione trascorsa nelle suddette condizioni.
La Corte europea dei diritti dell’uomo individua in proposito oltre allo spazio disponibile per ogni singola persona detenuta o internata altri indicatori:
- impossibilità di utilizzare la toilette in modo privato, l’areazione, l’accesso alla luce e all’aria naturali, la qualità del riscaldamento e il rispetto delle regole sanitarie di base.
Il reclamo può essere presentato dal detenuto o dall’avvocato munito di procura speciale.
• La persona detenuta o internata deve presentare assieme al reclamo giurisdizionale per condotta illecita dell’amministrazione al magistrato di sorveglianza che ha giurisdizione sull’istituto di pena dove l’interessato è detenuto o internato la richiesta di rimedio risarcitorio.
• La persona non più detenuta o internata o che ha finito di espiare la pena detentiva in carcere o la custodia cautelare non computabile nella determinazione della pena da espiare, deve presentare la richiesta di rimedio risarcitorio al tribunale del capoluogo del distretto nel cui territorio ha la residenza entro sei mesi dal termine della detenzione o della custodia cautelare in carcere.
Il risarcimento consiste in:
• uno sconto di pena pari a un giorno di detenzione per ogni 10 giorni trascorsi in condizioni inumane se queste si sono protratte per almeno 15 giorni
• la somma di € 8,00 per ogni giorno vissuto in condizioni inumane qualora il fine pena è tale da non consentire la detrazione dell’intero periodo vissuto in condizioni inumane
• la somma di € 8 ,00 se il periodo di detenzione espiato in condizioni non conformi ai criteri di cui all’art. 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo sia stato inferiore a 15 giorni
• la somma di € 8,00 per ogni giorno vissuto in condizioni inumane per la persona ex detenutao ex internata.
Ci sono inoltre delle situazioni in cui i detenuti potrebbero espiare la pena in modo alternativo al carcere.
Infatti, il nostro ordinamento prevede, dopo un certo periodo in cui i rei sono stati in reclusi e dopo un percorso di reinserimento nella società in modo concreto grazie all’ausilio degli educatori e psicologi, la possibilità di fare domanda con l’assistenza di legali qualificati per usufruire di tutti quegli strumenti alternativi al carcere.
Tali misure possono essere adottate per riabilitare i condannati e limitare la presenza nelle case circondariali ai soggetti più pericolosi e quindi rispettare i dettami internazionali. Alcune di queste misure includono: arresti domiciliari, servizi alla comunità, libertà vigilata, programmi di trattamento, mediazione, pene pecuniarie, programmi di formazione e istruzione, cure riabilitative e sospensione della pena.
Queste alternative sono spesso da adottare per situazioni in cui la detenzione potrebbe non essere la soluzione più efficace o appropriata per il recupero del condannato o per la sicurezza della società.
Conclusioni
Affrontare la situazione carceraria richiede riforme significative. Investimenti nelle strutture, l’implementazione di programmi di reinserimento efficaci e la riduzione del sovraffollamento sono passi fondamentali.
È necessario rafforzare la cooperazione tra organizzazioni governative e non governative per affrontare le criticità del sistema penitenziario. La tutela costituzionale e dei diritti umani nelle carceri italiane è un imperativo morale e legale.
Le misure alternative al carcere sono spesso considerate più flessibili e mirate a rispondere alle specifiche esigenze dei condannati, promuovendo al contempo la sicurezza della società e la riabilitazione.
È necessaria una revisione completa delle politiche penitenziarie, concentrata su misure di rieducazione per evitare il sovraffollamento, migliorare le condizioni detentive e promuovere programmi di riabilitazione efficaci. Solo un impegno deciso in queste aree può portare a un sistema carcerario italiano che rispetti appieno la dignità umana e tuteli i diritti costituzionali e umani dei detenuti.
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*A cura degli Avv.ti Virgilia Burlacu e Massimo Bianca
Femminicidio e Patriarcato nell’ambito della violenza di genere
di Vincenzo Lusa e Matteo Borrini*