Civile

Società: le dimissioni per giusta causa non salvano il sindaco dalla responsabilità

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di Patrizia Maciocchi


Le dimissioni non salvano i sindaci della società fallita dalla responsabilità, se non sono accompagnate da atti concreti per contrastare la cattiva gestione che ha portato la compagine al tracollo. A questo scopo non basta la denuncia della cattiva gestione all'assemblea se questa è sotto l'influenza dell'amministartore infedele, ma serve la denuncia la Pm.
La Corte di cassazione, con la sentenza 32397, respinge il ricorso dei sindaci condannati a pagare in solido oltre 2 milioni di euro, per la violazione degli obblighi di controllo e di vigilanza e per non aver esercitato i poteri sostitutivi per salvaguardare gli interessi dei soci e dei creditori. “Colpe” che i ricorrenti ritenevano di non avere, avendo segnalato la cattiva gestione degli amministratori ed essendosi dimessi per giusta causa, prima del danno accertato dalla Corte d'appello che superava il tetto dei 2 milioni di euro quantificato sul depauperamenti del patrimonio sociale. Né sarebbe, ad avviso della difesa, applicabile ai sindaci l'istituto della prorogatio (articolo 2385 del Codice civile) anche in virtù della previsione, per l'organo di controllo, della figura dei componenti supplenti. Nello specifico la società, una volta ricevuta la comunicazione del passo indietro dei componenti del collegio sindacale, non aveva comunicato nulla ai supplenti, lasciando di fatto la compagine priva di un organo di controllo. In questo quadro niente di quanto era avvenuto successivamente alla cessazione della qualifica poteva essere addebitato ai dimissionari. I sindaci possono, infatti, sempre secondo la difesa, lasciare il loro incarico in qualunque momento, con immediata efficacia della rinuncia non appena questa è nota agli amministratori: una previsione rafforzata in presenza di giusta causa.
La Cassazione non è d'accordo. I giudici sottolineano il dovere dei sindaci, già prima della riforma del 2003, di denunciare le irregolarità al Pm quando i rimedi endosocietari non bastano ad arginare le condotte illegali dell'amministratore. Nel caso specifico i sindaci erano consapevoli del fatto che le vie interne erano inadeguate, tanto da dimettersi perché consapevoli che le denunce all'assemblea, appiattita sull'amministratore infedele, non avrebbero avuto alcun effetto. Per questo la loro scelta, obbligata, doveva essere la denuncia delle irregolarità al Pm. Il risarcimento è dovuto perché le dimissioni, considerate dalla Cassazione “pilatesche” ed equivalenti all'inerzia, non potevano essere date senza aver prima assolto agli obblighi di legge.

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