Spese condominiali senza preventiva approvazione, ammessa una delibera successiva
In relazione alle spese di manutenzione ordinaria o straordinaria delle cose comuni, che l'amministratore del condominio abbia effettuato senza preventiva approvazione del relativo progetto, deve sempre ritenersi consentito all'assemblea di approvare successivamente le spese medesime, disponendone il rimborso, trattandosi di delibera comune riconducibile fra le attribuzioni conferitele dall'articolo 1135 del Cc. Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza n. 10865 del 25 maggio 2016.
Pertanto, proseguono i supremi giudici, è consentito all'assemblea, in presenza di spese di manutenzione derivanti da un incarico conferito dall'amministratore a un professionista, l'adozione di una delibera in cui si chieda conto dell'operato del tecnico e si richieda una riduzione del compenso da questo stesso preteso.
Sui contratti conclusi dall'amministratore - La Cassazione ha di nuovo ribadito che i contratti conclusi dall'amministratore nell'esercizio delle sue funzioni e inerenti alla manutenzione ordinaria dell'edificio e ai servizi comuni essenziali, ovvero all'uso normale delle cose comuni, sono vincolanti per tutti i condomini in forza dell'articolo 1131 del Cc, nel senso che giustificano il loro obbligo di contribuire alle spese, senza necessità di alcuna preventiva approvazione assembleare delle stesse, intervenendo poi tale approvazione utilmente in sede di consuntivo.
Mentre, soltanto quando si verta in ipotesi di spese che, seppure dirette alla migliore utilizzazione di cose comuni o imposte da sopravvenienze normative, comportino per la loro particolarità e consistenza un onere economico rilevante, superiore a quello normalmente inerente alla gestione, l'iniziativa contrattuale dello stesso amministratore, senza la preventiva deliberazione dell'assemblea, non è sufficiente a fondare l'obbligo dei singoli condomini, salvo che non ricorra il presupposto dell'urgenza contemplato nella fattispecie di cui all'articolo 1135, comma 2, del Cc.
Corte di cassazione – Sezione II civile – Sentenza 25 maggio 2016 n. 10865