Amministrativo

Stipendi magistrati, il Consiglio di Stato boccia il Dpcm del 2021 sugli adeguamenti

Per Palazzo Spada, (sentenze n. 6003 e 6004) il decreto non considera tutte le componenti delle retribuzioni

di Francesco Machina Grifeo

La Settima Sezione del Consiglio di Stato, con le sentenze nn. 6003 e 6004 depositate oggi, ha accolto il ricorso proposto da alcuni magistrati ordinari e dall’Associazione Nazionale Magistrati ed ha accertato la parziale illegittimità del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 6 agosto 2021, riguardante le modalità di calcolo dell’adeguamento triennale (per gli anni 2018-2020) del trattamento economico spettante ai magistrati ordinari, amministrativi e contabili.

Le sentenze hanno ritenuto che la Presidenza del Consiglio avrebbe dovuto considerare – quali basi di calcolo - tutte le componenti delle retribuzioni spettanti ai lavoratori pubblici, e non solo quella stipendiale, ed ha disposto che, sino all’emanazione dell’ulteriore provvedimento, sia applicato il precedente decreto.

La decisione ribalta la precedente decisione del Tar che invece aveva respinto il ricorso. Secondo i magistrati ricorrenti, tra i quali figura anche l’ex presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia, il Dpcm ha arbitrariamente escluso dal calcolo gli aumenti derivanti da rinnovi contrattuali riconosciuti nel triennio e le indennità per missioni e servizi all’estero. Inoltre, anziché basarsi sulla “media aritmetica” degli incrementi per categoria realizzati nel triennio, come imposto dalla legge, ha applicato erroneamente, una “media ponderata”, definita in base alla consistenza numerica di ciascuna categoria del pubblico impiego. Infine, ha del pari illegittimamente escluso dal calcolo gli aumenti del personale dipendente pubblico non contrattualizzato.

Ragioni condivise da Palazzo Spada secondo cui sono riconducibili alla nozione di trattamento economico tutte le somme corrisposte al dipendente pubblico, ancorché prive della funzione direttamente e immediatamente remuneratoria della prestazione lavorativa svolta, tipica della retribuzione intesa in senso stretto. In questo senso, la determinazione adottata dall’amministrazione, che ha escluso dal calcolo le indennità di missione o di servizio all’estero, che compongono il trattamento economico complessivo dei dipendenti pubblici, si pone in evidente contrasto con la legge. Parimenti errata risulta l’esclusione degli arretrati corrisposti nel triennio dalla rilevazione degli incrementi del trattamento economico. Per il Cds dunque “non è condivisibile l’opposta conclusione cui è pervenuto il TAR”.

La sentenza impugnata, prosegue la decisione, risulta errata anche nella parte in cui ha reputato conforme alla normativa di legge anche l’applicazione del criterio della media ponderata degli incrementi retributivi del pubblico impiego. Il dato normativo prescrive, invece, di utilizzare come base di calcolo l’incremento medio delle categorie contrattuali e di applicare la media aritmetica tra categorie (intese come unità statistiche), senza poter riconoscere un peso al numero dei dipendenti della categoria.

L’incremento del trattamento economico fatto registrare all’interno di ciascuna categoria nel triennio va dunque calcolato a prescindere dai benefici individuali, ovvero dagli incrementi conseguiti dal singolo (pro capite) in ragione del suo inquadramento e quindi della sua collocazione all’interno delle carriere della complessiva categoria. Il dato medio così ottenuto per ciascuna categoria va poi considerato al pari delle altre, per cui la media tra categorie è aritmetica e non già ponderata in base alla rispettiva consistenza numerica.

Infine, prosegue il Collegio, la sentenza del Tar “erra palesemente” nel sostenere che la normativa abbia rimesso all’ISTAT il potere di svolgere una propria «valutazione tecnico-statistica» delle categorie da includere nel computo degli incrementi, al punto da potere «benissimo non prendere in considerazione alcune categorie del pubblico impiego», purché sulla base di scelte ragionevoli.

Il ricorso è stato dunque accolto e la pubblica amministrazione, dovrà riformulare i conteggi degli incrementi stipendiali. Nelle more, i provvedimenti impugnati continuano ad esplicare interamente i loro effetti giuridici ed economici. Pertanto: non sono ripetibili gli emolumenti già corrisposti, sui quali dovranno essere erogati successivamente i conguagli derivanti dall’eventuale variazione in aumento per effetto dei riconteggi; fino all’adozione dei nuovi provvedimenti che determineranno la corretta misura dell’adeguamento triennale, conserva efficacia l’impugnato DPCM.

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