Civile

Sui contributi “salati” per i permessi di soggiorno previsto il rimborso

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di Giuseppe Buffone


Sugli alti contributi per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno i cittadini stranieri possono chiedere un rimborso. Lo ha stabilito il foro di Milano con l'ordinanza dello scorso 9 luglio. Il tribunale nel motivare la sua decisone ha spiegato che il problema risiede nella legge italiana che ha introdotto, in contrasto con il diritto comunitario, una disparità di trattamento del cittadino straniero rispetto al cittadino italiano, alla luce della sentenza della Corte di giustizia Ue del 2 settembre 2015.

Contributo per il rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno - Come noto, possono soggiornare nel territorio dello Stato italiano gli stranieri entrati regolarmente che siano muniti di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno in corso di validità, o che siano in possesso di permesso di soggiorno o titolo equipollente rilasciato dalla competente autorità di uno Stato appartenente all'Unione europea, nei limiti ed alle condizioni previsti da specifici accordi. Il titolo che abilita il soggiorno è, salvo i casi di permesso illimitato, sottoposto a scadenza che richiede un periodico rinnovo. La richiesta di rilascio e di rinnovo del permesso di soggiorno è sottoposta al versamento di un contributo, il cui importo è fissato fra un minimo di 80 e un massimo di 200 euro con decreto del Ministro dell'Economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell'Interno, che stabilisce altresì le modalità del versamento (articolo 5, comma 2-ter, del Dlgs n. 286 del 1998, così introdotto dall'articolo 1, comma 22, lettera b della legge 15 luglio 2009 n. 94).

Non è richiesto il versamento del contributo per il rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno per asilo, per richiesta di asilo, per protezione sussidiaria, per motivi umanitari.

La normativa sin qui illustrata prevede, quindi, un versamento in denaro a favore della pubblica amministrazione per ottenere un determinato vantaggio che riconosce l'ente pubblico (così inquadrandosi il cennato versamento nell'ambito dei «contributi» piuttosto che delle tasse). Una parte del gettito conseguito attraverso la riscossione del contributo di cui al cennato articolo 5 comma 2-ter, confluisce nel Fondo rimpatri finalizzato a finanziare le spese per il rimpatrio degli stranieri verso i Paesi di origine ovvero di provenienza (articolo 14-bis, del Dlgs n. 286 del 1998). Il ministero dell'Interno ha regolato il contributo in questione con decreto del 6 ottobre 2011, pubblicato sulla “Gazzetta Ufficiale” n. 304 del 31 dicembre 2011.

Nello specifico il decreto fissa gli oneri contributivi nel modo seguente:
a) Euro 80,00 per i permessi di soggiorno di durata superiore a tre mesi e inferiore o pari a un anno;
b) Euro 100,00 per i permessi di soggiorno di durata superiore a un anno e inferiore o pari a due anni;
c) Euro 200,00 per il rilascio del permesso di soggiorno Ce per soggiornanti di lungo periodo e per i richiedenti il permesso di soggiorno ai sensi dell'articolo 27, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 e successive modificazioni e integrazioni.

Euro-incompatibilità del contributo a carico degli stranieri - Con la regolamentazione enucleata nell'articolo 5, comma 2-ter, del Dlgs 286/1998, il Legislatore ha marcato profondamente la differenza tra cittadino italiano e straniero al cospetto della erogazione di un medesimo servizio, se non altro comparandone i costi: infatti, il rilascio della carta d'identità in favore del cittadino italiano è soggetto (in tutti i casi) al pagamento di un contributo di € 5,42. In caso di duplicato il costo è di € 10,59. In presenza di una asimmetria del genere, il Tar Lazio, con ordinanza 20 maggio 2014 n. 5290 ha dubitato della euro-compatibilità del decreto ministeriale, optando per un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia Ue e sottoponendo all'uopo il seguente quesito: se i principi fissati dalla Direttiva del Consiglio 2003/109/Ce e successive modifiche e integrazioni, ostino a una normativa nazionale, quale quella delineata dall'articolo 5, comma 2-ter , del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 nella parte in cui prescrive che la richiesta di rilascio e di rinnovo del permesso di soggiorno è sottoposta al versamento di un contributo, il cui importo è fissato fra un minimo di 80 e un massimo di 200 euro con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell'interno, che stabilisce altresì le modalità del versamento (…)”, fissando in tal modo un importo minimo del contributo pari ad 8 volte circa il costo per il rilascio di una carta d'identità nazionale.

La Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha accolto favorevolmente la richiesta di soccorso ermeneutico formulata dal tribunale amministrativo laziale e offerto soluzione al quesito sottoposto con sentenza del 2 settembre 2015 (sezione II, causa C-309/14, Cgil e Inca contro ministero dell’Interno), enunciando il seguente principio: «la direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, come modificata dalla direttiva 2011/51/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 maggio 2011, osta ad una normativa nazionale, come quella controversa nel procedimento principale, che impone ai cittadini di paesi terzi che chiedono il rilascio o il rinnovo di un permesso di soggiorno nello Stato membro considerato di pagare un contributo di importo variabile tra EUR 80 e EUR 200, in quanto siffatto contributo è sproporzionato rispetto alla finalità perseguita dalla direttiva ed è atto a creare un ostacolo all'esercizio dei diritti conferiti da quest'ultima».

Ad avviso della Corte di Lussemburgo, contributi sproporzionati ed esosi a carico degli stranieri compromettono l'obiettivo principale della Direttiva 2003/109 che è l'integrazione dei cittadini di paesi terzi stabilitisi a titolo duraturo negli Stati membri.

Per effetto della pronuncia della Corte di Giustizia, il Tar Lazio, con sentenza 24 maggio 2016 n. 6095, ha annullato il decreto del Ministero degli Interni del 6 ottobre 2011, nella parte in cui introduce un contributo esoso a carico dello straniero per il conseguimento del permesso di soggiorno vuoi per periodi brevi, vuoi per periodi lunghi (articoli 1, commi 1 e 2, 3 in quanto esplicitano e/o presuppongono direttamente la rilevata radicale illegittimità dell'istituzione del contributo). Al contempo, il Tar Lazio ha ritenuto necessario procedere alla disapplicazione della normativa nazionale che impone ai cittadini di paesi terzi che chiedono il rilascio o il rinnovo di un permesso di soggiorno nello Stato membro considerato di pagare un contributo di importo variabile tra EUR 80 e EUR 200, e quindi, in particolare, dell'articolo 5, comma 2 -ter del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286, nonché del successivo articolo 14 -bis, comma 2, nelle sole parti in cui esso richiama tale ultima disposizione, per contrasto con la normativa di fonte comunitaria.

Discriminazione dello straniero e restituzione del contributo - Nonostante il movimento tellurico giurisprudenziale di cui si è detto, il Legislatore non ha, però, a oggi, rimosso o riscritto il su indicato articolo 5, comma II-ter ,del Dlgs n. 286 del 1998: soprattutto, nemmeno ha preso posizione con riguardo alle somme già versate. A fronte di questa inerzia legislativa, in tempi recenti, con pronuncia inedita (e probabilmente “pilota”), il tribunale di Milano ha giudicato discriminatorio il comportamento dello Stato che esiga (o abbia preteso in passato) dallo straniero il contributo ex lege n. 286 del 1998; appurato il carattere discriminatorio della riscossione, il tribunale di Milano ha anche individuato lo strumento per rimuoverla: restituire gli importi versati, nella parte in cui indebiti. Secondo l'ufficio milanese (estensore giudice Martina Flamini), la legge italiana (e, in particolare, il Dm, adottato a norma degli articoli 5, comma 2-ter, e 14-bis del decreto legislativo n. 286/1998) ha introdotto, in contrasto con il diritto comunitario, una disparità di trattamento del cittadino straniero rispetto al cittadino italiano, alla luce della sentenza della Corte di Giustizia Ue del 2 settembre 2015.

I cittadini stranieri sono stati discriminati per motivi di nazionalità atteso che gli stessi – in quanto stranieri richiedenti il rinnovo del permesso di soggiorno –, per ottenere il permesso di soggiorno, sono costretti a pagare una somma notevolmente superiore a quella pagata dagli italiani per usufruire di prestazioni dal contenuto analogo. La discriminazione per motivi di nazionalità opera in ragione del mero rilievo del trattamento deteriore riservato allo straniero quale effetto della sua appartenenza a una nazionalità diversa da quella italiana.

La discriminazione può essere rimossa accogliendo la domanda di restituzione degli importi versati, con riferimento alla differenza tra l'importo previsto per il permesso di soggiorno elettronico, pari ad euro 27,50 (cfr. punti 9-13 della sentenza del 2.9.2015 della Corte di Giustizia) e quello versato dallo straniero.

Tribunale Milano - Sezione I civile - Ordinanza 8 luglio 2016

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