Il CommentoPenale

Sui rapporti tra procedura fallimentare e sequestro preventivo finalizzato alla confisca

La Suprema Corte torna a fornire importanti precisazioni sulla possibilità di disporre – in tema di reati tributari - il sequestro preventivo finalizzato alla confisca dei beni del fallimento ex art. 12 bis D.Lgs. 74/2000, in un momento successivo alla dichiarazione di fallimento della società.

di Mattia Miglio, Andrea Scarpellini e Marco Gentile*

Con la sentenza che qui si commenta ( Cassazione 3575/2022 ), la Suprema Corte torna a fornire importanti precisazioni sulla possibilità di disporre – in tema di reati tributari - il sequestro preventivo finalizzato alla confisca dei beni del fallimento ex art. 12 bis D.Lgs. 74/2000, in un momento successivo alla dichiarazione di fallimento della società.

Nel rigettare il ricorso presentato dal Curatore fallimentare (e finalizzato ad ottenere l'annullamento del sequestro), la Suprema Corte prende le mosse ripercorrendo brevemente i due principali filoni giurisprudenziali formatisi sul tema.

Il primo orientamento della Cassazione

Secondo un primo orientamento – qui richiamato dall'odierno ricorrente – il (preliminare) vincolo sancito dalla procedura concorsuale prevale rispetto alla (successiva) misura cautelare reale finalizzata alla confisca ex art. 12 bis D.Lgs. 74/2000.

In questo senso, il sequestro preventivo disposto in epoca successiva al fallimento quindi "non può essere adottato sui beni già assoggettati alla procedura fallimentare, in quanto la dichiarazione di fallimento importa il venir meno del potere di disporre del proprio patrimonio in capo al fallito, attribuendo al curatore il compito di gestire tale patrimonio al fine di evitarne il depauperamento" (p. 7).

Come si può notare, tale soluzione attribuisce valenza decisiva al periodo temporale intercorrente tra l'antecedente dichiarazione di fallimento e la (successiva) adozione del sequestro; l'intervenuta dichiarazione di fallimento comporta lo spossessamento e il venir meno del potere di disporre del patrimonio da parte del fallito e, al contempo, il passaggio dei beni a favore della curatela, la quale ha il compito di gestire tale patrimonio al fine di evitarne il depauperamento (cfr., Cass. Sez. III, 15 ottobre 2020, n. 36746. In senso analogo, Cass. Sez. III, 26 febbraio 2020, n. 14766) e a tutela della par condicio creditorum .

Il secondo orientamento della Cassazione

Sennonché, come si è accennato, tale filone non viene condiviso da alcune recenti sentenze di legittimità, le quali – escludendo valore dirimente al dato temporale intercorrente tra la dichiarazione di fallimento e il successivo sequestro – rilevano che la soluzione della questione non può prescindere da un'attenta disamina delle distinte finalità sottese alle procedure concorsuali e alla misura cautelare reale: "il problema, in caso di sovrapposizione dei due vincoli, non sarebbe tanto quello di stabilire quale sia stato apposto per primo, quanto piuttosto quello di valutare a quale delle diverse esigenze di tutela occorre assicurare preminenza e in quali termini" (p. 6).

Ragion per cui, conclude tale orientamento, il vincolo discendente dal sequestro prevale su quello imposto dall'apertura della procedura concorsuale, "prevalendo sull'interesse dei creditori l'esigenza di inibire l'utilizzazione di un bene oggettivamente ed intrinsecamente pericoloso, in vista della sua definitiva acquisizione da parte dello Stato" (così, Cass. Sez. III, 8 gennaio 2020, n. 15776 ).

Tutto ciò premesso, la sentenza in oggetto aderisce al secondo filone, riconoscendo la prevalenza del sequestro sulla procedura concorsuale e sul principio della par condicio creditorum.

Si legge infatti che il fallimento – pur determinando lo spossessamento dei beni – lascia inalterata l'organizzazione sociale e la struttura giuridica dell'ente, con la conseguenza per cui "la società continua ad esistere come soggetto giuridico, suscettibile di essere sanzionato (nel caso in cui sia prevista una responsabilità dell'ente ex lege 8 giugno 2001, n. 231) o di essere privato, ope legis, dei beni costituenti il profitto o il prezzo di un reato tributario" e giustificando così "la perdurante vigenza del sequestro preventivo funzionale alla confisca riguardante una società fallita" (p. 8).

Detto altrimenti, la dichiarazione di fallimento non priva il fallito della titolarità dei beni, pur attribuendo al curatore l'amministrazione e la disponibilità del patrimonio: "in tema di rapporti tra sequestro preventivo e fallimento, è legittimo il sequestro preventivo dei beni ricompresi nell'attivo fallimentare, in quanto la deprivazione che il fallito subisce dell'amministrazione e della disponibilità dei suoi beni, vincolati dalla procedura concorsuale a garanzia dell'equa soddisfazione di tutti i creditori mediante l'esecuzione forzata, non esclude che egli conservi, sino al momento della vendita fallimentare, la titolarità dei beni stessi" (p. 8).

L'unico limite al sequestro – posto dallo stesso d. lgs. 74/2000 – consisterebbe nell'appartenenza del bene a persona estranea al reato.

Secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite (richiamate anche nella sentenza in commento) la conseguente esigenza di verifica circa l'eventuale titolarità di diritti di terzi e le modalità della loro acquisizione (al fine di valutarne la buona fede) "assume una particolare pregnanza proprio nell'ambito delle procedure concorsuali, dovendosi in questo ambito scrutinare con particolare rigore, soprattutto in presenza di un attivo fallimentare, l'esistenza della somma oggetto della cautela reale e la possibile coesistenza, ove dedotta dal curatore, di diritti di proprietà concernenti gli stessi beni sottoposti a sequestro".

Il contrappeso posto dalla Corte a tutela delle ragioni fallimentari consisterebbe, pertanto, nel "circoscrivere compiutamente l'entità del profitto confiscabile, consentendo di soddisfare le preminenti ragioni di tutela penale, senza però arrecare pregiudizio alle concorrenti pretese creditorie, e tanto soprattutto laddove l'attivo fallimentare sia costituito da somme di denaro. In tema di reati tributari, poi, resta ferma l'esigenza di valutare anche se l'Erario abbia già proceduto al recupero delle somme non versate dal contribuente, ciò al fine di evitare un'indebita locupletazione da parte del Fisco, tenuto conto che, ai sensi del secondo comma dell'art. 12-bis, la confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all'Erario anche in presenza di sequestro" (nello stesso senso è la recentissima sentenza della Cassazione, IV Sezione Penale, n. 846 del 3.12.2021, dep. 12.1.2022 ).

Spunti di riflessione, anche alla luce del codice della crisi di impresa e dell'insolvenza

Parallelamente, la pronuncia offre qualche spunto di riflessione sui possibili futuri rapporti tra la procedura fallimentare e le misure cautelari reali alla luce della disciplina – non ancora entrata in vigore ma menzionata dal Tribunale del riesame – prevista dal Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza.

Come noto, infatti, da un lato, l'art. 320 prevede espressamente la legittimazione del Curatore a presentare impugnazioni avverso il decreto di sequestro e, sotto altro profilo, l' art. 317 sancisce la prevalenza del vincolo cautelare rispetto alle procedure concorsuali, "escludendo, con alcune eccezioni, la prevalenza del sequestro preventivo penale "impeditivo" (art. 321, comma 1, cod. proc. pen.) e, in toto, del sequestro penale conservativo (art. 316 cod. proc. pen.) nonché stabilendo che i beni sequestrati all'impresa sottoposta a liquidazione giudiziale siano assoggettati alle disposizioni, anche procedimentali, previste per le confische di prevenzione, che estende a tutti i sequestri finalizzati alla confisca le disposizioni del codice antimafia" (p. 9).

Ciò posto, la sentenza puntualizza senza possibilità di equivoco che la nuova disciplina "non può comportare l'anticipata applicazione di riti o il mero rinvio ad altre disposizioni e procedure, posto che il differimento ha costituito la ratio essendi della posticipata vigenza di esse". (pp. 10-11).

D'altro canto, si legge nelle motivazioni, le norme definitorie dettate dal Codice della Crisi – ossia "quelle che costituiscono esplicazione di un termine utilizzato in altre disposizioni ma anche […] quelle che assolvono il compito di dettare principi generali o definire la funzione di un determinato istituto" (p. 10) possono venire comunque utilizzate – ancorché non ancora entrate in vigore – "ai fini dell'interpretazione di una norma, di immediata applicazione, contenuta in altra legge" (p. 10).

Segnatamente, tali norme possono "convalidare un'interpretazione delle norme vigenti che già autonomamente sia in grado di supportare un determinato risultato esegetico" (p. 11), con la conseguenza per cui " i rapporti tra le procedure concorsuali e le misure cautelari reali possono essere dedotti con interpretazione logico-sistematica, oltre che dalle norme già vigenti nell'ordinamento anche dalla disciplina fissata dagli articoli 317 e ss. del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 1 4" potendo costituire tali norme "sussidio interpretativo ai fini delle norme dalle quali deve trarsi la disciplina dei rapporti, allo stato, tra "sequestro penale e fallimento" […] anche prima del 16/05/2022, termine previsto dal decreto-legge 24 agosto 2021, n. 118 per l'entrata in vigore degli artt. 317 e ss. D.lgs. n. 14 del 2019" (p. 11).

Orbene, rebus sic stantibus, la soluzione qui adottata – e suffragata (nei termini e coi limiti appena detti) anche alla luce delle novità normative dettate dal Codice della Crisi – pone inevitabilmente qualche riflessione sulle prospettive future dei rapporti tra fallimento e misure ablatorie di natura penale.

Da un lato, la riforma sancisce – pur con le eccezioni ed i limiti poco sopra accennati – la prevalenza del vincolo cautelare reale sulla procedura concorsuale, mentre, al contempo, le novità riconosciute dall'art. 320 riconoscono espressamente la legittimazione del curatore a presentare impugnazione avverso le misure cautelari reali.

Sennonché, tale situazione potrebbe formalizzare – ovviamente ragionando in astratto – un potenziale conflitto (già in essere, peraltro, come si è visto nella vicenda qui esaminata) tra l'interesse punitivo dello Stato e l'interesse del curatore – in quanto soggetto deputato alla tutela dell'interesse dei creditori – ad impugnare il decreto di sequestro adottato successivamente all'apertura della procedura.

Le alterne posizioni giurisprudenziali rappresentate, le lacune normative e le complessità delle questioni affrontate nella sentenza in commento rendono evidente, ancora una volta, la necessità di competenze professionali specialistiche ma integrate per comprendere e gestire nel modo più efficiente ed efficace le molte problematiche che interessano le diverse parti coinvolte.

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*A cura di Mattia Miglio e Andrea Scarpellini (dipartimento Diritto penale), Marco Gentile (dipartimento Crisi d'impresa) - Studio Villa Roveda e Associati